Sull’impeachment di Biden pesano le rivelazioni dell’ex deputato ucraino Derkach

Sull’impeachment di Biden pesano le rivelazioni dell’ex deputato ucraino Derkach

15 Gennaio 2024 0

Mentrea al Congresso avanza l’inchiesta preparatoria all’impeachment, su Joe Biden cade l’ennesima e pesante tegola. È stata infatti diffusa un’intervista esclusiva a un ex deputato ucraino, uno dei suoi principali accusatori, che svela gli ennesimi retroscena della rete di corruzione e di pressioni politiche che il presidente americano ha messo in piedi nel corso di almeno un decennio.

E se è immediatamente scattata la macchina del fango per screditare chi porta delle prove contro la Casa Bianca, stavolta per Biden potrebbe essere difficile sottrarsi alla Giustizia americana e al giudizio degli elettori.

Gli strani affari del figlio di Biden

La società utilizzata da Hunter Biden, il figlio di Joe, per fare affari in Ucraina era la Burisma Holdings Ltd., registrata nel paradiso fiscale di Cipro e chiusa lo scorso anno. Per molti anni questa azienda è stato uno dei principali operatori del settore del gas in Ucraina. Nel suo consiglio di amministrazione ha visto sedere, fra gli altri, l’ex presidente della Polonia Aleksander Kwaśniewski e il responsabile di Bush jr. per l’antiterrorismo Cofer Black. E proprio il figlio di Biden è stato uno dei alti consiglieri della società, che tramite una serie di prestanome e di passaggi fiscali si è scoperto appartenere a Ihory Kolomoyskyi, il principale fautoredell’ascesa pubblica di Zelensky. Sebbene la rete di conoscenze e di influenze della famiglia Biden risulti evidente, l’intreccio di nomi importanti (anche di Paesi e di schieramenti politici diversi) non dimostrerebbe per adesso nulla di criminale tale da provocare un impeachment. Ma al Congresso indagano ancora, perché certe situazioni sono sporche in maniera lampante. Si scava quindi sulla vita privata di Hunter, notoriamente tossicodipendente e coinvolto in casi disgustosi di prostituzione.

Se in Europa tali retroscena avrebbero forse provocato un devastante terremoto politico, negli USA preferiscono concentrarsi sulla corruzione e sull’abuso di ufficio. Poiché da anni emergono indizi e testimonianze a carico del presidente, oggi tutto ciò potrebbe finalmente sfociare in un processo ufficiale.

Un’intervista che scotta

La pietra dello scandalo attorno a cui gira gran parte della faccenda è una mazzetta di qualche milione di dollari sganciata alle autorità ucraine per sistemare i guai della Burisma.

In realtà c’è molto di più: oggi viene alla luce grazie all’intervista concessa dall’ex deputato del Parlamento ucraino Andrii Derkach. Nel corso della presidenza Obama, del quale Biden era vice, Derkach aveva rivelato nomi e situazioni nell’ambito della cosiddetta “pista ucraina”, che aveva messo in serio imbarazzo la Casa Bianca.

Nel colloquio durato un’ora con la giornalista italo-americana Simona Mangiante, incontrata a Minsk, ha aggiunto nuovi dettagli che adesso peseranno sul procedimento di impeachement imbastito al Congresso.

Come si evince dalla sua testimonianza, Biden e il suo entourage lavoravano alacremente per proteggere da “problemi” la società del figlio del presidente. Foriera di enormi guadagni e strumento ideale per influenzare e indirizzare le scelte politiche di Kiev, la Burisma andava mantenuta pulita rispetto a indaginigiudiziarie o giornalistiche: per questo motivo dall’America hanno usato tangenti e minacce pur di tappare la bocca ai testimoni.

La Burisma era anche un ottimo strumento per il lavaggio del denaro e serviva per pagare i vertici dei servizi di intelligence dell’Ucraina. Non si tratta di uno scoop inventato sul momento per disturbare la campagna elettorale del 2024, ma di una storia iniziata già ai tempi di Petro Poroshenko, predecessore di Zelensky. Derkach aveva reso pubbliche alcune sue conversazioni con Biden, che mostrano le pressioni politiche che la Casa Bianca poteva fare su Kiev tramite i consiglieri delle società energetiche e delle agenzie anti-corruzione, con cui esercitare un’influenza diretta sul governo e sullapopolazione ucraina.

Testimone chiave

Derkach è stato per vent’anni deputato della Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale ucraino, fino al 2020. A seguito degli scandali scoppiati grazie alle sue rivelazioni, già sotto la presidenza Poroshenko, e diventati estremamente scottanti una volta che Zelensky è salito al potere, Derkach ha subito indagini e restrizioni da parte delle autorità di Kiev.

