Alla scoperta della Sacra di San Michele, grande tesoro delle Alpi occidentali

Alla scoperta della Sacra di San Michele, grande tesoro delle Alpi occidentali

6 Maggio 2024 0

La Sacra di San Michele è sì il monumento simbolo del Piemonte, dal 1994, sì un importante sito storico-artistico internazionale, una meta imprescindibile per gli amanti della montagna e dei boschi, ma è anche – e soprattutto – un Santuario, una delle più importanti fondazioni monastiche del Piemonte (e non solo) ed uno dei maggiori centri di pellegrinaggio micaelico al mondo. I membri dell’Istituto della carità (fondato dal beato Rosmini il 20 febbraio 1828), o rosminiani, ne sono i custodi dalla prima metà dell’Ottocento. Il celebre poeta Clemente Rebora fu uno dei suoi membri.

“Da questo culmine sacro,

ascende radiosa l’innocenza del giorno nascente

in una silenziosa comunione di vita,

che è tenerezza d’amore verso un segno d’eternità,

delle vette che guardano e s’intendono in pace”

In questo modo il Rebora descriveva il panorama che si scorge e la serenità che si respira dalla Sacra di San Michele e dal Pirchiriano, “culmine vertiginosamente santa”.

La Sacra venne fatta costruire da San Giovanni Vincenzo (955-1000) e dal conte alverniate Hugon di Montboissier (940 – 1016), poco prima dell’anno Mille, sulla vetta del monte Pirchiriano. Secondo la tradizione, San Giovanni fu ispirato dall’arcangelo in persona, a cui era molto devoto, il quale gli chiese di edificare in suo onore una cappella sul monte Pirchiriano. Il santo è venerato sin dal 1150 e le sue spoglie riposano sotto l’altare maggiore della chiesa parrocchiale omonima, in Sant’Ambrogio di Torino.

Per meglio approfondire la storia e il significato di questo importante luogo “tra le Alpi e il Cielo”, chi scrive ha incontrato il rettore dell’abbazia, don Claudio Papa, e Miriam Cuatto, una brillante medievista valsusina, laureanda in storia dell’arte presso l’università di Siena, che per anni ha fatto la volontaria alla Sacra, accompagnando visitatori e pellegrini.

Il racconto che ne è uscito permetterà di scoprire, o riscoprire, la bellezza e il significato dei tesori spirituali e storico-artistici che impreziosiscono la Sacra. E non solo. Permetterà di compiere un viaggio tra i secoli, che trova il punto di abbrivo poco prima dell’XI secolo, nel periodo in cui la Sacra venne eretta e guidata dai monaci di San Benedetto; attraversa secoli di splendore e di decadenza, quando da abbazia nullius divenne accomandata da casa Savoia; rinasce con l’arrivo (1836) dei figli del beato Rosmini, dopo circa 600 anni di vita benedettina e una breve parentesi con i cistercensi di Collegno (1826-1836).

Iniziamo con padre Claudio Papa, rettore dell’abbazia sacrense dal 2018.

– Don Claudio, qual è la situazione che il Rosmini e i suoi figli trovarono al loro arrivo all’abbazia valsusina? Come si è venuto delineando il rapporto tra loro, La Sacra e il territorio ove essa si trova?

La Sacra fu fondata intorno all’anno mille per volontà di san Giovanni Vincenzo, vescovo di Ravenna, il quale intendeva rafforzare il culto a san Michele Arcangelo nelle terre piemontesi. Fu ispirato da un sogno e da un segno miracoloso: la “consacrazione angelica” del Pirchiriano. I benedettini si insediarono sotto l’abate Adverto, il quale proveniva dalla Francia, insieme a Ugo di Montboissier detto lo “scucito”, considerato il fondatore “laico” dell’abbazia. Detto lo “scucito” a causa della sua prodigalità; difatti, scelse di favorire la costruzione del santuario micaelico proprio per fare penitenza.

– Dallo splendore al decadimento

Circa duecento anni dopo la fondazione della Sacra, essa fu ampliata in dimensioni e trasformata in un monastero vero e proprio. Tra l’XI e l’inizio del XIV, poté attraversare i secoli del suo maggior splendore. Sul finire del Trecento, iniziò la discesa giù giù per la china. E il terremoto del 1680 diede inizio al suo periodo più buio e meno nobile, nel quale i benedettini furono costretti ad abbandonarla del tutto. In questo frangente finì oggetto di razzie, vandalismo, devastazioni, furti e addirittura cannoneggiamenti, a causa del passaggio, nel corso dei secoli, di diversi eserciti, in particolare quello napoleonico.

