Generale Fabio Mini: “In Europa uno scontro nucleare tattico non è solo possibile, ma probabile”

Generale Fabio Mini: “In Europa uno scontro nucleare tattico non è solo possibile, ma probabile”

23 Aprile 2024 0

Le forze armate russe “continueranno ad assolvere i compiti assegnati (in Ucraina) fino a che gli obiettivi dell’operazione militare speciale saranno pienamente raggiunti” ha affermato questa mattina il ministro della Difesa russo Serghei Shoigu in una riunione dei vertici del ministero. Il Cremlino intanto ha lanciato un’operazione mediatica per convincere gli ucraini a lasciare Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina, in vista di una possibile offensiva.

A prescindere dalla propaganda delle parti in gioco un dato è certo le truppe russe continuano a guadagnare terreno. E’ sufficiente guardare le mappe che ogni giorno vengono aggiornate, da google e dai vari Think tank occidentali, per comprendere quanto sia compromessa la situazione al fronte per Kiev. A testimoniarlo anche il crescente nervosismo dei partner della NATO, in particolare Francia, Gran Bretagna e Polonia. Per approfondire la situazione, in particolare una eventuale ulteriore escalation dello scontro tra Occidente e Russia, abbiamo intervistato il Generale Fabio Mini, già comandante NATO della missione KFOR in Kosovo dal 2002 al 2003.

– A Suo parere, quanto è realistico lo scenario di uno scontro nucleare tattico in Europa?

– In Europa tale scenario non è solo possibile, ma probabile. Ne parlo con riferimento al conflitto ucraino, sebbene non si possa escludere questo genere di sviluppo nemmeno nella questione in atto fra Israele e Iran. Lo ritengo probabile in Europa nel caso in cui si attui l’invio di aiuti militari: ciò potrebbe avvenire anche presto, considerato che possono entrare in Ucraina quelli già schierati in Polonia.

Soprattutto vale nel caso in cui si intervenga come Paesi dell’Unione Europea. Dubito infatti che lo faccia la NATO in quanto tale. Da parte UE potrebbero mandare uomini sul terreno magari con la copertura di un’operazione umanitaria o con un altro pretesto simile. Però se fosse un’operazione guidata dalla Francia o dal Regno Unito sarebbe piuttosto fragile. Infatti, se gli americani si tirassero indietro proprio per il pericolo di un’escalation nucleare regionale, l’iniziativa europea avrebbe poche chance di successo.

È uno scenario concreto e fattibile nel senso della “normalità” della situazione: è un conflitto convenzionale in cui gli Stati Uniti con la loro dottrina sia la Russia con la sua mettono le armi nucleari tattiche non nell’arsenale strategico, ma appunto in quello tattico, nel quale chi decide sono i comandanti sul terreno.

– L’Italia ha un sistema di difesa missilistica adatto a queste circostanze?

– L’Italia ha un sistema che non è specificamente missilistico, ma è antiaereo, cioè serve a proteggerci da tutto ciò che vola. È un sistema calibrato per il territorio nazionale e per le missioni italiani all’estero. Dunque disponiamo di pochi sistemi d’arma che devono essere schierati per proteggere solo una certa area o un certo contingente. Ciò significa che non abbiamo una grande capacità di proseguire a lungo nell’intervento armato: se arrivasse uno sciame di droni o di razze queste difese antiaeree si saturerebbero nel giro di qualche ora. In altre parole, non hanno la capacità di alimentare continuamente i sistemi d’arma.

– Le basi come Ghedi, Aviano o il MUOS di Niscemi rendono l’Italia un obiettivo primario nel caso di conflitto nucleare con la Russia?

– Assolutamente sì, senza alcun dubbio. Non ci sarebbero nemmeno alternative. Se tale scenario prendesse vita, credo che gli obiettivi primari non sarebbero quelli americani, ma quelli europei. Gli USA infatti concepiscono soltanto il livello strategico: i russi toccassero la base americana di Ramstein, situata in Germania, scatenerebbero una reazione immediata totale fatta di missili balistici intercontinentali.

