Conflitto Russo-Ucraino, Sherif El Sebaie: “L’Europa potrebbe permettersi di reggere almeno due anni di guerra a questi ritmi?”

Conflitto Russo-Ucraino, Sherif El Sebaie: “L’Europa potrebbe permettersi di reggere almeno due anni di guerra a questi ritmi?”

18 Settembre 2022 0

Prosegue il conflitto tra Russia e Ucraina: sono ormai 207 i giorni in cui i due contingenti militari si affrontano. Se il mainstream ha enfatizzato la riconquista da parte di Kiev di alcuni snodi strategici dell’area di Karkhiv, Kupiansk e Izyum in particolare, serpeggia estremo nervosismo tra i vertici dell’amministrazione Biden. Ad affermarlo la Cnn che ha espresso la preoccupazione della Casa Bianca per la resilienza di Mosca e della Federazione Russa verso le sanzioni promosse dall’Occidente. Gli analisti della nota emittente americana sono giunti ad ammettere che gli effetti più duri potrebbero materializzarsi non prima dell’inizio del 2023. Anche l’avanzata delle truppe ucraine a Kharkiv non ha esaltato gli esperti a stelle e strisce. Se il Nyt già il 20 maggio affermava che “Vittoria Kiev non è realistica, sostegno Usa ha limiti“, la ritirata russa infatti ha aperto preoccupate riflessioni sulla possibile risposta del presidente Vladimir Putin. Non è un caso che Joe Biden abbia rispolverato la questione del conflitto nucleare, una ipotesi per ora respinta dallo stesso Putin ricordando che la dottrina russa prevede l’utilizzo del nucleare solo di fronte ad una minaccia concreta e reale, ma che è parsa più un mettere le mani avanti da parte del presidente americano come sottolineato dal WP e Nyt verso Kiev. In un contesto del genere, dove si è bombardati quotidianamente dalla propaganda (tanta) e notizie reali (poche), abbiamo deciso di interpellare Sherif El Sebaie, esperto in Diplomazia culturale, rapporti euro-mediterranei e transatlantici e vincitore della Marshall Memorial Fellowship del German Marshall Fund.

Infografica – La biografia dell’intervistato Sherif El Sabbie

– Qual è la situazione sul campo? A sentire certe fonti, pare che gli ucraini siano in procinto di valicare il confine russo.

– Come in qualsiasi conflitto, occorre prendere con le pinze tutto ciò che viene diffuso dalle parti in conflitto, e quindi anche dai media occidentali: spesso si tratta di semplice propaganda. Dall’inizio della guerra ne abbiamo sentite tante: Putin che aveva finito i missili, i russi senza viveri entro due settimane, la Russia che sicuramente sarebbe fallita nel giro di un mese… Eppure dopo 6 mesi, la guerra è tuttora in corso. In base a quanto riportano i giornali occidentali, saremmo di fronte alla prima grande novità di questo conflitto, il primo vero cambiamento sul fronte. Gli ucraini avrebbero riconquistato ottomila chilometri quadrati di territorio: certamente un cambiamento importante, ma non decisivo, perché se guardiamo la mappa vediamo che un quinto del Paese è ancora in mano ai russi. Gli ucraini quindi hanno solo vinto una battaglia, forse la prima da inizio conflitto. I russi hanno già reagito alla controffensiva di Kiev, bombardando centrali elettriche e infrastrutture civili fino a provocare un blackout generalizzato. Quello che si sta prospettando è un conflitto sanguinoso che durerà a lungo: anche dieci anni, se andiamo a vedere quanto accaduto in Afghanistan, situazione che comincia ad assomigliare drammaticamente a quella che si sta sviluppando in Ucraina. Kiev sarà la Kabul d’Europa? Invece di armare e finanziare i talebani, oggi l’Occidente sta armando e finanziando anche milizie di ispirazione neonazista: non ce lo possiamo nascondere. Peraltro, è ciò che affermavano tutti i rapporti degli analisti fino a un giorno prima del conflitto! E allora potremmo andare avanti anche dieci anni con questa guerra per procura contro la Russia, aspettando di vedere chi capitolerà per primo.

– Economicamente la Russia sarebbe in grado di sostenere dieci anni di guerra?

– Probabilmente dieci anni no. Ma la domanda da porsi in realtà è questa: l’Europa potrebbe permettersi di reggere almeno due anni di guerra a questi ritmi? Sono passati sei mesi, ma siamo già in grandissima difficoltà. Si parla di inflazione, di recessione, di crisi energetica e di altre crisi già esistenti e che sono solo peggiorate, come quella delle materie prime e della catena distributiva, che erano scoppiate a seguito della pandemia.

