Chi si loda si imbroda: Erdoğan festeggia il suo successo “ottomano” in Siria
Su quanto accaduto nei giorni scorsi in Siria stanno lentamente emergendo le responsabilità e le colpe. Per qualcuno, invece, si tratta di un merito l’aver contribuito a far cadere il “regime” di Bashar Assad. Quel qualcuno è il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan.
Espansione ottomana
Forse non è dietrologia affermare che l’attuale Turchia voglia riacquistare almeno una parte della gloria passata e soprattutto dei suoi antichi territori imperiali. D’altronde, nel 1974 invase Cipro, occupando quasi metà dell’isola, senza più abbandonarla. E da quando al potere c’è Erdoğan, le mire irredentiste si sono fatte se possibile ancora più tenaci e sistematiche. L’odierna “vittoria” in Siria fa esultare un alleato del presidente turco, il capo del Partito del Movimento Nazionalista Devlet Bahçeli: Aleppo è turca e musulmana, ha affermato in Parlamento il 3 dicembre. E allora pare proprio che uno degli scopi della dirigenza turca sia di realizzare i confini disegnati dai patti di Misak-ı Millî, che furono una delle ultime deliberazioni del Parlamento ottomano nel 1920, prima della fine del Sultanato. Lo racconta la storia, lo dice geografia, dichiara ancora Bahçeli a proposito della presa di Aleppo da parte delle milizie filo-turche.
Celebrazioni per Erdoğan
Volenti o nolenti bisogna prendere atto del successo di Erdoğan nelle sue mire espansionistiche dai contorni sempre più ottomani. La vittoria – si suol dire – ha molti padri: quelli della deposizione di Assad, dopo un iniziale silenzio, stanno uscendo fuori. E a proposito a padri, ve n’è uno la cui figlia ne celebra volentieri le gesta. Si tratta di Esra, la figlia del presidente turco, che in un post su X ha scritto “Assad è caduto, Erdoğan ha vinto”. Bisogna precisare che quell’account è oggetto di contestazione, potendosi trattare di un falso ben orchestrato. Ma sarebbe comunque un segnale che nel mondo turco si voglia dare il via alle celebrazioni per questo passaggio ritenuto epocale per Ankara. Meno di un anno fa un altro post di Esra avevano scatenato polemiche e accuse di fake. Non dovrebbe stupire: in Medio Oriente la guerra dell’informazione si combatte anche sui social.
Un politico navigato
Erdoğan oggi può serenamente ammettere, anzi rivendicare il proprio coinvolgimento nella trasformazione violenta della Siria. Ha ottenuto questo risultato grazie soprattutto all’Esercito Siriano Libero (ESL), da lui finanziato e armato, che ha preso Aleppo e poi Manbij, sulla riva occidentale dell’Eufrate. Dunque può anche fare a meno delle esultazione social, essendo un politico esperto e navigato che ha attraversato due decenni restando al vertice, indenne a tentativi di golpe, pesanti crisi monetarie e un’opposizione inquieta. È riuscito a tenere in piedi i rapporti con gli USA e UE e i con gli antagonisti dell’Occidente, dalla Russia ai BRICS al Sud Globale, traendo vantaggio da tutti con tenacia e astuzia. Con un malcelato ricatto, ad esempio, ha ottenuto favori e denari da Bruxelles su temi come adesione alla NATO dei Paesi scandinavi, gas e i migranti. A proposito, cosa farà ora con quelli siriani? E con i curdi?
Accordo in vista con arabi e americani?
Ipotesi: il presidente turco darà alle formazioni paramilitari il compito di ripulire le aree di Aleppo, al-Hasaka e Raqqa, oggi sotto controllo dei curdi. Di certo questi ultimi non cederanno non tanto facilmente i territori, soprattutto perché alle spalle hanno l’appoggio delle armi americane. Così Erdoğan dovrebbe prima accordarsi con Washington. Già, ma con quale amministrazione? Giunto a questo punto gli conviene attendere che si insedi Trump. Per far sloggiare i curdi senza grossi patemi, gli statunitensi potrebbero chiedere ad Ankara la cortesia di mandare i propri mercenari a infastidire i russi nelle loro basi siriane. Ce ne sono due: quella navale di Tartus, risalente ai tempi dell’URSS, e quella aerea di Khmeimim, fondata nel 2015, a cui spesso si fa riferimento come Latakia. Pure le monarchie arabe sunnite, amiche degli USA, potrebbero insistere per cacciare i russi dalla Siria, nella cui ricostruzione vogliono avere un ruolo importante.
Filo-turchi insieme ai terroristi
In città come Hama e Homs e nella capitale Damasco i miliziani filo-turchi sono entrati insieme agli integralisti di Ha’yat Tahirir al-Sham (HTS), costola siriana di al-Qaida guidata da Abu Mohammed al-Jolani. Costoro si presentano come patrioti col sacro intento di mettere fine al “regime” di Assad e come volenterosi disposti ad aiutare il buon Erdoğan, ad esempio distruggendo le forze curde o almeno cacciandole dal nord della Siria. Però ad Ankara ci tengono a sottolineare la distanza con gli estremisti violenti di HTS. Anzi dicono che i “bravi ragazzi” amanti dei valori e dunque contrari al “dittatore” Assad sono proprio i componenti dell’ESL sostenuto dalla Turchia. Gli uni o gli altri, comunque, avranno prima o poi il compito di scacciare i curdi dai territori settentrionali e mandarli verso sud. Ma qui c’è Israele, che certamente non gradirebbe tale inconveniente e che quindi appoggia i curdi.
Patiscono sempre i civili
A rimetterci erano, sono e saranno sempre i civili, non solo quelli di etnia curda, ma tutti. Chi è scappato dalla Siria ci è riuscito perché si è mosso immediatamente, proprio all’inizio del disfacimento delle forze governative siriane e delle avanzate delle formazioni mercenarie. Gli altri sono stati bloccati entro i confini del Paese, perché Iraq, Giordania e Libano hanno sigillato quasi subito le frontiere. La sofferenza infatti non è cominciata a dicembre, ma dura da 13 anni. Fra guerra civile e terremoti devastanti, come quello del 2023, in Siria ci sono secondo l’UNHCR 16,7 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari e 7,5 milioni di sfollati interni. Su quanto accaduto nei giorni scorsi stanno lentamente emergendo le responsabilità e le colpe. Per qualcuno si tratta di un merito l’aver contribuito a far cadere il “regime” di Assad. Quel qualcuno è il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan.
Libero pensatore. Ha seguito percorsi di studio umanistici per poi dedicarsi all’approfondimento della politica italiana sia dal punto di vista sia antropologico sia di costume. Ha operato come spin doctor