Se l’Occidente interviene in Niger, i jihadisti dilagheranno in Africa? Chi chiede un intervento armato in Niger non lo fa per i nigerini, né tantomeno per l’Europa
La giunta militare in Niger, guidata dal generale Abdourahamane Tchiani, ha giustificato il rovesciamento illegale e incostituzionale del governo del presidente Mohamed Bazoum, che aveva appena tre anni, con le sfide di sicurezza vissute dal Paese.
Niamey ha vissuto diversi colpi di stato militari dalla sua indipendenza dalla Francia nel 1960, ma quest’ultimo sta suscitando una reazione regionale più forte. Preoccupata per la situazione in corso in Niger, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) ha raccolto la sfida. Il 26 luglio l’Autorità dei Capi di Stato e di Governo dell’ente regionale ha convocato un vertice straordinario per discutere della situazione politica in Niger, sotto la presidenza del Presidente nigeriano Bola Ahmed Tinubu.
Descrivendo la gravità della situazione, Tinubu ha parlato di Bazoum come “ostaggio”, una posizione che lo stesso Bazoum ha ribadito nel suo recente editoriale sul Washington Post, invitando gli Stati Uniti e la comunità internazionale a venire in suo soccorso. Una richiesta rinnovata anche dall’ormai ex premier Ouhoumoudou Mahamadou, per la sua – o quella dei suoi figli – ostinata voglia di ritornare al potere.
Allo stesso modo, possiamo senza dubbio affermare che chi auspica un intervento armato non lo fa per i nigerini, né tantomeno per l’Africa o per l’Europa, ma bensì esclusivamente per i propri interessi. Nessuno in Niger voleva un golpe, ma è accaduto e la popolazione ha dato il suo benvenuto alla formazione di un nuovo Governo. Un intervento militare spingerebbe i nigerini verso la Giunta che non avrebbe altra scelta che allearsi con i Russi. Così armare fazioni per contrapporle l’una all’altra potrebbe innescare un conflitto etnico molto peggiore di quanto accaduto in Libia.
La minaccia terroristica
L’intervento militare occidentale in Libia, come in Afganistan, Siria e Yemen, hanno ampiamente dimostrato come i gruppi terroristici possono approfittare del caos. Il Niger affronta una crescente minaccia, in particolare nella sua regione di Tillabéri, da parte di gruppi estremisti violenti come Boko Haram, Al Qaeda, e lo Stato islamico nella provincia dell’Africa occidentale (ISWAP), che hanno causato molti morti e sfollamenti di massa nel Sahel.
Probabilmente, il CNSP non sarà in grado di controllare efficacemente i suoi confini porosi, come d’altronde il Paese non è stato in grado di farlo in passato. Ma ECOWAS sembra dimenticare che il controllo dei confini è ancora meno probabile in una situazione di guerra, in cui gli aiuti umanitari vengono tagliati o addirittura negati. Un conflitto armato potrebbe inevitabilmente portare ad un vuoto di controllo sulle aree di confine, consentendo di fatto una maggiore infiltrazione di terroristi e milizie armate attraverso il confine con la Nigeria.
Le insurrezioni jihadiste e i flussi di profughi
Le nefaste attività delle insurrezioni jihadiste nella travagliata regione del Sahel hanno provocato l’afflusso di 300.000 rifugiati dal Mali al Niger. Si prevede che tale numero aumenterà in modo significativo, con la maggior probabilità di fuggire in Nigeria e in altri paesi vicini in caso di conflitto armato su vasta scala. Lo spostamento di masse incontrollato, di persone in fuga dal conflitto, come già accaduto in Mali, porterebbe migliaia di profughi a cercare riparo nei Paesi vicini, compresa la Libia, mettendo gravemente a rischio la precaria stabilità raggiunta dal Paese nordafricano che già fatica ad arginare le partenze di migranti dalle proprie coste.