Nel prenderne possesso, essi rubarono la maggior parte dei tesori quivi rimasti dopo l’abbandono; tesori in forma di documenti, pergamene, oggetti sacri. Si consideri che la Sacra possedeva (proprio perché era un ambiente benedettino) un’importante biblioteca con più di cinquemila volumi, uno scrittorio-laboratorio in cui si insegnava la scrittura in caratteri gotici e si realizzavano libri miniati.

Elementi che confermano che il santuario era un importante centro culturale, che molto probabilmente accolse e collaborò con grandi personalità del Medioevo, quali Guglielmo da Volpiano (960-1031), sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109); fatto che confermerebbe a sua volta la capacità dell’abbazia di valicare i confini della Valle; d’altronde, in essa trovavano ospitalità monaci e pellegrini provenienti da ogni parti d’Europa, e i suoi abati intessevano fondamentali reti spirituali, sociali, politiche, economiche, anche perché erano spesso richiesti in qualità di consiglieri presso corti regie, vescovili etc.

– La rinascita, tra i Savoia e il Rosmini

Malgrado i due secoli di abbandono, Casa Savoia, a cui ormai il santuario apparteneva, fin  dalla fine del XIV secolo, non perse le speranze. Carlo Alberto, che conosceva Rosmini ben prima della propria ascesa al trono, quando egli era semplicemente figlio di una nobile famiglia del Sacro Romano Impero, decise nel 1836, dopo una breve parentesi con i cistercensi della certosa di Collegno, di affidare la Sacra all’Istituto della Carità, insieme alle salme di ventiquattro reali, traslate dal Duomo di Torino, e ora tumulate nella chiesa del santuario entro pesanti sarcofaghi di pietra.

Nel contempo, Papa Gregorio XVI nominò con un breve, nell’agosto dello stesso anno, i rosminiani amministratori della Sacra e delle superstiti rendite abbaziali. Carlo Alberto contribuì anche a finanziare il restauro e la ristrutturazione dell’Abbazia, incaricando l’architetto Alfredo d’Andrade (1839-1915). Il beato Rosmini fece pervenire ai suoi religiosi, nelle sue visite e tramite spedizioni, circa 10.000 libri, in larga parte di teologia e filosofia, nel tentativo di far recuperare almeno in parte ciò che la Sacra aveva irrimediabilmente perduto.

Sia il Rosmini che il re erano animati da uno scopo nobilissimo. La Sacra sarebbe diventata un luogo di recupero della spiritualità e di redenzione delle anime dei nobili piemontesi, compresi i membri della medesima Casa reale sabauda. Però, fu più un ideale che una realtà, perché la conformazione e la posizione della Sacra (la prima strada carrabile sarà costruita quasi cento anni dopo, in epoca fascista) non resero il cammino facile.

Ma tale “ostacolo” (barriera architettonica, diremmo oggi) non fermò la volontà del beato e del suo istituto religioso di ridare vita e bellezza alla Sacra, affinché tornasse a essere un luogo atto alla cura dell’anima.

– Quali sono le attività, gli obiettivi del presente e del futuro prossimo venturo?

Partiamo da qui. Alla Sacra, i padri rosminiani (siamo in quattro) sono affiancati da dodici dipendenti e da una ventina di volontari, che curano la parte degli ingressi, in numero di oltre 300.000 l’anno. Un dato che ricorda che i compiti in abbazia non sono pochi. Noi sacerdoti garantiamo in primis il servizio liturgico stabile alla Sacra: ogni dì, alle 8:00 officiamo la Santa Messa quotidiana; due Messe la Domenica, una alle ore 10:00 (la più seguita nell’intera settimana), l’altra alle 16:00. Vi è anche un coro stabile, che negli ultimi 4 anni ha raggiunto livelli notevoli. Oltre a ciò, i padri sono a disposizione delle diverse necessità della Diocesi di Susa e dei paesi limitrofi della Diocesi di Torino, come Giaveno e Valgioie.

