Le sfide geopolitiche nel 2024, dalla Cina al Medioriente. Il punto con Claudio Bertolotti

Le sfide geopolitiche nel 2024, dalla Cina al Medioriente. Il punto con Claudio Bertolotti

24 Dicembre 2023 0

Il 2023 è stato contraddistinto da conflitti e crisi che hanno polarizzato il contesto geopolitico, in cui l’Italia, e l’Unione Europea in generale, hanno dovuto trovare risposte strutturali per garantire ai propri cittadini sicurezza, in senso proprio, ma anche dal punto di vista energetico e alimentare. Con il 2024 alle porte, cerchiamo di comprendere quali sfide ci attendono nei prossimi dodici mesi.

Lo facciamo con il professor Claudio Bertolotti, analista senior presso l’Istituto Euro-Maghrebino di Studi Strategici (Cemres) a Tunisi, direttore del think-tank italo-svizzero “Start insight” e ricercatore per l’Italia alla 5+5 “Defence Initiative,” il gruppo di lavoro composto dai ricercatori e rappresentanti dei dieci paesi delle sponde sud e nord dell’area mediterranea (Algeria, Francia, Italia, Libia, Malta, Marocco, Mauritania, Portogallo, Spagna, Tunisia).

Quali saranno le principali sfide che ci attendono nel 2024?

 “Se negli anni precedenti le principali sfide sono state il coronavirus, nel 2020-2021; la guerra della Russia in Ucraina, nel 2022; la guerra in Medioriente tra l’organizzazione terroristica Hamas ed Israele sarà certamente la maggiore sfida per il 2024. Non tanto, o meglio non solo, per una questione di sicurezza legata ai combattimenti, quanto per l’instabilità che si sta venendo a creare e ancor di più si concretizzerà con il trascorrere del tempo e con la polarizzazione a livello regionale, ma anche globale, delle posizioni a sostegno di una o dell’altra parte. Non dobbiamo dimenticare che gli attori importanti, Stati Uniti, Russia e Cina, sono tutti coinvolti direttamente o indirettamente in questo conflitto e cercano, da un lato di ridurre i danni, e dall’altro, di trarne il maggior vantaggio possibile. Oggi stiamo assistendo all’emergere di criticità in relazione alla libertà dei traffici commerciali, attraverso il Mar Rosso, il canale di Suez, strettamente legate ai rapporti conflittuali in Medioriente e di fatto ad un ambizione regionale dell’Iran che si sta manifestando in maniera violenta e che potrebbe aprire a un ulteriore fronte con il rischio dell’escalation orizzontale del conflitto, che vedrebbe come fulcro Israele, a livello mediorientale, ma che potrebbe portare a un allargamento e a un possibile coinvolgimento dell’Iran in questa guerra, sebbene al momento non ricercato da Teheran, come conseguenza non desiderata in relazione al sostegno degli houthi nello Yemen”.

I difficili rapporti con la Cina

“Al conflitto in Medioriente potrebbe aggiungersi un altro elemento di instabilità, ossia quello legato all’andamento dell’economia cinese. La Cina è un paese in crescita, ma ha subito una forte riduzione di quella spinta economica, uno stop legato alla crisi del settore immobiliare e all’aumento del tasso di povertà, con la diminuzione delle fasce ricca e media della popolazione che sta portando a forme se non di opposizione, di non sostegno popolare, nei confronti delle scelte politiche del governo, in particolar modo nelle aree più periferiche del Paese. A ciò si associa l’ambizione cinese nei confronti di Taiwan, che potrebbe rappresentare anche nel 2024, come lo è stato negli anni precedenti, un elemento di conflittualità associato alla competizione con gli Stati Uniti che potrebbe aprire un nuovo fronte. Una conflittualità plausibile, ma che personalmente ritengo poco probabile. Credo infatti che il rapporto rimarrà sul piano della competizione economica-commerciale, ma anche diplomatica e di influenza. Ma potrebbe comunque sfociare in una conflittualità non ricercata da entrambe le parti. Né la Cina, né gli Stati Uniti, infatti, vogliono dare vita a un conflitto legato a Taiwan, almeno nel medio periodo”.

E poi c’è l’immigrazione…

La questione migratoria resta una sfida importante, in particolar modo per i Paesi interessati dalla rotta del Mediterraneo centrale. In primis perché è un problema di gestione dei flussi di migranti in itinere ma anche come elemento di influenza sfruttato dalla Russia per condizionare la politica interna dei Paesi interessati dai flussi migratori come l’Italia. I flussi migratori, in alcuni contesti accademici definiti anche armi di migrazioni di massa, hanno un impatto significativo soprattutto durante gli esercizi elettorali e sono in grado di influenzarne gli esiti. La Russia, nel tentativo di influenzare i Paesi nordafricani, in realtà influenza anche le dinamiche migratorie in funzione di quelli che sono gli obiettivi strategici della Russia stessa”.

La Russia continuerà ad estendere la sua influenza?

