A cinquant’anni dalla morte di J. R. R. Tolkien. Intervista con lo scrittore e studioso tolkieniano Paolo Gulisano

A cinquant’anni dalla morte di J. R. R. Tolkien. Intervista con lo scrittore e studioso tolkieniano Paolo Gulisano

5 Novembre 2023 0

Il 2 settembre si è festeggiato il cinquantenario del dies natalis del subcreatore di Eä, l’universo ove si trova Arda, il mondo della Terra di Mezzo, la cornice entro la quale si svolgono i fatti narrati ne Il Silmarillion, ne Lo Hobbit e ne Il Signore degli anelli. Ma prima ancora Tolkien è stato docente universitario presso Leeds e Oxford, e autorevole conoscitore delle mitologie classiche, medioevali e moderne. In proposito, meritano attenzione le traduzioni che egli dedicò al Beowulf, a Sir Gawain e il Cavaliere verde, il poema allitterativo La caduta di Artù e il saggio “Sulle fiabe” (On Fairy-Stories).

Le fiabe

Tolkien scrisse le sue “fiabe epiche” principalmente per dilettare i famigliari e gli amici (si pensi anche a Mr. Bliss, Le lettere di Babbo NataleRoverandom), e fornire un mondo verosimile ai suoi linguaggi: dieci lingue e molti alfabeti, tra cui il Sindarin e il Quenya (due esempi: Elen síla lúmenn’ omentielvoAiya Eärendil elenion ancalima!).

L’invenzione dei linguaggi

Come egli stesso scrisse in una lettera del ‘55, alla base del suo lavoro c’è l’invenzione dei linguaggi. Le storie furono create per fornire un mondo ai linguaggi e non il contrario.

Per me, prima viene il nome e poi la storia.

E nella lettera “183” (da La realtà in trasparenza) si può leggere:

Io ho la mentalità dello storico. La terra-di-Mezzo non è un mondo immaginario. Il nome è la forma moderna (apparsa nel XIII secolo e ancora in uso) di midden-erd/middel.erd, l’antico nome di oikoumene, il posto degli uomini, il mondo reale, usato proprio in contrasto con il mondo immaginario (come il paese delle fate) o con mondi invisibili (come il paradiso o l’inferno). Il teatro della mia storia è su questa terra, quella su cui noi ora viviamo, solo il periodo storico è immaginario. Ci sono tutte le caratteristiche del nostro mondo (almeno per gli abitanti dell’Europa nord-occidentale) così naturalmente sembra familiare, anche se un pochino nobilitato dalla lontananza temporale. […] Il mio non è un mondo immaginario, ma un momento storico immaginario su una Terra-di-Mezzo – che è la terra dove noi viviamo.

Per celebrare la ricorrenza, abbiamo incontrato Paolo Gulisano, medico, scrittore e tra gli studiosi, italiani ed europei, più importanti del professore; autore di molti libri, tra cui “Tolkien: il mito e la grazia”, “La mappa de Lo Hobbit”, “La mappa della Terra di Mezzo” .

Infografica - La biografia dell'intervistato Paolo Gulisano

Infografica – La biografia dell’intervistato Paolo Gulisano

– Perché la vita di Tolkien si può definire “eucatastrofica”? A iniziare da fatti quali il “martirio” della madre Mabel e la sua partecipazione alla prima guerra mondiale?

La vita di John Ronald Tolkien può sembrare all’apparenza una vita tranquilla. Da docente universitario, da padre di famiglia, coronata dal grande successo letterario che ne fece uno dei più celebri scrittori del XX secolo. Tuttavia non mancarono nel corso degli anni motivi di forte sofferenza. A cominciare dalla perdita ancora ragazzo della madre (dopo che il padre era morto in Sudafrica mentre lui era ancora bambino). Una perdita che lui considerò con buone ragioni un martirio, in quanto Mabel dopo la sua conversione al Cattolicesimo era stata ingiustamente discriminata, abbandonata anche da un punto di vista economico. Tanto da non poter curare efficacemente il diabete grave da cui era affetta.

