Appena lanciato e già affossato il nuovo progetto di Biden per ribadire il dominio Usa sulle Americhe e contenere l’influenza della Cina

Appena lanciato e già affossato il nuovo progetto di Biden per ribadire il dominio Usa sulle Americhe e contenere l’influenza della Cina

24 Dicembre 2023 0

Dopo un mese e mezzo dal suo svolgimento, è ora di tirare le somme del primo vertice dell’Americas Partnership for Economic Prosperity (APEP). Tenutosi il 3 novembre alla Casa Bianca, ha visto la partecipazione di appena dodici dei trentacinque Stati sovrani che formano le Americhe.

Ma ad affossare sul nascere questa iniziativa dell’amministrazione Biden non è solo la sua formulazione vaga e lo scarso interesse dimostrato da due terzi dei Paesi americani, ma soprattutto il fatto di rappresentare la promozione degli interessi statunitensi mascherata da progetto di utilità collettiva. E sembra che a Washington si siano resi conto dell’incombente fallimento del progetto.

Un summit partito subito male

Sui media euroatlantici l’evento è sostanzialmente passato in sordina. Eppure era stato annunciato un anno e mezzo prima, al Summit of the Americas del giugno 2022 a Los Angeles, dove Biden aveva delineato i tratti principali del progetto. Già il vertice losangelino era stato al di sotto delle aspettative, non riuscendo a coinvolgere un numero sufficiente di governi e a convincerli a ridare in mano a Washington la guida totale del continente.

L’esito era stato così deludente che Dan Restrepo, ex consigliere di Obama per gli affari dell’Emisfero Occidentale e coordinatore di due degli otto vertici precedenti, aveva auspicato che questo fosse l’ultimo Summit del genere. Restrepo spiega come tale evento triennale, concepito inizialmente come un modo per veicolare gli interessi statunitensi nel continente americano, col tempo si sia rivelato del tutto inefficace e si sia trasformato in una banale sfilata di personalità politiche.

Sembra che l’APEP sia segnato in partenza dagli stessi difetti del Summit of the Americas e sia soltanto la scusa per una foto di gruppo e qualche incontro bilaterale dietro le quinte. Già adesso si parla della sua caratteristica principale, la quale interessa particolarmente – se non esclusivamente – gli USA e il Canada: fare da contrappeso agli investimenti cinesi nel continente, che sono il grimaldello di Pechino per rimanere in America e mettervi radici.

Scarsa partecipazione

L’APEP è inteso come una cornice politica e finanziaria per rinforzare la cooperazione (leggasi influenza) di Washington in America Centrale e Meridionale, anche e soprattutto in chiave anti-cinese. Ma pesa l’assenza di alcuni Paesi, senza i quali il progetto nasce zoppo. In primis in Brasile, che da membro dei BRICS preferisce rafforzare la cooperazione con gli altri elementi del gruppo, peraltro in via di allargamento. E poi i Paesi del CELAC o Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, alcuni di essi fortemente critici verso l’egemonia statunitense. Tale organismo regionale comprende di fatto tutti i Paesi sovrani delle Americhe tranne gli Stati Uniti, il Canada e i territori dipendenti dall’Europa: uno dei suoi scopi è proprio quello di agevolare lo sviluppo e l’integrazione latinoamericana liberi dall’influenza degli USA.

Oggi il problema di Biden è che anche i Paesi tradizionalmente più vicini a Washington sono scontenti del formato con cui viene proposta la partnership, perché gradirebbero di più i tradizionali accordi commerciali preferenziali, che invece la Casa Bianca non vuole.

Al forum di Los Angeles la partecipazione era stata relativamente numerosa, pur mancando i leader di Cuba, Nicaragua e Venezuela perché non invitati, e contando che altri Paesi avevano mandato non i presidenti, bensì i ministri o gli ambasciatori. Al summit del 3 novembre invece si sono presentati i capi di Stato, ma erano soltanto dodici: gli USA in qualità di padroni di casa, Canada, Messico, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Barbados, Panama, Colombia, Ecuador, Peru, Cile e Uruguay.

Una formulazione vaga e confusionaria

Che la formulazione dell’APEP sia troppo vaga per avere un impatto o una forza attrattiva è stato affermato addirittura dal Council on Foreign Relations (CFR), che ha evidenziato lo scetticismo dei governi centro e latinoamericani e la loro mancanza di convinzione nel seguire i proponimenti espressi dall’ammnistrazione Biden. Il meeting di novembre ha delineato alcune delle priorità, ma il quadro generale è ancora troppo sfumato e il programma degli scambi commerciali non abbastanza chiaro.