– In questo scacchiere assistiamo ai movimenti della Cina, dell’India e di tutta l’Asia. Quanto potrebbero appoggiare la Russia? Sono dei partner affidabili per Mosca?

– In politica il concetto di “partner affidabile” in quanto tale non esiste: c’è solo il partner i cui interessi coincidono con quelli di un altro. In questo momento Cina, India e le potenze emergenti del BRICS hanno interesse a sostenere la Russia, per una serie di ragioni di ordine economico e geopolitico. Nessuno può togliermi dalla testa l’idea che Putin si sia consultato con Xi Jinping prima di lanciare l’attacco del 24 febbraio.

– In effetti, Putin e Xi Jinping si erano incontrati prima di quella data.

– Sì! Il New York Times aveva rivelato che i due capi di Stato avevano discusso della possibile data dell’attacco in modo che non coincidesse con le Olimpiadi invernali di Pechino. Ufficialmente, i Paesi del BRICS invocano la pace e il dialogo, ma altre dichiarazioni dei loro politici lasciano sottointere che stanno appoggiando Mosca. Altri Paesi invece sostengono la Russia apertamente: ad esempio l’Iran che fornisce i droni e la Corea del Nord che dà munizioni e proiettili.

– Nella parte asiatica della sua zona di influenza, la Russia rischia di perdere dei pezzi?

– Le Repubbliche ex sovietiche certamente sono spaventate dalla mossa di Mosca. Qualcuna teme di fare la stessa fine… D’altro canto potrebbe essere proprio questo l’obiettivo della Russia: far capire chi comanda. Se i paesi ex sovietici hanno questa paura, allora Putin ha già raggiunto il suo obiettivo, cioè impedire loro di prendere in considerazione una maggiore apertura verso il campo atlantico o addirittura l’adesione alla NATO. Questi Paesi sono consapevoli di trovarsi dentro il cortile della Russia. Quelli che hanno criticato Mosca lo hanno fatto in maniera molto blanda, senza aderire alle sanzioni o ai boicottaggi degli americani e degli europei.

– Finlandia e Svezia entreranno nella NATO. Putin aveva avvertito: potete anche entrare nella NATO, basta che non piazzate i vostri missili sul confine. L’Europa ha capito il suo monito?

– L’Occidente ha capito benissimo ciò che vuole – anzi ciò che non vuole – Putin: ciononostante su input statunitense gli europei stanno facendo di tutto per provocarlo. Dunque non escludo affatto che svedesi e finlandesi possano decidere di ospitare basi e missili della NATO. L’obiettivo è chiaramente quello di provocare la Russia e di trascinarla in un lungo conflitto e in una corsa agli armamenti che possa drenarne le risorse. Esattamente come avvenne in Afghanistan durante la Guerra Fredda, quando si cercò di tirare avanti il conflitto il più a lungo possibile con l’obiettivo di far cadere l’Unione Sovietica, come effettivamente avvenne. Credo quindi che le provocazioni continueranno, anzi aumenteranno. Gli europei hanno compreso benissimo le rimostranze di Putin, ma non vogliono sedersi con lui ad un tavolo delle trattative, bensì vogliono spingerlo a fare una mossa avventata che faccia crollare il suo governo o persino la stessa Federazione Russa.

– Quanto ha influito sull’acuirsi del conflitto l’assenza di leader europei influenti come era la Merkel? Penso a quando la cancelliera seppe risolvere la crisi migratoria in Bielorussia in pochi giorni.

– La Merkel in effetti ha cercato di trovare una soluzione al problema ucraino, essendo anche dotata della necessaria sensibilità culturale per capire le ragioni dei russi. Comunque a gravare sul conflitto non è tanto la mancanza di leader europei di un certo prestigio quanto il passaggio di consegne da Trump a Biden. Sono convinto che con Trump alla Casa Bianca il conflitto non ci sarebbe stato.

– Le elezioni di midterm potrebbero cambiare le cose?

– No, perché l’amministrazione Biden resterà in sella, magari leggermente indebolita, ma è puramente una questione di politica interna. La politica estera americana continuerà sulla medesima linea, perché viene decisa e attuata dall’apparato militare-industriale, il cui potere è stato relativamente contenuto da Trump, ma che ha dei piani a lungo termine che procedono a prescindere dall’inquilino della Casa Bianca.