Il primo evento “eucatastrofico” fu l’ingresso nella sua vita di giovane orfano. Affidato alle cure del tutore Padre Francis Morgan, di Edith Bratt, la donna che diventò sua moglie, e in qualche modo una musa ispiratrice. L’amore fu però difficile, un fidanzamento contrastato, perché la priorità che gli aveva posto Padre Morgan era che si laureasse. Così da compiere il desiderio della mamma. Una volta sposati, il matrimonio presentò, come tante volte accade, delle difficoltà, dei momenti di incomprensione e amarezze reciproche, anche se durò tutta la vita.

FOTO - RR Tolkien con sua moglie Edith fotografati da ©Pamela Chandler
FOTO – RR Tolkien con sua moglie Edith fotografati da ©Pamela Chandler

A queste sofferenze si aggiunse certamente la Guerra, i cui orrori Tolkien toccò con mano. La perdita degli amici, la sconsiderata follia degli alti ufficiali che utilizzavano i soldati come carne da macello, l’odio e la crudeltà. Tutto questo entrò nel suo immaginario. Ma alla fine, nonostante tutto il male che è in noi e nel mondo, Tolkien ebbe sempre la sicura certezza di quella che chiamò Eucatastrofe. Ovvero l’irruzione nella storia della Salvezza. Le porte degli inferi non prevarranno, come nemmeno i neri cancelli di Mordor.

– L’amicizia: quanto questa forma alta di Carità è stata per lui fondamentale?

Tolkien come scrittore è stato un vero e proprio cantore dell’amicizia. Basti pensare al legame profondo e commovente tra Frodo e Sam, oppure quello sorprendente che si instaura tra Gimli e Legolas. Tolkien aveva vissuto delle amicizie straordinarie, con i suoi compagni di scuola del T.C.B.S. prima, e poi ad Oxford con C.S. Lewis e il gruppo degli Inklings. Quel gruppo di accademici e non che condividevano la passione per la Mitologia, per il Cristianesimo, e per i buoni boccali di birra, e che si ritrovarono per anni in un piccolo pub di Oxford, coltivando una bella amicizia.

Questo tipo di sentimento, ovvero di forma alta di Carità, fu per lui assolutamente fondamentale, e come detto lo traspose nelle sue creazioni letterarie. Allo stesso modo l’amico Lewis ne parlò in una delle sue opere più significative, il saggio “I Quattro Amori”.

– Perché egli può essere definito un autore cattolico, e non un ecologista di sinistra, o un mero conservatore destrorso? Cosa ci dicono al riguardo le sue lettere?

Le interpretazioni politiche di Tolkien sono sempre state del tutto riduttive. Negli anni ’60 fu una certa sinistra americana a cavalcarlo, in nome del suo anticonformismo e di quello che sembrava essere una forma di ecologismo. Tant’è che David Taggart, il fondatore di Green Peace, diede il nome di Frodo ad una delle prime imbarcazioni dell’associazione.

In Italia invece la cultura dominante di Sinistra lo marchiò immediatamente come “fascista”. Forse perché presentava nel suo libro uno scenario di tipo vagamente Medioevale, e per la Sinistra manichea Medioevo equivaleva a significare Destra. Dopodiché fu inevitabile che una parte del mondo giovanile di Destra, la parte più anticonformista, più innovativa, più colta, non quella meramente nostalgica o che sognava i colonnelli, lo fece propria. Ma Tolkien è al di là e al di sopra di tutte le ideologie.

