Relatrice Onu Francesca Albanese: “di fronte al genocidio in corso in Palestina, inaccettabile indifferenza come ai tempi dell’olocausto”
“Devo dire che non avevo intenzione di scrivere un rapporto sul genocidio prima della fine di dicembre. Infatti stavo già preparando un’altra relazione su un altro tema, avevo già raccolto molte informazioni su come i finanziamenti, sia privati che tramite fondi pensione, nonché sulle imprese e come questo settore privato trae vantaggio da ciò che sta accadendo nei territori palestinesi occupati. E poi è successo il 7 ottobre ed è stato chiaro fin dall’inizio che c’era qualcosa che non era come le guerre precedenti che sono state sempre molto violente. Ma come mi è stato detto, mentre ero in Qatar, nel mio primo incontro con i sopravvissuti, questa volta l’offensiva israeliana, per il tipo di armi usate e per le modalità di attacco fin dall’inizio, è stata molto più cruenta rispetto al passato”.
A dirci questo è Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, parlando a Tunisi, nell’ambito di un tour internazionale che ha l’intento di diffondere la consapevolezza di quanto sta accadendo in Palestina, qualcosa che la relatrice non esita a definire “genocidio” come nel suo ultimo libro “J’accuse”, in cui accusa appunto Israele e i suoi partners internazionali di gravi crimini contro il popolo palestinese.
Territori palestinesi che la stessa relatrice non può visitare in quanto Israele non riconosce il suo ruolo oltre ad averla dichiarata persona non grata. “È stato davvero difficile parlare con le vittime, che sono state amputate senza anestesia e immaginare che abbiano vissuto tutto ciò; non solo il trauma fisico ma anche quello mentale nonché vedere la distruzione di Gaza”.Racconta Francesca Albanese, parlando delle sue comunicazioni video con i residenti nella Striscia di Gaza in una sala gremita di giovani per un incontro intervista condotto da Marco Polverari.
Ipocrisia e bugie sui media mainstream
“Sapere che sono lì e possono morire da un momento all’altro, nonché vedere i soldati israeliani, perché come in ogni contesto di genocidio, le persone che commettono atti di genocidio, quasi lo pubblicizzano, è successo in Ruanda, in Bosnia, anche se non c’era la capacità della tecnologia di cui disponiamo oggi. I soldati israeliani hanno reagito ai discorsi dei politici e degli ufficiali dell’esercito che hanno detto fin dall’inizio: ‘siamo in una guerra contro degli animali, sono tutti terroristi, dobbiamo rompergli le ossa’. Il linguaggio era genocidario, questo è stato riconosciuto già il 26 gennaio dalla Corte di giustizia internazionale che ha affermato che Israele è obbligato, tra gli altri, a indagare e perseguire l’incitamento al genocidio”. Continua la relatrice speciale, criticando duramente i media occidentali, per la loro censura ed autocensura.
“Qualunque cosa accada, è scioccante quello che fanno i media nel mondo occidentale perché ad esempio, alla UCLA, dove ci sono state proteste, creando sit-in nei campus delle università e lì a Los Angeles sono stati attaccati da gente filo-israeliana che era molto violenta mentre la polizia era lì senza intervenire. Le proteste pacifiche in altre città sono state interrotte da rioni pro Israele che hanno attaccato anche gli insegnanti e picchiato i giornalisti. Eppure diversi servizi televisivi americani dicono che le proteste sono diventate violente e sembrava che la colpa fosse del campo filo-palestinese ma è chiaro che non è così e continuano a mentire. Per fortuna – aggiunge Francesca Albanese – oggi ci sono altri modi per informarsi ed è vero che internet non è necessariamente, non è del tutto libero, ci sono forme di controllo e forme punitive contro i palestinesi soprattutto perché non possono parlare come vogliono, non possono usare il linguaggio che desiderano”, ha spiegato, riferendosi al termine sionismo bannato da alcune piattaforme di social media con i cui managers ha avuto lei stessa colloqui.