Lo scorso anno si è addirittura visto privato della cittadinanza ucraina. E come se non bastassero i guai giudiziari montati per intralciare il suo lavoro di svelamento degli schemi di corruzione e di amicizie eccessivamenteintime con i soci di oltreoceano, Derkach ha subito veri e propri tentativi di assassinio. A lui si è interessato niente meno che il segretario di Stato americano Antony Blinken, che in un suo viaggio a Kiev del gennaio 2022 incontrò Zelensky e lo sollecitò a “risolvere la questione Derkach”, spiegandogli che se non lo avesse fatto lui, ci avrebbero pensato a Washington insieme ai loro partner. Derkach quindi è rimasto a lungo lontano dai riflettori per questioni di sicurezza, decidendo solamente nelle scorse settimane di tornare a parlare pubblicamente.

L’elefante nella stanza

Uno degli aspetti principali degli affari sporchi dei Biden in Ucraina, di cui Derkach è tornato a parlare, è quello del procuratore generale Viktor Shokin. Nel 2016 Joe Biden fece leva sulla minaccia di non concedere a Kiev una tranche di aiuti da 1 miliardo di dollari, quindi chiese e ottenne che Shokin venisse sollevato dall’incarico.

È altamente significativo il modo in cui Usa Today pretendeva già quattro anni fa di dimostrare come non si trattasse di un’azione illegittima o criminale da parte della Casa Bianca:Derkach accusava Biden di volere la testa del procuratore perché stava indagando sulla società del figlio Hunter, la summenzionata Burisma, mentre il media mainstream spiegava che l’intenzione era di farlo fuori perché non indagava abbastanza sulla corruzione presente nei vertici ucraini.

In realtà, scrive Usa Today, Shokin aveva precendentemente condotto indagini sulla Burisma, ma prima dell’ingresso ufficiale di Hunter nel consiglio di amministrazione della società. E ammette senza problemi che sì, Biden ha fatto pressioni sul governo ucraino, ma non con la finalità di scagionare il figlio dalle accuse. Insomma, grazie a tale scrupoloso “fact-checkingfact-checking” vorrebbero nascondere l’elefante nella stanza, cioè che gli USA utilizzano aiuti finanziari miliardari per fare pressione sulle scelte concrete di un governo straniero e per influenzare le nomine dei procuratori generali, oltre al fatto di aver il figlio di un vicepresidente fra i capi della maggiore società energetica di tale Stato.

Ma avendolo fatto con le migliori intenzioni e nel rispetto delle regole formali, l’opinione pubblica occidentale può dormire serena: Washington lavora per la libertà e la democrazia.

La macchina del fango

A questo giro hanno iniziato subito a gettare fango su Derkach e su chiunque osi riproporre la questione della Burisma e di Hunter. Tutto ciò che concerne il contenuto orribile del suo computer è stato ammesso dai media mainstream, ma contemporaneamente etichettato come “teoria cospirazionista”, delegittimando così i politici e i giornalisti che vogliono approfondire. Appena dopo l’intervista di Derkach si è quindi attivato il Robert Lansing Institute, un think tank con sede nel Delaware che sostiene di condurre inchieste “non-partisan” basate sui fatti. È talmente obiettivo che pur di screditare il contenuto dell’intervista a Derkach tira in ballo il padre dell’intervistato e il marito dell’intervistatrice.

Si tratta di una macchina del fangomacchina del fango in piena regola, che in queste occasioni ha sempre il jolly da giocare. Così il Lansing Institute lancia la carta finale per zittire chiunque voglia capire ciò che si nasconde dietro agli affari dei Biden in Ucraina: sono tutte storie inventate dal Cremlino per influenzare le elezioni presidenziali americane.

Dunque
sono proprio quelli che deridono i “complottisti” a vedere dappertutto spie nemiche e trame nascoste, oltre a presentare i propri teoremi senza avere la minima ombra di dubbio. Ma mentre al Congresso avanza l’inchiesta preparatoria all’impeachment, su Biden cade l’ennesima e pesante tegola.

L’intervista esclusiva all’ex deputato ucrainosvela gli ennesimi retroscena della rete di corruzione e di pressioni politiche che il presidente americano ha messo in piedi nel corso di almeno un decennio. Anche se è immediatamente scattata la macchina del fango, stavolta per Biden potrebbe essere difficile sottrarsi alla Giustizia americana e al giudizio degli elettori.

Marco Fontana
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