Il controllo dei confini meridionali inoltre ha un costo e nessuno, nemmeno il generale Khalifa Haftar sarebbe disposto a farlo gratuitamente. L’uomo forte della Cirenaica è già in trattativa per ottenere dal Governo di Unità Nazionale a Tripoli 7 miliardi e 200 mila dinari. Quindi auspicare un intervento militare paventando l’arrivo di più migranti se l’Europa non interverrà è da pazzi e serve una dialettica atta a sostenere gli interessi di chi lo afferma.
Una missiva firmata dagli ex primi ministri e presidenti dell’assemblea avverte Tinubu
Una missiva, indirizzata l’8 agosto, da parte degli ex premier e presidente dell’Assemblea Nazionale del Niger, indirizzata a Bola Ahmed Tinubu, Presidente della Repubblica Federale della Nigeria, Attuale Presidente della Conferenza dei Capi di Stato e di Governo della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS) e per conoscenza al Segretario generale delle Nazioni Unite e alle ambasciate accreditate in Niger avverte che le sanzioni stabilite dai Paesi dell’Africa Occidentale (ECOWAS).
Per la loro immediatezza, la loro portata ei loro effetti, non hanno precedenti nella storia della nostra Organizzazione comunitaria ea livello del nostro continente. Anzi, dal nostro punto di vista, sono insopportabili, inefficienti e inadeguate e avranno conseguenze catastrofiche inimmaginabili sul Niger e soprattutto sulle sue popolazioni laboriose, già duramente colpite. Su un piano completamente diverso, queste sanzioni non possono essere giustificate dal nostro diritto comunitario e ancor meno dal diritto internazionale.
“Siamo ancora più preoccupati – proseguono nel documento i firmatari – per il futuro del nostro paese e della sua gente, poiché queste sanzioni sono accompagnate dalla minaccia di un intervento militare. Per questo, di fronte a questo imminente aumento dei pericoli per il nostro Paese e per la subregione, noi firmatari di questa lettera vi chiediamo di revocare le sanzioni contro il popolo nigerino e di utilizzare mezzi diplomatici e politici per trovare con l’Esercito soluzioni pacifiche e costruttive a questa grave crisi del nostro Paese”.
Un intervento militare avvicinerebbe la popolazione alla Giunta militare e questa alla Russia
Se è vero che i negoziati sono in salita, l’Occidente dovrebbe evitare in ogni modo di alimentare la narrativa di altri attori ostili attivi in Africa, primi ma non unici, Russia e Cina.
In passato ECOWAS è intervenuto militarmente durante le guerre civili in Liberia e Sierra Leone, nei primi anni ’90, per motivi umanitari, così come in tempi più recenti in Gambia, in seguito al rifiuto dell’allora presidente Yahya Jammeh di cedere il potere ad Adama Barrow, emerso come il vincitore delle elezioni nel 2017. Questi interventi militari hanno contribuito al ripristino della pace, della sicurezza e della stabilità nella regione, ma questa volta il contesto di intervento è totalmente differente.
Se in Liberia e Sierra Leone, i militari di ECOWAS sono stati accolti dai cittadini come i loro salvatori, in quel momento, in Niger l’intervento armato è scongiurato da gran parte della popolazione, compresi i sostenitori di Bazoum. Il primo segnale che lascia presagire che l’intervento possa rivelarsi fallimentare è l’assenza di piena legittimità dell’ECOWAS tra le componenti sociali del Niger.
Lo dimostra il fatto che, dopo il colpo di stato, alcuni nigerini sono scesi in piazza per dimostrare il loro sostegno ai golpisti, arrivando ad assaltare l’Ambasciata francese. Fintanto che una parte significativa della società nigerina sosterrà i suoi nuovi governanti, un intervento militare potrebbe solamente avvicinare ancor di più la popolazione alla giunta militare e questa ricorrere al sostegno russo, dando vita a un conflitto prolungato su larga scala, o proxy war. Non basterà un intervento militare a cambiare i sentimenti della gente.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.