“Mi hanno detto che la parola sionismo è antisemita, ma allora dovrebbero bannare anche comunismo perché è anch’esso un’ideologia. Se dire sionismo fa attivare la censura, anche parlare di comunismo dovrebbe farlo. Ma c’è tutta un’opera di decostruzione della realtà. Ed è grazie a tutto ciò che sappiamo che migliaia di giovani, nelle scuole e nelle università iniziano a protestare. Ed è nostro dovere sostenerli, dobbiamo avere il coraggio di fare qualcosa ciascuno nel suo campo di attività perchè mettere i like su Facebook, non basta”.
Indifferenza come accaduto durante l’olocausto
“Dobbiamo intraprendere azioni concrete, ciascuno secondo le proprie possibilità come fanno i funzionari dell’Unione Europea a Bruxelles. Dobbiamo far sentire la voce della gente, se di fronte al genocidio non ci alziamo e non diamo forma alla nostra indignazione, se fossimo teletrasportati ad 80 anni fa, faremmo la stessa cosa, staremmo in silenzio davanti all’Olocausto, che è stato possibile non solo perché negli eserciti c’erano persone pazze e violente, ma perché la società era indifferente. Se ‘mai più’ significa qualcosa, oggi significa assumere una posizione forte e inequivocabile per proteggere i palestinesi e salvarli dal genocidio”, evidenzia Francesca Albanese, prima di criticare l’atteggiamento dei leader europei davanti al massacro in corso a Gaza.
“Non ho mai visto in vita mia il silenzio ipocrita e colpevole che vedo oggi tra i leader europei, non si parla più nemmeno di violazione del diritto internazionale. Quindi la storia non ha insegnato loro nulla, ma almeno le persone consapevoli devono impegnarsi”, incalza Albanese ribadendo che “fin dall’inizio abbiamo visto che questa guerra era qualcosa di diverso, perché l’esercito israeliano aveva preso di mira tutto, gli attacchi militari di Israele solitamente sono violenti, ma è possibile individuare degli obiettivi, oggi non c’è distinzione, hanno iniziato a bombardare tutto, le università, le chiese, i luoghi che rappresentano l’identità palestinese”.
La relatrice ribadisce inoltre il diritto degli studenti a dimostrare pacificamente “soprattutto nelle università, finanziate con i loro soldi, affinché interrompano le relazioni con Israele. È una richiesta del tutto legittima, ma ovviamente ha guadagnato slancio, perché è unita a tutte le proteste portate avanti altrove negli Stati Uniti, non solo dalle comunità arabe, ma dalla stessa comunità ebraica americana. È qualcosa che mi dà davvero molta speranza. Il mondo si sta ribellando ed è una rivoluzione che parte dal basso”, afferma.
Perché è corretto parlare di genocidio?
Francesca Albanese ribadisce che il 16 ottobre, trenta relatori delle Nazioni Unite hanno firmato una dichiarazione, in cui mettevano in guardia del rischio che stesse accadendo un genocidio. “Noi occidentali abbiamo ancora una percezione molto specifica di cosa sia un genocidio. Non sappiamo nulla di quale sia il testo, la convenzione o l’impianto legislativo che stabilisce quali siano le condizioni per poter parlare di genocidio. È una discussione che ho avuto con tante persone in Italia ma anche in altri paesi occidentali, come in Francia. Nella nostra concezione il genocidio è l’Olocausto, quanto accaduto in Ruanda, Bosnia, Myanmar, non genera nessun sentimento, non lo sentiamo. Ma bisogna essere chiari, cosa è un genocidio non lo stabiliscono le opinioni personali, non lo stabiliscono le storie personali, anche se dolorose”.
Sottolinea la relatrice speciale esprimendo sgomento quando le persone sopravvissute all’olocausto, dicono che non è la stessa cosa: “non possiamo parlare di genocidio, dicono, ma in realtà dobbiamo parlare di genocidio secondo la convenzione. Non dobbiamo pensare al genocidio commesso dai tedeschi e dagli italiani durante il nazifascismo, ma cosa prevede la convenzione per la prevenzione e la criminalizzazione del genocidio”.
