La fuga per la vita dei Curdi
Mentre ancora per le strade di Damasco si grida con gioia hurriya (libertà), per la caduta dopo 50 anni del Governo degli Assad, il popolo curdo è costretto ancora una volta alla fuga.
All’indomani dell’ingresso ad Aleppo delle milizie della coalizione ribelle, formata dalla cellula ex qaedista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), dall’Esercito nazionale siriano (Sna) e da diverse altre sigle, decine di migliaia di profughi di dell’enclave curda di Afrin sono costretti a lasciare Shahba, un villaggio rurale poco fuori la città. Sfollati due volte. Prima nel 2018, dalla città nel Nord-ovest della Siria, quando le Forze armate turche, coadiuvate dall’Sna (già Esercito libero siriano, sostenuto dalla Turchia) conquistano la città con l’offensiva dal nome orwelliano “Ramoscello d’ulivo”, provocando lo sfollamento di oltre 200 mila persone. E oggi, con gli attacchi dei gruppi filoturchi contro le milizie curde di Unità di protezione popolare (Ypg), bollate da Erdogan come organizzazione terroristica vicina al Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan.
Gli attacchi turchi
Violenti scontri si sono registrati nelle città settentrionali di Manbij e Tel Rifaat, con «l’esercito turco che bombarda la regione via aria e terra – scrive in una nota il Consiglio esecutivo del Kurdistan National Kongress (Knk) -. Sono stati segnalati anche attacchi a Ain Issa. Secondo fonti locali, la Turchia ha anche aperto il confine con la Siria nord-occidentale, consentendo a molti combattenti jihadisti di entrare in Siria. La popolazione è sottoposta a massicci attacchi e ci sarebbero numerose segnalazioni di saccheggi e torture». Mentre le organizzazioni per i diritti umani della regione temono una catastrofe umanitaria. «Ci sentiamo abbandonati da tutti, persino dall’Amministrazione autonoma – si sfoga un ragazzo curdo, che chiede l’anonimato -. La Siria diventerà centinaia di volte peggio di prima».
Un popolo di sfollati
Migliaia di sfollati interni, fuggiti dalle aree sotto attacco dei filoturchi sono senza aiuti, cibo, riscaldamento, acqua potabile e servizi sanitari. Siamo felici che sia crollato il regno di Assad, ma per assurdo non riusciamo ad essere allegri per questo. Sui social media – prosegue – leggiamo parole di odio feroce nei nostri confronti. Damasco ci ha oppressi, ma ora un altro gruppo radicale verrà per eliminare la nostra identità una volta e per sempre». Molti di loro hanno raggiunto Raqqa, altri si sono spostati a Qamishli, nella zona nord-orientale, da dove potrebbero raggiungere l’Iraq, nel caso venissero attaccati anche lì. Nel frattempo l’occidente resta a guardare, limitandosi a chiedere quale sarà il futuro della Siria liberata dall’ex qaedista al- Jolani, leader di Hts, erede del Fronte al Nusra, che nel frattempo oltre ad aver cambiato look col taglio della barba, ha ripreso il suo nome di battesimo Ahmed al-Sharaa.
Sembra già naufragare uno degli intenti annunciati dagli attivisti anti-Assad, immediatamente dopo la presa della seconda città più grande della Siria: «gli sfollati residenti di Afrin devono essere immediatamente riportati alle loro case e deve essere impedita l’espulsione dei curdi siriani». Le Forze democratiche siriane curde (Sdf), asse portante della coalizione a guida Usa contro lo Stato islamico, che attualmente tengono reclusi nella città prigione di Al-Hol 70mila fra miliziani stranieri del Daesh e le loro famiglie, hanno accettato il 10 dicembre scorso un cessate il fuoco con Sna e Hts, cedendo così il controllo della città di Manbij, già una delle roccaforti curde. «Abbiamo raggiunto un accordo di cessate il fuoco a Manbij con la mediazione americana, per preservare la sicurezza e l’incolumità dei civili», ha dichiarato lo stesso giorno il comandante generale delle Sdf, Mazloum Abdi, in un post su X.
La risoluzione dei conflitti in corso
In un’intervista alla TV curda Ronahî, Abdi ha ribadito l’impegno delle Forze democratiche siriane a risolvere gli attuali conflitti in Siria, dando la parola alla politica e alla diplomazia piuttosto che al braccio militare. In più, ha fatto sapere che la milizia curda è disponibile a un cessate il fuoco generale nella regione, ma ha anche espresso dubbi sul fatto che l’esercito turco e l’Sna avrebbero rispettato l’accordo per lo stop alle armi.
Alla domanda sui recenti scontri tra l’Sna e le Sdf, Abdi ha dichiarato che sarebbero ne sarebbero in corso altri presso il ponte di Qara Quzaq e la diga di Tishreen, che collegano le città di Manbij e Kobane.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari Ocha, più di 1,1 milioni di persone, principalmente donne e bambini, sono sfollate in tutta la Siria da quando, a partire dal 27 novembre, sono aumentate le ostilità tra le diverse fazioni.
«Al 12 dicembre, 1,1 milioni di persone sono state sfollate di recente in tutto il paese dall’inizio dell’escalation delle ostilità il 27 novembre. La maggior parte sono donne e bambini – affermano dall’Ocha -. Circa 640mila persone sono fuggite dal governatorato di Aleppo, 334mila hanno lasciato Idlib e 136mila sono fuggite da Hama».
Per l’Ufficio Onu, la situazione si è stabilizzata in alcune aree della Siria, mentre l’insicurezza resta elevata in altre, in particolare a Menbij nel governatorato di Aleppo e nel nord-est della Siria.
Nasce a Palermo. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università degli studi del capoluogo siciliano, master in Giornalismo e comunicazione pubblica istituzionale, è giornalista pubblicista. Ha iniziato la sua carriera di giornalista, scrivendo di sprechi, inadempienze nella Pa e di temi ambientali per il Quotidiano di Sicilia, ha collaborato per alcuni anni col Giornale di Sicilia, svolto inchieste e approfondimenti su crisi libica e questione curda per Left, per poi collaborare alle pagine Attualità e Mondo di Avvenire, dove si è occupata di crisi arabo-siriana e di terrorismo internazionale. Ha collaborato col programma Today Tv 2000, l’approfondimento dedicato all’attualità internazionale. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano nel 2017.