Si metterebbe cioè in moto un meccanismo automatico di risposta nucleare già predisposto. Non penso che gli americani vogliano che accada una cosa del genere e a Mosca lo sanno. Per questo motivo ritengo che i russi non colpirebbero le basi americane grosse, ma quelle più distante e più piccole oppure gli obiettivi statici importanti come le infrastrutture di telecomunicazioni radar o installazioni simili. Noi qui ne abbiamo una ventina.

– In base alle Sue conoscenze, può dirci se esiste piano di duplicazione della catena di comando in caso di guerra nucleare, sia in ambito sia italiano che NATO?

– Non posso dare dei dettagli, ma si tratta di una procedura normale per questo genere di casi. L’Italia comunque è ancorata alle procedure della NATO.

– Non scopriremmo quindi improvvisamente di non avere un programma per sapere cosa fare, come è invece avvenuto con la famigerata assenza del piano pandemico?

Con un’emergenza di carattere nucleare scatta automaticamente (non in senso politico, ma in senso pratico, tecnico-militare) l’attuazione della pianificazione di ambito NATO. Queste procedure riguardano tutti i membri dell’Alleanza e in esse ognuno fa la sua parte.

– Le nostre Forze armate sono addestrate a combattere in scenari ad alto impatto radiologico?

– L’impatto radiologico, seppure pesante, è quello di minore effetto. L’impatto peggiore è quello cinetico, a seconda della potenza degli ordigni. Le bombe che producono l’enorme fungo che siamo abituati a immaginare sono quelle di una volta, quelle che producevano una grave ricaduta radioattiva (fallout). Le moderne armi nucleari tattiche hanno un effetto radioattivo che si esaurisce nel giro di poco tempo, ma hanno un effetto cinetico spaventoso, può cancellare intere città.

La gente associa subito il nucleare al disastro di Chernobyl o alle bombe di Hiroshima e Nagasaki, ma quelle erano situazioni e armi diverse dagli ordigni attuali, che non spargono una larga nube radioattiva, bensì hanno una grandissima potenza distruttiva.

– Esistono studi o simulazioni che prevedono quanti morti ci sarebbero in Italia a seguito di uno scontro nucleare tattico?

– Esiste possibilità di uno scontro nucleare tattico ed esistono gli addestramenti e le simulazioni. Vi ho partecipato anch’io negli anni ‘70 e ‘80, quando facevamo letteralmente i calcoli relativi.

Per esempio si ipotizzava che a fronte di un’esplosione in Polonia di tot kilotoni vi sarebbe stata risposta su Milano o su un’altra grande città e facevamo i conti dei morti previsti in base al tipo e alla potenza dell’esplosione e in base alla natura dell’obiettivo. Sussiste tuttora una rete di allarme NBC (Nucleare-Biologico-Chimico), fatta di unità in grado di rilevare le esplosioni e dare gli allarmi.

– Secondo Lei ’Italia dovrebbe rinunciare al “nuclear sharing” della NATO?

– Non so se può farlo…

– E se potesse?

– Se potesse, allora dovrebbe farlo. Tuttavia non sarebbe una grande soluzione. Se la NATO commette una sciocchezza, saremmo tutti a rimetterci. Se per esempio la Gran Bretagna come Paese singolo e distinto e in quanto sostenitrice dell’Ucraina si vuole schierare contro la Russia, allora è un’altra faccenda. Ma se avviene un attacco contro un Paese NATO e a Bruxelles dichiarano l’attuazione dell’articolo 5, finiamo tutti quanti nel calderone. E se questo ipotetico attacco fosse di carattere nucleare tattico, sarebbe persino peggio.

Infatti il problema è a gestire l’arma nucleare tattica non è il Presidente degli Stati Uniti o il Presidente della Repubblica Italiana, ma i comandanti sul terreno, i comandanti di teatro NATO dei vari settori. Uno sta a Mons, in Belgio, e nella pianificazione delle forze a disposizione ha tutte quelle che sono schierate, compresi gli ordigno nucleari tattici. Ce ne sono pochi in confronto a quelli dei russi: 200 o 220 contro i 2500 dei russi.

Quindi pensare di uscirne con pochi danni è un’illusione. Si innescherebbe una reazione che ha una capacità molto maggiore della nostra… Dovendo affrontare l’eventualità di soccombere, si passerebbe infatti al piano dello scontro strategico.