La Russia continua ad estendere la sua influenza in Africa. Non ha mai cessato di farlo, al contrario, in conseguenza della guerra in Ucraina, ha aumentato il proprio impegno nel tentativo di influenzare anche con la presenza fisica di propri assets, come le compagnie di sicurezza private, la Wagner prima di tutte fino alla morte del suo fondatore Prigozhin, ed oggi sostituito parimenti da altre compagnie di sicurezza composte prevalentemente da ex appartenenti al gruppo Wagner. La Russia ha insistito e sta investendo molto in questa politica di influenza a livello di Paesi africani, sostanzialmente per due motivi. Il primo è togliere terreno di influenza agli Stati Uniti e in secondo luogo ad un attore che però ha una capacità concreta molto limitata, ossia l’Unione Europea (Ue) e i singoli stati membri. Dall’altro lato, vuole accaparrarsi il monopolio dello sfruttamento delle risorse minerarie, in particolare quello dei metalli preziosi e dei minerali rari dei Paesi dell’Africa subsahariana e dell’Africa centrale, mentre insiste con una politica di influenza molto aggressiva nei Paesi del Nordafrica. Lo abbiamo visto in Libia e in Algeria, consolidando un rapporto storicamente molto solido, e più recentemente in Tunisia. Di fatto, quello che sta cercando di fare Mosca, come ha già fatto in Siria, è quello di influenzare i governi locali affinché il loro orientamento sia filorusso, andando a creare una zona di attrito tra quelli che sono gli interessi e le ambizioni dell’Ue e secondariamente anche degli Stati Uniti. In questo, l’aggressività e l’assertività russa sono vincenti, rappresentano uno svantaggio significativo per i paesi della Ue, che deve – se vuole sopravvivere come entità politica ed avere un’influenza – definire una propria linea coerente di politica estera in particolare verso l’Africa del nord e l’Africa subsahariana”.

Quale futuro per l’Ue nel Mediterraneo?

“Il futuro dell’Ue nel Mediterraneo, date le premesse, non può essere valutato in maniera favorevole dato che al momento l’Europa non ha un proprio indirizzo politico uniforme e coerente nei confronti dell’Africa e dei singoli Paesi africani, così come a livello regionale, sebbene vi siano significativi impegni dell’Ue in alcuni Paesi attraverso la condotta di missioni, di security support assistance, di sostegno alle autorità locali. Tuttavia, come abbiamo visto, Mali e Niger ce lo confermano, la capacità europea viene meno quando un’assertiva russa si impone riuscendo a scardinare e ad annullare tutti gli sforzi fatti dall’Ue, con dispendio di risorse economico finanziarie certamente importanti. In questo senso, l’Ue si sta indebolendo sempre più per via della assenza di una visione politica univoca che spesso si pone in contrasto con quelle che sono le ambizioni dei singoli Paesi, che guardano all’Africa da una differente prospettiva e con interessi diversi”.

In Medioriente è ancora possibile una soluzione democratica? Da dove ripartire?

“Credo che l’unica soluzione al conflitto in Medioriente, che possa portare ad una stabilità dell’area, debba passare attraverso la sconfitta militare e lo sradicamento di Hamas dalla Striscia di Gaza, in particolare per quanto concerne la sua componente militare, e l’eliminazione, o meglio scomparsa, della sua leadership ideologica e politica che non si trova a Gaza, ma all’estero, in Paesi come il Qatar che di fatto le garantisce una sostanziale immunità dalle responsabilità – che questa stessa leadership ha -negli attacchi ad Israele del 7 ottobre 2023. Si potrà parlare di una stabilizzazione, almeno militare, solo quando l’intera Striscia di Gaza sarà stata conquistata, ripulita, bonificata dalle forze di sicurezza israeliane, le quali poi dovranno passare la responsabilità all’autorità politica. Qui inizierà la vera fase critica dell’operazione nella Striscia di Gaza perché dovrà emergere un interlocutore credibile ed affidabile che si discosti nettamente da quelle che sono le posizioni assunte da Hamas e sostenute da oltre la metà della popolazione palestinese. Questo è il vero problema perché, come ci ha insegnato l’esperienza con i talebani in Afghanistan, nonostante la sconfitta militare, almeno nella fase iniziale, i germi del jihadismo e dell’islamismo politico, associati ad una forte ideologia ed una capacità di propaganda molto aggressiva, sono in grado di creare un consenso molto forte e gettare le basi per una nuova fase del jihadismo che potrebbe aprire ad un Hamas due punto zero, o a un entità molto simile, o ancora più aggressiva di quanto Hamas non lo sia stato. La vera sfida dunque consisterà nel riuscire a creare le condizioni necessarie per una rinascita politica, sociale ed economica della Striscia di Gaza, dove gli aiuti finanziari dell’Ue e dei Paesi del Golfo non vengano utilizzati dalla leadership politica locale per l’acquisizione di armi ed equipaggiamenti militari o per pagare gli stipendi di miliziani, o creare consenso attraverso la fornitura di servizi assistenziali”.

Una soluzione a due Stati è ancora possibile?

“Le entrate finanziarie della Striscia di Gaza sono talmente elevate da poter consentire un rilancio economico, politico, sociale ed industriale dell’intera area senza la necessità di dover competere con Israele. Anzi, potrebbe aprire ad una collaborazione tra le parti. Certo, è un obiettivo ottimistico, proiettato molto nel futuro, ma è l’obiettivo su cui la Comunità internazionale dovrà investire con il supporto della Lega Araba e con i singoli Paesi arabi che intenderanno dare un contributo significativo. La soluzione dei due Paesi, dunque, è auspicabile e ad oggi irrealizzabile, fin quando, la leadership politica palestinese insisterà sulla necessità di contrapporsi, o sull’eliminare Israele. In questo senso, confermando quanto la politica palestinese portata avanti nei decenni di fatto sia stata l’elemento di rottura a qualsiasi soluzione negoziale nella soluzione dei due popoli e delle due Nazioni”.

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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