I cambiamenti in Niger mettono a rischio la sicurezza energetica dell’Europa

I cambiamenti in Niger mettono a rischio la sicurezza energetica dell’Europa

10 Agosto 2023 0

Il mutamento degli equilibri geopolitici che sta caratterizzando l’Africa occidentale genera degli effetti anche sulle forniture energetiche verso l’Europa. Se il golpe avvenuto in Niger portasse a un blocco dell’export di uranio, la produzione di energia nucleare in Francia subirebbe dei gravi problemi. Ma il mercato dell’energia ne è influenzato già adesso, dimostrando ancora una volta che le sanzioni UE contro la Russia sono ipocrite e controproducenti.

Il gasdotto transhariano

Il “super gasdotto” transhariano adesso rischia di saltare o di essere rimandato sine die. È il Trans-Saharan Gas Pipeline (TSGP), la conduttura che dalla Nigeria dovrebbe arrivare in Algeria, correndo nel deserto per 4mila chilometri fino per unirsi al sistema che alimenta di combustibile anche la Spagna e l’Italia. È un progetto da 13 miliardi di dollari per lo sfruttamento degli enormi giacimenti nigeriani e il trasporto del gas fino in Europa.

L’idea era stata lanciata già negli anni ’70, senza però trovare alcuna attuazione pratica, fino a che nel luglio dello scorso anno i governi di Niger, Nigeria e Algeria hanno firmato un memorandum di intesa per avviare i lavori di costruzione. Se il nuovo governo nigerino prenderà saldamente il potere, il progetto potrebbe essere rivisto o addirittura accantonato.

Il motivo è che la fazione oggi al comando, quella del generale Abdourahmane Tchiani, non è interessata ad agevolare la fornitura di gas alle condizioni attuali. In linea di principio è ostile a tutto ciò che caldeggiava il precedente governo, quello dell’ex presidente Mohamed Bazoum, filo-occidentale e soprattutto filo-francese. Si è già vociferato di un bando alle esportazioni verso l’Europa di beni come l’oro e l’uranio, sebbene per il momento non sia cambiato nulla.

Per i Paesi UE rimane però il rischio di non poter accedere a nuove sorgenti di combustibile. I mesi freddi paiono ancora lontani, ma il tempo scorre: senza il gas russo, che Bruxelles ha sanzionato con gioia e squilli di tromba, cosa faranno i vertici UE per non lasciare al freddo i cittadini?

Uno sfruttamento coloniale mascherato

Parigi, Washington e Bruxelles vogliono mantenere con Niamey i rapporti commerciali alle condizioni di sempre. Per farlo, potrebbero essere disposti a scatenare una campagna militare. D’altra parte, migliaia di soldati francesi e americani sono già presenti sul territorio. I rapporti speciali, “privilegiati”, sono quelli sul genere della compagnia francese che estrae uranio dai giacimenti nigerini.

La proporzione è la seguente: i francesi vendono l’uranio sul mercato a 218 dollari, dando al Niger appena 11 dollari. Il 5% è una cifra molto vicina a quello che si chiama “sfruttamento di stampo coloniale”, che non somiglia certamente a una relazione paritaria fra il detentore locale della materia prima e un investitore straniero.

A questo proposito, la dichiarazione del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a proposito dell’atteggiamento di Parigi è stata diretta e bruciante: Questo non è il primo caso che coinvolge la Francia. Le pratiche dei francesi in Algeria e in Rwanda sono entrate nella storia mondiale. Nei primi giorni del golpe circolava la notizia che il nuovo governo fosse in procinto di vietare le esportazioni di oro e di uranio verso la Francia.

Erdoğan aveva commentato così: è una risposta all’oppressione durata anni. Ha poi sottolineato che la Turchia si è sempre distinta per aver cercato di mantenere relazioni “positive” con i Paesi africani.

La presenza militare occidentale in Niger

Il blocco euroatlantico si straccia le vesti per la presenza nel Continente Nero degli uomini del gruppo Wagner. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avvertito che i russi potrebbero “cercare di trarre vantaggio” dall’instabilità creatasi nel Niger. Ha comunque precisato che né la Russia né la Wagner hanno istigato il colpo di stato. Tuttavia proprio gli USA, così come la Francia e persino l’Italia, hanno dei militari stanziati sul territorio nigerino.

Accordi intergovernativi, vigilanza sulle attività degli integralisti islamici, operazioni di antiterrorismo: motivi legittimi per mandare i soldati, ma è pur sempre una forte presenza armata di quei Paesi occidentali che sono i primi clienti delle materie prime del Niger.

