Ecco come la crisi in Sudan si riflette in Libia, oltre 30 mila profughi in fuga hanno raggiunto la municipalità meridionale di Kufra
“A seguito della guerra in Sudan, a partire dall’anno scorso migliaia di migranti hanno raggiunto la città della Libia meridionale di Kufra ed il numero è aumentato ogni giorno. Negli ultimi mesi, le nostre forze armate, l’esercito libico guidato dal feldmaresciallo Khalifa Haftar, hanno facilitato convogli di auto verso Kufra cariche di medicine, cibo e coperte per gli sfollati. È stato loro distribuito attraverso l’agenzia per l’immigrazione clandestina di Kufra e attraverso il battaglione Subul al-Salam del comando generale”, afferma il sindaco di Kufra, Abdel Rahim Halloum, intervistato da “Strumenti Politici”.
Il problema dei campi profughi
Il mese scorso hanno ricevuto aiuti circa trentamila sudanesi, secondo il sindaco “non esiste un campo dove possano stare, di solito arrivano e vanno via. C’è chi vive nelle fattorie con l’aiuto dei cittadini, e c’è chi affitta loro una casa, e così via. Nelle settimane scorse dormivano all’aria aperta”. Un attivista politico di Kufra riferisce che tra i migranti in fuga dal Sudan, potrebbero esserci anche elementi di qualche fazione armata.
“Alcuni ma non tutti. Dio lo sa meglio, ma potrebbe essere. Naturalmente nella guerra ci sono vincitori e vinti. Il perdente fugge sicuramente e il Rapid Support è una milizia il cui unico obiettivo è raccogliere denaro. Alcuni di loro riusciranno sicuramente a scappare, sono arrivati a Kufra a nostra insaputa sotto le spoglie di rifugiati” aggiunge.
Le grandi migrazioni
In molti lasciano Kufra per dirigersi nelle regioni settentrionali alla ricerca di lavoro. La durata del soggiorno a Kufra dipende dalle circostanze. “C’è chi trova lavoro qui – spiega il sindaco – tra loro ci sono persone con titolo di studio che hanno trovato un’occupazione, e tra questi ci sono anche coloro che lavorano nelle aziende agricole o altri impieghi”. Dalle testimonianze raccolte, la comunità di Kufra è una comunità ospitale che “ama compiere buone azioni, come testimoniano gli iftar, il pasto che interrompe il digiuno durante il ramadan, organizzati dai residenti per le strade della città oasi, con vari tipi di cibo e bevande”.
Nonostante la crisi, la comunità locale rifiuta l’apertura di centri d’accoglienza o campi profughi, perché “rappresentano un pericolo permanente e l’idea è stata rigettata da attivisti e organizzazioni della società civile. Stabilire campi significa insediarsi permanentemente, il Libano e altri paesi ne sono i migliori testimoni. Anche se lo chiedessi ai cittadini, non lo permetterebbero, e non ho sentito che il governo libico lo abbia chiesto o voluto,” afferma il primo cittadino.
L’incapacità di aiutare
Il comune non ha alcuna capacità per fornire aiuti ai migranti. Prima degli aiuti distribuiti dalle forze di Haftar, i residenti stavano raccogliendo donazioni spontanee per aiutare i rifugiati, e sono gli stessi residenti a lamentare la mancanza di sostegno da parte dei governi centrali, considerando che il Paese nordafricano resta diviso tra due amministrazioni parallele.
Il brigadiere Ahmed Senussi, decano e presidente del consiglio di amministrazione della zona franca di Al-Jawf, indica che “il confine tra Libia e Sudan è ancora aperto poiché esiste un’area chiamata Triangolo sul confine libico-egiziano-sudanese”. Il funzionario spiega che “questa regione prospera grazie al movimento di merci provenienti dalla Libia, compresi prodotti alimentari, gasolio e benzina”.
Una speranza chiamata Libia
“Coloro che fuggono dal Sudan – aggiunge Senussi – approfittano dei camion che arrivano dalla Libia al Triangolo e pagano somme di denaro ai camionisti o li scambiano con animali come pecore, cammelli e mucche per portarli nella città di Kufra”. “Non esistono reti di trafficanti. In passato il governo orientale, sostenuto dall’esercito libico, combatteva il traffico di esseri umani, ma dopo la guerra civile in Sudan ha chiuso un occhio sui traffici a causa della situazione umanitaria”, racconta.
Il ruolo delle forze paramilitari
Vale la pena ricordare che, nei mesi scorsi, alcuni rapporti suggerivano che le forze paramilitari di Supporto Rapido (RSF) sotto l’egida di Hemedti avrebbero ricevuto sostegno militare e logistico, nonché riparo in territorio libico, sotto il controllo delle forze armate di Bengasi. Una guerra civile tra due fazioni rivali del governo militare del Sudan, le Forze armate sudanesi (SAF) sotto Abdel Fattah al-Burhan e le forze paramilitari di supporto rapido (RSF) sotto Hemedti, è scoppiata lo scorso anno, sempre durante il Ramadan, il 15 aprile 2023.
Senussi sostiene che “Il Comando Generale dell’esercito libico ha assegnato al Battaglione Subul al-Salam, composto da persone provenienti dalla regione di Kufra, il compito di proteggere i confini dalle reti di trafficanti”. Questo gruppo armato sarebbe composto da più di 900 combattenti specializzati nella protezione dei confini dal sito di Al-Sara sul confine ciadiano a Jabal Al-Owainat sul confine sudanese-egiziano.
L’ufficiale infine pone enfasi sulla generosità dei residenti verso i profughi “raccogliendo donazioni, fornendo cibo e beni di primo soccorso ai sudanesi”, seppur denunciando tensioni sporadiche tra i sudanesi e la comunità ospitante a Kufra a causa di alcuni furti e saccheggi.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.