Questione obiettivi del prossimo futuro. Principalmente tre, e ben legati l’un l’altro. Essi riguarderanno, tra l’altro, il secondo quinquennio che mi vedrà ancora rettore qui alla Sacra, che inizierà a breve. Il primo è già stato citato, è migliorare l’accessibilità. Nel 2000, i fondi del Giubileo permisero il potenziamento dell’accessibilità. Con essi furono fatti molti altri lavori riqualificativi, a partire dalla costruzione degli ascensori. Ciò nonostante, il problema dell’accessibilità rimane, oggi come allora. La strada, per quanto ben tenuta, è pur sempre quella di 100 anni fa; gli ascensori hanno ormai quasi venticinque anni; e le rampe realizzate presentano pendenze diverse da quelle giustamente indicate dalle norme in materia.

L’accoglienza è il secondo obiettivo. È in costruzione, in prossimità dei ruderi del sepolcro dei monaci, dove una volta vi era un bar, un punto di accoglienza, che avrà al suo interno un esercizio di distribuzione di bevande e viveri, un centro informativo e un piccolo book shop, che permetteranno, attraverso materiali ad hoc, di promuovere ciò che si fa alla Sacra.

Arriviamo, infine, al terzo, che riguarda il significato più profondo della Sacra di San Michele. Negli anni sono aumentate le richieste, da parte di varie realtà, come le parrocchie, sia della Valle di Susa, che della Diocesi di Torino, per un centro di spiritualità. Ora lo stiamo finalmente istituendo. Per riuscirvi, saranno utilizzate le foresterie già esistenti e sarà realizzato un percorso staccato dalle visite (ed ecco perché è importante la questione dell’accessibilità) di carattere storico-monumentale. Non sarà possibile il pernottamento ma delle giornate di ritiro sì.

A questo percorso più spirituale sarà anche legata l’attività culturale di carattere convegnistico e artistico, a partire dall’organizzazione di concerti. Stiamo dunque lavorando affinché la Sacra possa tornare a svolgere la sua precipua funzione di santuario, al servizio di tutte le anime, cattoliche e non, le quali non si arrendono a una visione della vita solo “orizzontale”.

– La Sacra non è importante solo per il territorio valsusino; ha anche una dimensione più universale, come ricorda la “Linea” di San Michele. Di che cosa si tratta?

La “spada Micaelica” è una linea quasi perfettamente retta, che unisce 7 santuari dedicati al prìncipe delle milizie celesti, il più citato nell’Antico Testamento e il primo a venir citato: che sono il Monastero Stella Maris sul Monte Carmelo in Palestina, San Michele di Panormitis sull’isola greca di Symi, Monte Sant’Angelo sul Gargano, la Sacra di San Michele in Val di Susa, Mont Saint-Michel in Normandia, St. Michael Mount in Cornovaglia e Skelling Michael nella contea irlandese di Kerry.

Tale linea non può non avere origine soprannaturale, a fortiori se si considera che i suoi monasteri vennero costruiti in epoche e da persone diverse, che sicuramente non potevano calcolarne in modo matematico l’allineamento. È qualcosa di assolutamente miracoloso e segue l’espansione del culto di San Michele, partito dalla Terra Santa, grazie ai pellegrini cristiani e ai cavalieri templari di ritorno dai luoghi di Cristo. Il motivo di tale devozione è da ricercarsi nel culto angelico cristiano, fortemente radicato in Palestina e in particolare sul Monte Carmelo.

È altresì interessante notare che il santuario dell’isola di Symi, il più vicino a Gerusalemme, è legato al culto greco ortodosso. La comune appartenenza a San Michele è sicuramente un aiuto nel dialogo tra cattolici e ortodossi.

Vi è il desiderio di potenziare i rapporti con i vari santuari della “Spada”, attraverso percorsi di comune approfondimento teologico e filosofico, lasciando un po’ da parte il contesto artistico e storico-architettonico, che è, appunto, d’ausilio e non di preminenza.

– La Sacra si trova ubicata nei territori abbaziali benedettini candidati al Patrimonio Unesco. Qual è il suo parere su questo riconoscimento?

Il discorso Unesco potrebbe essere un valore aggiunto sia per l’abbazia e anche per il territorio valsusino-piemontese e per l’eventuale parte organizzativa, che merita grande attenzione, dacché prima di arrivare al riconoscimento, l’Unesco chiede che la zona del sito sia consapevole e organizzata con infrastrutture ad hoc. Ben venga tutto questo, dal momento che aiuterebbe la Sacra a farsi nuovamente coordinatrice di una partecipazione comune, facilitando la collaborazione tra le persone.

Daniele Barale
Daniele Barale

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