“Si tratta – spiega ancora Albanese – di atti che possono essere compiuti con l’intenzione di distruggere una popolazione, un gruppo protetto dalla convenzione, vale a dire un popolo o una parte del popolo. Gli atti di genocidio che la convenzione identifica come omicidi, l’inflizione di dolore fisico o mentale ai membri del gruppo, l’impedimento delle nascite, il trasferimento forzato del gruppo protetto e la creazione di condizioni che portano alla distruzione del gruppo totalmente o parzialmente. Ecco, ciò che è difficile nel genocidio è dimostrarne l’intenzione”, aggiunge. “Non solo dell’intenzione di uccidere, di creare condizioni di vita impossibili, di causare dolore fisico o mentale, parliamo anche dell’intento specifico di distruggere la popolazione, il gruppo protetto. Ed è ciò che sta accadendo a Gaza: gli atti, che ho ben documentati nel verbale, omicidi che hanno causato ogni tipo di dolore”.
Si parla solamente di una soluzione a due Stati
Negli ultimi trent’anni il dibattito politico si è fermato alla questione dei due Stati. “La soluzione politica, si parla solo di questa parte”, evidenzia la relatrice notando che “anche adesso che a Gaza è in corso un genocidio, l’idea più brillante dei nostri politici è quella di parlare dei due Stati. Per trent’anni non hanno ottenuto nulla, e ora la cosa più intelligente e concreta che viene loro in mente sono i due Stati. Parlare di apartheid, ad esempio, spiegando perché è apartheid, suscita ancora scalpore, soprattutto quando a farlo è qualcuno delle Nazioni Unite e non necessariamente attivisti del Bds (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS) è un movimento a guida palestinese per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza ndr) o altri a proporre questo argomento.
È difficile produrre il cambiamento necessario come relatore speciale quando parlare di apartheid, con parlamentari, membri del governo, in ogni capitale di ogni paese europeo incontra ancora resistenze,” confessa commentando il mancato riconoscimento del ruolo di relatore da parte di Israele e l’impossibilità di entrare nei territori palestinesi occupati così come le dichiarazioni del ministro degli Esteri israeliano contro l’Onu e il segretario generale, Antonio Guterres, accusato addirittura di favorire il terrorismo, o contro l’agenzia per i rifugiati (Unrwa).
È inaccettabile che chiunque chieda il rispetto dei diritti fondamentali dei palestinesi sia accusato di sostegno al terrorismo
“Tanto che Israele – precisa Albanese – ha addirittura diffuso un rapporto in cui accusava 12 membri della stessa agenzia di aver partecipato agli atti del 7 ottobre”.
“C’è un clima di intimidazione da parte di Israele, dove esiste un Ministero degli Affari Strategici per la lotta all’antisemitismo, che dura da più di un decennio. Chiunque osi, non necessariamente criticare, ma applicare il diritto internazionale, esigere una giustizia fondamentale per ciò che sta accadendo nei territori palestinesi occupati, si ritrova accusato di antisemitismo e di sostegno al terrorismo. Ed è molto comune. Con il passare del tempo, ciò crea un clima intimidatorio che spinge le persone a rimanere in silenzio, ad autocensurarsi o addirittura a censurare gli organi di stampa.
Tutto ciò è molto grave, perché è diventato il veicolo di un razzismo antipalestinese che non viene ancora capito”, prosegue ribadendo che è “molto serio che tutte le persone che chiedono il rispetto dei diritti fondamentali dei palestinesi, si sentano accusati di sostenere il terrorismo o di essere antisemiti rivelando in realtà che tutti i palestinesi sono visti come una minaccia esistenziale per Israele, come terroristi. E questo linguaggio ha preso piede anche nel mondo occidentale ed è razzismo anti-palestinese. Va denunciato come tale, perché è inaccettabile la discriminazione, la stigmatizzazione dell’identità palestinese, l’associazione con i terroristi, con persone che commettono crimini solo per pretendere l’applicazione della legge oltre a banalizzare anche l’antisemitismo”.
Il timore della relatrice speciale delle Nazioni Unite “è che vedremo sempre più antisemitismo. Ciononostante ci sono persone che si ribellano, soprattutto i più giovani, per ciò che sta accadendo in Palestina. I giovani sono disgustati da ciò che accade in Palestina. E sono anche disgustati da questa cultura di abuso, manipolazione e intimidazione continua”.
