L’opposizione turca vuole spingere Erdoğan a rinunciare al potere
Sullo sfondo della pesante crisi economica e valutaria che attanaglia il Paese, il politologo turco Kerim Has spiega le ragioni e le possibilità di riuscita dell’opposizione anti-Erdoğan.
In Turchia sei partiti di opposizione hanno deciso di unire le forze per ripristinare il sistema parlamentare nel Paese. I soggetti ostili al presidente Recep Tayyip Erdoğan vogliono non soltanto porre un limite alla sua permanenza al potere, ma anche abolire alcune sue importanti prerogative. A dare origine a questa coalizione informale è la situazione di crisi in cui versa la valuta nazionale; il deprezzamento della lira non ha convinto infatti il Capo dello Stato della necessità di cambiare la sua politica economica. Secondo gli esperti, un tale risveglio dell’opposizione potrebbe essere legato al crollo di popolarità del presidente e all’intenzione di formulare con buon anticipo il programma per le elezioni generali del 2023. A far parte della coalizione sono entrati per lo più gli esponenti dell’opposizione parlamentare; il 30 novembre i deputati hanno tenuto un ennesimo tavolo di trattative. I critici di Erdoğan insistono sul limite al mandato e sul volume di competenze che gli spettano, che andranno invece conferite all’organo legislativo. Al tempo stesso vorrebbero obbligare il Capo dello Stato a rinunciare all’attività politica dopo che avrà lasciato la sua carica. Nell’iniziativa dei sei partiti si parla anche di rendere indipendente il potere giudiziario, i giornalisti e i circoli accademici. Il progetto riguarda altresì la necessità di abbassare dal 10% al 3% la soglia elettorale per l’accesso al Parlamento; i rappresentanti dell’opposizione propongono inoltre di nominare fra i deputati un consiglio di ministri. Alcuni di questi punti erano stati cancellati dopo le modifiche della Costituzione e il passaggio al sistema superpresidenziale avvenuti nell’era Erdoğan.
La causa della mobilitazione dei gruppi di opposizione è la caduta del cambio della lira, che quest’anno ha perso – come riportato dai media turchi – il 45% del suo valore, mentre un successivo colpo lo ha subito dopo la decisione della Banca Centrale di abbassare il tasso di interesse. L’inflazione è il risultato, ma gli alti tassi di interesse sono la causa, ha affermato Erdoğan ai giornalisti a bordo del suo aereo, dopo essere ripartito dal Turkmenistan. Ho difeso questa tesi dal momento in cui sono diventato presidente e continuerò a farlo. Tayyip Erdoğan non si mette fare zigzag. Anche l’alleato del presidente nel fronte parlamentare Devlet Bahçeli, che guida il Partito del Movimento Nazionalista (MHP), difende le misure in vigore prese dalla dirigenza turca e accusa di tradimento chi le contesta, riferendosi soprattutto a Kemal Kılıçdaroğlu, leader del Partito Popolare Repubblicano (CHP), la maggiore forza di opposizione in Parlamento. È interessante notare come tra le file dei lealisti sia molto diffusa la tesi del complotto: così, Bahçeli collega apertamente il deprezzamento della lira con un “sabotaggio valutario” ed esprime la convizione che una “lobby dei tassi di interesse” voglia imporre la sua influenza sul palazzo presidenziale.
Comunque, persino in tali circostanze di crisi l’opposizione difficilmente riuscirà a realizzare le sue nuove iniziative: lo ha detto a “Nezavisimaya Gazeta” il politologo turco Kerim Has. Anzitutto, i sei partiti di opposizione che annunciano la necessità di una revisione del sistema statale rientrano, salvo qualche eccezione, fra le forze attualmente in Parlamento, nel quale la maggioranza dei posti appartiene ai sostenitori dell’alleanza di governo tra il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) e l’MHP, spiega l’esperto. Annunci di questo genere sono solamente un esercizio di retorica, ben difficili da mettere in pratica. Has ipotizza che le idee dell’opposizione siano parte di una campagna pre-elettorale che sta lentamente cominciando ad attivarsi nel Paese. In secondo luogo, le suddette iniziative sono mirate a limitare per quanto possibile il sistema super-presidenziale che negli ultimi anni ha dominato la Turchia o magari a disfarsene del tutto, fa notare lo studioso. I sostenitori del cambiamento si richiamano alla necessità non solo di tornare al regime parlamentare, ma anche a quella di rafforzarlo, rivedendo in questo modo le norme che sussistevano in precedenza. Al tempo stesso si evidenzia come alla luce dell’esistenza del sistema super-presidenziale, di un’autocrazia e di una dittatura di fatto nel Paese è assente il principio dei pesi e contrappesi, cioè manca l’equilibrio fra i rami del potere statale. In terzo luogo, enunciazioni simili possono essere giudicate come la crescita di un “denominatore comune” al quale sono giunti i partiti di opposizione. Il fattore unificante per l’opposizione turca è sotto molti aspetti rappresentato dall’avversione all’attuale dirigenza: ciò rimane sostanzialmente uno slogan populista che manca di effettive chance di rapida trasformazione in qualcosa di reale. Uno degli elementi aggiuntivi che irritano non solo l’opposizione, ma anche alcune forze filo-governative, è la corruzione sempre più grave e i problemi veri dell’economia turca. Secondo Has, la crisi economica sta colpendo duramente nel portafoglio sia gli avversari politici che i sostenitori del presidente.
L’esperto nota che secondo le valutazioni dell’opposizione Erdoğan sta distruggendo lo Stato dall’interno e dopo la sua uscita di scena sarà indispensabile ricostruire il Paese partendo dalle macerie del sistema rimaste in piedi. L’assenza di diritti umani o le loro eclatanti violazioni, la criminalità giunta a dimensioni clamorose, le decine di migliaia di persone sgradite al potere e trattenute in carcere, le iniquità e le questioni sospette che riguardano il sistema giudiziario, i problemi con i migranti: per l’ennesima volta tutto ciò rappresenta un motivo per dubitare dell’efficienza degli attuali governanti e dello stesso sistema politico, riflette Has. Dall’altro lato, pure tra gli esponenti dell’opposizione vi è chi critica le iniziative proposte: Secondo costoro è possibile tirare fuori il Paese dall’impasse economica e socio-politica e dal caos solamente con un nuovo presidente che abbia le medesime enormi prerogative assegnate a Erdoğan. Secondo Has, le discussioni all’interno dell’opposizione vengono condotte sullo sfondo dell’aspettativa che le elezioni del 2023 abbiano la possibilità di essere effettuate come da programma. Ma la loro preparazione lascia in sospeso molte domande: in quale formato verranno effettuate, quanti voti prenderà Erdoğan, quanto tempo potrà tenere il consenso fra i critici del presidente? È assolutamente evidente come una tale rinascita delle file dell’opposizione è legata quasi certamente alla discesa considerevole della popolarità di Erdoğan e non al rafforzamento del sostegno all’opposizione da parte della popolazione turca, conclude l’esperto.
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