– Gli ultimi sondaggi negli Stati Uniti hanno mostrato come l’opinione pubblica americana sia sempre meno orientata al sostegno incondizionato all’Ucraina. Considerato che pure i politici repubblicani sono allineati a Biden nel conflitto europeo, quale potrebbe essere il motivo del calo di approvazione dei cittadini? La visione di Trump era morbida, cercava il dialogo con Putin.

– Trump aveva questa visione forse perché a livello personale sentiva affinità con Putin, ma i repubblicani e i democratici rispondono al complesso militare-industriale più che al loro elettorato. Ci sono delle lobby che finanziano le loro campagne elettorali, e tali lobby hanno tutto da guadagnare dalla guerra: si pensi a quella dell’energia che fa lauti affari vendendo gas all’Europa o quella delle armi che sta ottenendo contratti miliardari per tonnellate di armamenti all’Ucraina e per rinforzare altri eserciti, come quello tedesco, che si sono rivolti a Washington. Sono investimenti estremamente utili per l’economia americana. Fino a che la guerra non avrà un impatto concreto sulla società e sull’economia americana, allora non cambierà nulla. 

– E qual è il gioco di Erdoğan in questo scenario?

– Il gioco di Erdoğan è interessante: sta approffitando di un’Europa e di un’America distratta dalla guerra per ritagliarsi maggiore spazio all’interno del campo occidentale, ad esempio come negoziatore con la Russia e allargandosi nelle aree che oggi sono meno seguite dall’Occidente. E con un uso intelligente della diplomazia sta normalizzando i rapporti con i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

– Russofobia: sta emergendo un nuovo maccartismo anche in Italia?

– La russofobia che stiamo sperimentando in Italia non è a livello popolare o di opinione pubblica ma è istituzionale, e proprio per questo è un fenomeno preoccupante. Non è la gente, ma l’establishment che prende decisioni russofobe, dal boicotaggio dei teatri verso esponenti della cultura russa alle limitazioni ai visti per i cittadini, dal tetto di spesa per gli acquisti delle grandi catene al tentativo di vietare corsi di letteratura russa. Ciò che inquieta è che i russofobi siano proprio coloro che dovrebbero essere super partes – come il mondo accademico o della cultura – e guardare ad un futuro in cui la guerra sarà finita e si dovrà tornare a dialogare con la Russia. Credo che tali decisioni russofobe non siano affatto condivise dalla gente comune.

– In Parlamento persino l’unica forza di opposizione si è schierata totalmente a favore dell’Ucraina…

– Era prevedibile. Chiunque voglia governare l’Italia deve prima passare da Washington per ottenerne l’approvazione. Tendiamo a dimenticare che sull’Italia grava ancora la sconfitta nella Seconda guerra mondiale e i trattati (anche segreti) che sono in vigore con gli Stati Uniti. Oserei dire che c’è stata estrema onestà intellettuale nel far capire all’elettorato che se quella forza andasse al governo non cambierebbe l’attuale orientamento imposto da Washington.

– Dunque nessuna modifica in vista da parte dell’Italia rispetto alle sanzioni anti-russe.

– Assolutamente nessuna. Anche perché l’Italia fa parte del sistema dell’Unione Europea dal quale non può sganciarsi e prendere decisioni autonome. Prima di scontrarsi con Washington, quindi, un governo di centro destra dovrebbe affrontare Bruxelles e l’ultima dichiarazione della Meloni, “E’ finita la pacchia”, pur se detta con toni coloriti da campagna elettorale, credo costituisca un messaggio in tal senso.

– Letta sostiene che l’Europa non ci aiuterà se vince Meloni.

– Esatto, e si è subito parlato di reazione dei mercati, di rialzo dello spread… E sappiamo bene quale partito piace di più ai “mercati”.

– Si fa tanto parlare di ingerenze russe ad ogni elezione, ma le accuse mosse da un ex ambasciatore statunitense in queste ore su presunti finanziamenti a partiti politici europei non configura proprio una interferenza diretta verso uno stato sovrano?

Queste accuse, esattamente come le dichiarazioni europee che paventano “reazioni” nel caso in cui l’esito delle elezioni non sia quello che auspicano, sono a tutti gli effetti delle interferenze dirette. Ma la cosa più preoccupante è che sembra che non siano sostanziate da alcun riscontro concreto. D’altronde l’ambasciatore in questione ha letteralmente affermato di non avere “prove dirette personali” e che la sua accusa si basa sul fatto che Fratelli d’Italia sia “cresciuta in maniera straordinaria nell’ultimo anno. Ciò obbliga a porsi domande su quali siano le fonti dei loro finanziamenti, delle posizioni prese e dell’aumento della popolarità”. Un ragionamento a dir poco allucinante. 

Marco Fontana
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