Risulta riduttiva qualsivoglia etichettatura del professore di Oxford, poiché ciò che ispirò e che diede significato alla sua vita e alla sua opera non è riconducibile ad una ideologia, ma ad una visione della vita, ad una concezione dell’essere, dell’uomo, della storia che è ben di più che una ideologia: è una filosofia. Tolkien possiede addirittura quella che potremmo definire una visione teologica della storia, attraverso la quale giudica, con l’autorevolezza di un filosofo o di un profeta le vicende umane. Tutto ciò emerge anche dalle sue lettere, dove ci rivela quanto il suo profondo, robusto cattolicesimo inglese abbia forgiato la sua opera.

– I suoi personaggi – sia de Il Silmarillion, sia de Lo Hobbit, che del Signore degli Anelli – possono essere definiti “grigi” (come Gandalf, prima di diventare bianco), e non neri o bianchi, come sostiene certa interpretazioni manichea. È vero?

Tra le critiche malevole che nel tempo furono fatte all’opera tolkieniana c’è proprio quella di essere manichea. E il manicheismo, in ambito letterario, significa debolezza dell’opera, in quanto la realtà – si sa – è estremamente complessa. Ma di fatto i romanzi di Tolkien non sono affatto manichei: certo, si parla di Bene e di Male, e li si chiama col loro nome, senza ambiguità, ma essi non stanno tutti da una parte o dall’altra: combattono nel cuore dell’uomo.

La storia di Theoden è quella di un cambiamento, quasi di una conversione. O un risveglio spirituale da quello stato di incantamento quasi ipnotico (e questa è una condizione dell’uomo contemporaneo descritta profeticamente da Tolkien in modo mirabile) in cui l’aveva condotto Grima Vermilinguo. Oppure le storie di cadute, di tradimenti, come quello di Boromir, in cui possono cadere anche “i buoni”. E infine la drammatica, spaventosa apostasia di Saruman, che abbandona la via della saggezza per mondanizzarsi, per venire a compromesso con Sauron.

Illustrazione - “Aragorn e Boromir” di Anke Eissmann
Illustrazione – “Aragorn e Boromir” di Anke Eissmann

Insomma: Tolkien non è semplicisticamente manicheo, ma sa bene che la realtà vede gli uomini impastati di Bene e Male e chiamati a scegliere.

– Quali frutti occorre prendere dalla sua “opera magna”, per ben riflettere sul potere, sulla tecnica, sul rapporto tra l’uomo e Dio, l’ambiente in cui l’uomo vive (naturale e soprannaturale) e sulla valorizzazione della libertà?

Egli ha riproposto, in pieno ventesimo secolo, il genere letterario epico, ridando dignità letteraria all’antichissimo genere della narrativa dell’immaginario, nonostante il cinismo di una cultura dominante che doveva fare a meno dei valori, in particolare dell’eroismo. Il ritorno al Bello e al Vero auspicato dallo scrittore di Oxford venne realizzato da lui attraverso il ricorso e il ritorno al Mito. Per ridare sanità e santità all’uomo moderno. Tolkien parlando ai suoi studenti di una delle sue opere preferite, il Beowulf:

“Il mito è qualcosa di vivo nel suo insieme e in tutte le sue parti, e che muore prima di poter essere dissezionato”

E’ necessario perché la realtà è molto più grande della razionalità. E’ visione, è nostalgia per l’eternità. Il mito è un mezzo per dare risposte a questioni fondamentali come l’origine dell’uomo, il bene, il male, l’amore, la morte e per dare spiegazioni ai fenomeni della natura.

Se il mito è il nesso, il legame che l’uomo ha sempre cercato con il senso della vita, esso non può quindi che essere considerato un’espressione naturale ed antichissima del senso religioso che vive nel cuore dell’uomo.

– Qual è stata l’influenza di San John Henry Newman e Gilbert Keith Chesterton su Tolkien?

Newman, uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, era stato, nonostante la mitezza, quasi la fragilità della sua persona, un segno di contraddizione che aveva scosso l’Inghilterra sia cattolica che protestante. Da anglicano aveva dato vita al Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica (quando la Chiesa era ancora una e indivisa) e a confrontarsi con le sfide della modernità.