Da Israele, accuse ridicole
Rispondendo alle accuse di Israele, Francesca Albanese afferma che “è ridicolo dire al Segretario Generale delle Nazioni Unite che sostiene il terrorismo, come tutti i relatori speciali delle Nazioni Unite, o la commissione d’inchiesta, o la corte penale internazionale che non ha fatto nulla. Per la prima volta il procuratore generale ha detto ‘stiamo lavorando, stiamo facendo un’indagine seria su quello che è successo dal 7 ottobre, il che significa anche dare giustizia alle vittime israeliane’.
E da qui cominciamo le minacce di Israele e degli amici di Israele. Sono scioccata perché davvero, venendo dal sud Italia, non ci sono parole molto belle che mi vengono in mente, ma questo clima intimidatorio non mi fa pensare a nulla. Il clima è efficace perché ci sono addirittura molti paesi che hanno sospeso i finanziamenti ad Unrwa. Questo non solo è immorale, ma ha importanti conseguenze legali. Alla fine di dicembre si contavano già circa dodicimila morti a Gaza, il che è sconcertante.
Nei primi nove giorni di questo conflitto, Israele ha ucciso più palestinesi che nella guerra più mortale delle cinque che hanno avuto luogo a Gaza prima del 7 ottobre. Anche nel 2008, 2012, 2014, 2018 ci sono stati molti morti per la Grande Marcia di Ritorno. E dopo il 2021, 2022, cinquemila morti e più, e tra questi milleduecento bambini. Quanti 7 ottobre hanno vissuto solo i palestinesi di Gaza? Ciò non giustifica quanto accaduto il 7 ottobre, ma se c’è stato odio, ci sono stati eventi che lo hanno prodotto”.
Se non vengono applicate nemmeno le risoluzioni Onu, cosa resta di questo sistema?
Oltre a parlare della causa intentata dal Sudafrica alla corte internazionale, la relatrice ricorda che “c’è anche la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ad urgere un cessate il fuoco. Se anche le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non vengono più applicate, cosa resta di questo sistema? Non ci vergogniamo o cosa?”. Un sistema quello delle stesse Nazioni Unite che da tempo vacilla, mentre aumentano i dubbi se cinque Paesi, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, possano davvero garantire la pace o se invece questo impianto, nato dopo il secondo conflitto mondiale sia ormai obsoleto.
“Penso che la novità del mio ultimo rapporto sia il camuffamento umanitario, perché di fatto Israele non ha negato di aver ucciso oltre 35 mila persone, non ha negato di aver distrutto altri”, puntualizza evidenziando che Israele “lo giustifica dicendo che è in linea con il diritto internazionale. È Hamas che si nasconde dietro i civili. Ma nel diritto internazionale dobbiamo dimostrare, dobbiamo prima evitare che esista uno scudo umano, poi dobbiamo dimostrarlo. Sebbene ci siano molte prove già raccolte da organizzazioni non governative e commissioni d’inchiesta del 2008, 2012, 2014, 2021, secondo cui Israele inventa e utilizza questo argomento dello scudo umano per uccidere chiunque. È già successo, non è una novità.
E poi c’è la logica genocida fin dall’inizio, visto che non esiste il diritto di invocare l’autodifesa in questa guerra. Ma anche se ci fosse l’autodifesa, non potremmo uccidere tutti e distruggere tutto perché ci sono delle regole che disciplinano il conflitto nel diritto internazionale. Non si può uccidere indiscriminatamente, abbattere edifici civili, prendere di mira gli ospedali. E lì Israele ha giustificato tutte queste operazioni perché voleva uccidere gli uomini di Hamas.
Ma chi è il popolo di Hamas? Perché anche se sono combattenti, sempre secondo il diritto internazionale possono essere uccisi solo se sono in combattimento attivo. Vale per i combattenti di Hamas, vale per i soldati israeliani. A Gaza nulla di tutto ciò è stato rispettato e così Israele giustificava l’uccisione di ingegneri, artisti, medici, giornalisti. Tutti erano Hamas. Così siamo arrivati a 35 mila persone uccise, tra cui 14 mila bambini”.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.