– Che percentuale darebbe al passaggio da uno scontro nucleare tattico a uno strategico?

– Negli equilibri attuali soltanto il 10% o il 20%. Una percentuale bassa, ma non si tratta di una buona notizia. Infatti nutro seri dubbi sul fatto che gli USA si impegnerebbero nella protezione dell’Europa se ciò implicasse il rischio elevato di dover passare dal livello nucleare tattico a quello strategico.

– Dunque l’Europa rimarrebbe da sola?

– Esatto. E lo dicono in tanti. Se questa guerra arriva al livello tattico dovremo aspettarci tutte le conseguenti reazioni sul suolo europeo, non su quello americano. Gli Stati Uniti si preoccuperebbero del proprio territorio o di quei territori su cui hanno competenza, come le basi di Gaeta o di Aviano. Per salvare l’Europa gli americani non vorrebbero rischiare di vedersi arrivare sulla testa un missile intercontinentale.

– Dalla situazione sul campo si vede che russi stanno avanzando su quasi tutte le direttrici. La guerra sembra ormai indirizzata unilateralmente verso una vittoria di Mosca oppure il risultato può ancora essere ribaltato?

– Un’inversione sarebbe difficilissima. Analizzando cosa rimane all’Ucraina e cosa alla Russia, fare il calcolo è semplice. Kiev forse ha qualche Patriot o qualche HIMARS, ma non abbastanza per invertire la rotta. E le mancano pure gli uomini, ma non ha proprio i sistemi di comando e controllo per sostenere un’azione forte da parte della Russia.

L’Ucraina può solo sperare in un intervento diretto di Europa e USA e in effetti lo sta sollecitando. Kiev sa bene che se l’intervento europeo è staccato da quello degli Stati Uniti non ci sarebbe alcuna possibilità di vincere.

– Quindi Lei esclude che l’invio in proprio di truppe da parte di Parigi (come da dichiarazioni di Macron) porterebbe in guerra i membri della NATO?

– Proprio così: non porterebbe in guerra i Paesi membri della NATO, ma sarebbe qualcosa di insensato. Andrebbero soltanto a morire più francesi. È ridicolo che i generali francesi assicurino a Macron di avere a disposizione un battaglione! Qualora fossero anche una brigata o persino cinque, sono comunque numeri infimi rispetto a quelli oggi sul campo in Ucraina.

– Lo scorso febbraio Lei ha dichiarato che l’Europa si è impelagata senza limiti in questa guerra e che l’unica soluzione per uscirne è una neutralità armata di Kiev. Pensa che la Russia la accetterebbe o ci sarebbe anche un riconosciuto dei territori occupati?

– La neutralità ucraina è lo scopo dichiarato della Russia sin dall’inizio ed è ciò che avevano già concordato: ma americani e britannici hanno detto di no. Inoltre, nella situazione giuridica che si è creata con l’annessione dei quattro oblast’ (Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia) porta quasi automaticamente al riconoscimento della Crimea.

E i russi hanno ancora margini per migliorare la loro posizione, perché fra un mese o due potrebbero forse prendere pure Kharkov. Quest’ultima è ancora da negoziare, ma gli altri territori ormai sono stati incorporati a livello costituzionale nella Federazione Russa. Certo, qualcuno avrà da obiettare, ma se è per questo allora sono contestati persino gli status di Taiwan o del Kosovo.

Questo conflitto potrebbe essere letto come una prova generale di uno scontro nell’area indo-pacifica?

– Dal punto di visto politico sì, potrebbe essere una prova generale. Ma dal punto di vista tecnico-militare no. In Europa lo scontro è terrestre e aereo, mentre nel Pacifico sarebbe navale, aereo e missilistico. in Ucraina le forze armate sono a stretto contatto, nell’indo-pacifico sarebbero degli scontri a distanza.

Alludo ovviamente a un intervento americano o comunque occidentale a favore di Taiwan. Peraltro non credo che Pechino debba necessariamente invaderla: basterebbe la minaccia di un blocco navale, senza che i soldati mettano piede sull’isola.

Marco Fontana
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