Questa ricerca della verità lo aveva fatto infine approdare al cattolicesimo. Un suo discepolo, padre Francis Morgan, era stato suo assistente personale, e quando divenne il tutore di Tolkien gli trasmise tutto quanto aveva appreso da Newman. Sulla sua tomba il grande convertito aveva voluto che fossero incise queste parole: Ex umbris et imaginibus in veritatem. Andiamo verso la verità passando attraverso ombre e immagini.

Per John Ronald Tolkien, che amò subito appassionatamente la fede cui sua madre lo aveva condotto, l’arte fu per tutta la vita questa ricerca della verità tra quelle ombre, quelle immagini che sono i miti e i simboli. Allo stesso tempo Tolkien guardò con grande interesse a Chesterton, di cui fu lettore, ma che non incontrò mai personalmente (c’era tra i due quasi una generazione di differenza), e sicuramente rimase colpito, come scrive nel suo saggio Sulle fiabe, dalla via chestertoniana dell’immaginario, del paradosso, dell’immagine velata, allo scopo di liberarci dai vari orpelli che, nella vita ordinaria, mascherano il volto della verità. Fu di fatto un ottimo allievo di GKC.

– Cosa pensi della traduzione a opera di Ottavio Fatica: rappresenta il tentativo della cultura di sinistra di tirare verso di sé la manica di Tolkien? E della serie curata da Amazon, “Gli anelli del potere”: è meramente il tentativo di asservire il suo ricchissimo immaginario al politicamente corretto? Oppure, vi è ancora qualcosa di buono in esse?

Premesso che è del tutto lecito ritradurre i Classici della Letteratura (e Tolkien lo deve assolutamente essere considerato) come avviene per Omero o Shakespeare, le premesse di questa nuova edizione effettivamente avevano delle motivazioni ideologiche. Dopo i grossolani e ottusi attacchi degli anni ’70, a sinistra ci fu qualcuno – e non pochi- che lesse Tolkien, e ne apprezzò tutto il valore.

Tuttavia c’era il problema di un autore ormai diventato nella vulgata corrente “di destra”. Come fare dunque a sdoganarlo? A farlo arrivare anche ai compagni lettori? Un’ opinione era che lo scivolamento a destra era avvenuto anche per colpa della traduzione del Signore degli Anelli, giudicata troppo aulica, epica, e quindi il linguaggio avrebbe determinato il celebre feeling politico.

Occorreva una traduzione più popolare, più colloquiale, meno altisonante, più simile al linguaggio della narrativa realista, e così è arrivata la versione di Fatica. Personalmente non ne sono stato molto soddisfatto, pur nella consapevolezza che anche la prima traduzione fosse decisamente rivedibile.

Rimane il rimpianto che il Signore degli Anelli non sia mai stato tradotto da Francesco Saba Sardi, il traduttore del Silmarillion, che a mio avviso resta di gran lunga il miglior interprete in lingua italiana di Tolkien. In quanto alla serie Amazon, devo dire che l’ho trovata completamente priva dello spessore epico di Tolkien. Un fantasy come tanti altri. Di Tolkieniano sono rimasti solo i nomi.

– Ultima domanda, molto personale: quando e come ha cambiato la tua vita “l’incontro con il professore oxoniense”?

John Ronald Tolkien mi ha dato tantissimo, dal momento in cui lo scoprii a 19 anni. Mi ha ricolmato di bellezza, di valori grandi che ho cercato di far miei; mi ha aperto orizzonti culturali infiniti sulla storia, sulla mitologia, e cosa più importante di tutte, sul senso del Sacro e sulla Fede Cattolica. E’ stato un onore e una grande gioia diventare un suo esegeta, e raccontarlo non solo al pubblico italiano, ma anche a quelli di Polonia e Repubblica Ceca dove i miei libri sono stati tradotti. Non gli sarò mai abbastanza grato.

Daniele Barale
Daniele Barale

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