Forse solo l’Italia fa eccezione, visto che non abbiamo centrali nucleari e dunque non siamo interessati all’uranio nigerino. Ad oggi, Roma ha ritirato 65 uomini della missione di addestramento MISIN; ne restano altri 250, che dovrebbero rientrare presto. La Francia ha 1500 soldati, in parte quelli prima dislocati nei due Paesi confinanti, Mali e Burkina Faso, che li hanno “cacciati” dopo i rispettivi colpi di stato.

Parigi li vuole tenere in Niger, perché sono essenziali per garantire la sicurezza delle compagnie francesi che sfruttano le miniere di uranio. Gli USA hanno circa mille uomini e una base aerea per droni. Anche per Washington è importante “esserci”, per proteggere i canali di fornitura dell’uranio.

La vice segretario di Stato Victoria Nuland si è reсata a Niamey per offrire la mediazione americana, ma la sua proposta è stata rifiutata dai nuovi vertici del Niger. Come ha detto lei stessa, i colloqui sono stati estremamente franchi e a volte piuttosto difficili, che tradotto dal linguaggio diplomatico significa: i nigerini mi hanno sbattuto la porta in faccia.

L’uranio interessa più della democrazia

I Paesi occidentali che parlano di ristabilire la democrazia in Niger in realtà sono più interessati a non perdere l’approvvigionamento di uranio e di altre materie prime. La situazione potenzialmente è molto grave per chi importa il combustibile da impiegare nelle proprie centrali nucleari. Si tratta in primis di USA e Francia.

Stranamente, il settore nucleare russo non è stato toccato né dalle sanzioni UE né da quelle americane. Queste eccezioni contraddicono gli slogan moralisti di Bruxelles e Washington, ma il fronte euroatlantico semplicemente non può permettersi di perdere la Russia come partner commerciale per determinati “articoli”. Per fare un esempio, pure i diamanti russi sono stati di fatto risparmiati dalla scure sanzionatoria della UE: il Belgio ha infatti insistito per salvare uno dei suoi settori più proficui, alla faccia della solidarietà fra Paesi membri e della tanto decantata solidarietà all’Ucraina.

Oggi, ripristinare il governo di Bazoum interessa nella misura in cui serve a tenere in piedi il sistema che favorisce la posizione occidentale. Nel caso dell’uranio, gli USA rischiano quasi quanto la Francia. Se Niamey li penalizzasse in qualche modo, li esporrebbe ancora alla dipendenza dalle importazioni dalla Russia, la quale che detiene sia una buona porzione dei giacimenti mondiali di uranio sia una grossa quota di produzione del combustibile nucleare. Le centrali nucleari americane producono elettricità ed energia per far funzionare l’economia USA: è facile immaginare le conseguenze catastrofiche per Washington se dovessero esservi delle difficoltà in questo senso.

La situazione dell’uranio e le sue prospettive

Il Niger è il settimo Paese al mondo per estrazione di uranio, con circa il 4% della quota mondiale. È uno dei maggiori fornitori dei Paesi UE ed è il principale per la Francia, la quale si affida al nucleare per produrre il 70% del suo fabbisogno di elettricità. È evidente, quindi, che la posizione di Parigi in questo momento è molto delicata, perché in prospettiva è sorto un nuovo rischio, quello di restare al buio. Il Ministro degli Esteri francese si è affrettato a tranquillizare tutti, dicendo che il Paese ha scorte per almeno due anni.

Secondo Ben Godwin, esperto del PRISM Political Risk Management, per il momento non sussiste un pericolo vero e proprio di deficit energetico, ma gli squilibri di mercato sono inevitabili. Grazie al cosiddetto “rinascimento nucleare”, il prezzo dell’uranio era in crescita già da diverso tempo e qualunque turbolenza geopolitica in un Paese produttore non può che rendere il mercato ancora più teso. E se da un lato la domanda di nucleare cresce, l’offerta resta invariata o minaccia di essere monopolizzata ancora di più. I Paesi occidentali guardano infatti con apprensione anche al Kazakistan, che è in assoluto il “campione” dell’uranio (45% della quota mondiale) e che gravita nell’area di influenza russa e cinese.

Sul piano militare e della sicurezza fa infatti parte della SCO, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, mentre a livello commerciale è membro della UEE, l’Unione Economica Eurasiatica. Il mutamento degli equilibri geopolitici che sta caratterizzando l’Africa occidentale genera degli effetti anche sulle forniture energetiche verso l’Europa. Se il golpe avvenuto in Niger influenzato già adesso il mercato dell’energia, dimostrando ancora una volta che le sanzioni UE contro la Russia sono ipocrite e controproducenti.

Vincenzo Ferrara
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