Oggi il CFR, di cui David Rockefeller fu presidente ed Henry Kissinger uno degli esponenti principali, spiega come il vero potenziale dell’APEP sarà determinato dal modo in cui i Paesi dell’Emisfero Occidentale vorrano cogliere le “opportunità” che il progetto presenta. Il testo finale del vertice, la cosiddetta “dichiarazione della East Room” (che è una sala della Casa Bianca), contiene delle formule così generali da potersi applicare a un qualunque vertice internazionale di qualunque tipo. Ci sono tutti i termini-chiave ormai divenuti di moda e nei quali è facile leggere proprio l’opposto di ciò che vorrebbero rappresentare.

Si parla così per i Paesi dell’APEP di una visione comune per un emisfero aperto, equo, inclusivo, sostenibile e prospero. Noi immagiano un futuro più luminoso per tutte le genti delle Americhe, nel quale economie vivaci costruiscano società più eque e governi democratici, mediante istituzioni efficaci e al servizio di tutti. E non poteva mancare l’accenno alla necessità di contrastare il cambiamento climatico e al bisogno di maggiore “inclusività”, parola magica nella quale vengono inseriti i gruppi più disparati: donne, giovani e anziani, disabili, individui LGBTQI+, popolazioni indigene, comunità rurali e “afro-discendenti”.

Viene lasciato a future iniziative il compito di spiegare più in concreto come fare per dare prosperità a tutti, ma nel frattemo sono stabiliti cinque indirizzi prioritari, estremamente generici e così “buonisti” da non essere realistici: rafforzare la competitività e l’integrazione regionale, favorire la prosperità condivisa e buon governo, costruire infrastrutture sostenibili, proteggere il clima e l’ambiente e promuovere comunità sane.

La dottrina Monroe nascosta in bella vista

Al momento del suo annuncio a Los Angeles lo scorso anno, l’APEP somigliava all’altra iniziativa commerciale dell’amministrazione Biden, l’IPEF (Indo-Pacific Economic Partnership). Infatti anch’essa è organizzata intorno a una serie di aree o “pilastri”, quali gli scambi commerciali, le catene di distribuzione, l’equità e la trasparenza delle economie. La differenza principale è che gli Stati Uniti hanno già acoordi di libero scambio con otto degli undici Paesi APEP, mentre ne hanno solo tre su tredici per quanto riguarda l’IPEF.  È chiaro che gli USA hanno una posizione di rilievo, anzi di privilegio, ben maggiore nel proprio continente che nell’area indo-pacifica.

E oggi Biden vorrebbe rinforzare ancora di più la leadership statunitense proponendo con l’APEP una dottrina Monroe attualizzata e adattata ai nostri tempi. Servivano solamente un abbozzo di struttura e una qualche cornice valoriale per far apparire come buono, giusto e utile a tutti il rinnovato “impegno” degli USA nelle Americhe. Ma alla fine sempre di dottrina Monroe si tratta. Espressa dal presidente James Monroe nel 1823, afferma che l’Emisfero Occidentale è zona privilegiata di interesse strategico degli Stati Uniti.

Seguendo tale principio, gli USA non tollerano intromissioni esterne negli affari americani. E non solo: grazie al cosiddetto “corollario Roosevelt”, un’aggiunta fatta dal presidente Theodore Roosevelt nel 1904, si sentono autorizzati a non permettere che altre potenze straniere concorrano con essi alla posizione di guida del continente.

Il contenimento della Cina

Oggi è la Cina a rappresentare un formidabile concorrente per gli Stati Uniti nelle relazioni con i Paesi dell’America centrale e meridionale. Di Pechino non si parla esplicitamente nel testo della dichiarazione finale dell’APEP e nemmeno dei BRICS, ma non è necessario mettere nero su bianco ciò che Washington vuole dai Paesi suoi “amici” per evitare che il blocco avversario si espanda troppo: a comunicarlo ci avrà pensato Biden negli incontri tête à tête che si sono svolti a latere del summit.

Il Brasile, membro BRICS e prima economia dell’America Latina, non ha partecipato al vertice, mentre l’influenza della Cina nell’Emisfero Occidentale è in crescita.  Pechino è il primo partner commerciale di Brasile, Perù e Cile ed è fortemente presente nello sviluppo delle infrastrutture locali a Panama, in Ecuador e in Argentina. Ce n’è già abbastanza per richiedere un intervento di Washington, senza nemmeno considerare gli altri punti di scontro che impensieriscono la Casa Bianca, come ad esempio Cuba e il Venezuela. Con l’APEP l’amministrazione Biden vuole rioccupare gli spazi lasciati liberi sul continente nell’ultimo decennio, puntando su una strategia di friendshoring e su un piattaforma di scambi commerciali che implichi la condivisione di valori e di obiettivi comuni.

Ma questa iniziativa è affossata sul nascere non solo dalla sua formulazione vaga e dallo scarso interesse dimostrato da due terzi dei Paesi americani, ma soprattutto dal fatto di rappresentare la promozione degli interessi statunitensi mascherata da progetto di utilità collettiva. E sembra che a Washington si siano resi conto dell’incombente fallimento del progetto.

Martin King
Martin King

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