USA, crescono le critiche di politici e intellettuali verso il sostegno all’Ucraina
Negli Stati Uniti, la compattezza del fronte pro-Ucraina è ormai irrimediabilmente compromessa. Vi sono motivazioni differenti alla base delle contestazioni verso il sostegno incondizionato a Kiev, ma la finalità di tutte le voci critiche è identica: fermare la corsa verso il disastro. Ed è infatti un disastro quello che minaccia gli USA sia dall’interno, con una società confusa e un’economia sull’orlo della crisi, che dall’esterno, con un conflitto di portata potenzialmente mondiale a cui l’americano medio non vuole partecipare.
La destra conservatrice contro gli aiuti Kiev
Negli ultimi mesi, l’area conservatrice della politica americana ha finito per assumere una posizione molto simile a quella della sinistra, contraria fin da subito a ad alimentare il conflitto in Europa Orientale. Animata dal pacifismo e dall’anti-imperialismo (o persino dall’anti-americanismo), la sinistra americana si oppone da sempre alle guerre provocate o cavalcate dagli USA, iniziando dal Vietnam e passando per l’Iraq.
Oggi, partendo da presupposti diversi, anche la destra si sta orientando verso la contrarietà alla guerra. Chi si ispira alla tradizione isolazionista o chi cerca il semplice opportunismo in vista della campagna elettorale per le presidenziali, sono sempre di più gli esponenti repubblicani a esprimersi contro la proxy war in Ucraina. Il portavoce più famoso di questo approccio è naturalmente Donald Trump, seguito da quello che molti considerano il suo rivale o il suo erede, il governatore della Florida Ron DeSantis.
Un esempio recentissimo è l’appello del 20 aprile fatto da ben diciannove congressmen repubblicani, che in una lettera a Biden si sono mossi per condannare “le forniture illimitate di armi a supporto di una guerra senza fine”. Fra di loro si possono citare il senatore del Kentucky Rand Paul, figlio del tre volte candidato presidenziale Ron Paul, il senatore dello Utah Mike Lee e il senatore dell’Ohio James David Vance.
Proprio l’Ohio è lo Stato in cui è giunta ai massimi liveli l’esasperazione verso la Casa Bianca, colpevole di ignorare i problemi dell’americano medio e di essere al tempo stesso estremamente solerte nel mandare oltreoceano aiuti da miliardi di dollari. Dopo il disastro ambientale avvenuto a febbraio – e passato quasi sotto silenzio dai media principali – i cittadini si sono sentiti abbandonati a sé stessi e non vogliono più sentir parlare di Ucraina.
Le denunce di Robert Kennedy Jr.
Nel Partito Democratico la voce dissidente più famosa è quella di Robert F. Kennedy Junior (detto RFK Jr.), figlio dell’ex procuratore generale Bobby Kennedy, assassinato nel 1968, e nipote dell’ex presidente John F. Kennedy. Avvocato ambientale e scrittore, RFK Jr. è venuto alla ribalta internazionale soprattutto per il suo attivismo contro le restrizioni imposte durante la pandemia, che lo ha portato ad essere additato di complottismo dai media mainstream. Lo stesso RFK ha annunciato il 19 aprile di voler concorrere alle primarie alla presidenza del 2024.
Qualche giorno fa ha pubblicato un tweet polemico contro il governo di Kiev. Ha espressamente accusato Zelensky di non aver fatto nulla per impedire la guerra, pur essendosi presentato alle elezioni del 2019 come un “candidato di pace”. Avrebbe potuto evitare il peggio semplicemente pronunciando le cinque parole “Io non aderirò alla NATO”.
La tesi delle pressioni Usa dietro a Kiev
Per spiegare come si è giunti alla situazione attuale, Kennedy spiega che Zelensky è stato pressato dai neocon nella Casa Bianca di Biden e dai violenti elementi fascisti dentro il governo ucraino. L’ex comico ha così permesso alla NATO e agli USA di varcare i limiti che i vertici russi consideravano come “linee rosse”. Questa versione è stata enunciata anche da politici di lungo corso come Bill Perry, segretario alla Difesa sotto l’amministrazione Clinton, e Jack Matlock, ambasciatore a Mosca sotto Reagan e Bush senior. Diciamolo pure, scrive Kennedy, i neocon volevano questa guerra con la Russia, così come volevano la guerra con l’Iraq.
E per corroborare quest’ultimo punto rimanda alle dichiarazioni di Wesley Clark, ex generale americano e comandante della NATO nella guerra del Kosovo. In un video linkato da Kennedy, Clark riporta quanto gli venne detto dai vertici del Pentagono prima ancora della guerra in Iraq del 2003. Secondo l’ex generale, tutti gli interventi americani sono stati decisi e programmati in base a decisioni dell’èlite USA e non da motivazioni esterne, come ad esempio il sostegno di Saddam al terrorismo islamico.
Intellettuali e pensatori contro il sostegno al regime di Kiev
Da sinistra a destra, nel panorama intellettuale degli Stati Uniti spiccano i nomi di pensatori contrari all’aggressività a stelle e strisce in politica estera. Si pensi a Rod Dreher, editorialista del bimestrale “The American Conservative”. Autoesiliatosi a Budapest, Dreher non giustifica le azioni dei russi, ma critica fortemente l’establishment americano. Poi c’è il giornalista televisivo Tucker Carlson, che per molto tempo ha dato voce agli esponenti più autorevoli dell’opposizione interna americana e li ha lasciati parlamente liberamente, al punto che il canale Fox News lo ha licenziato.
Da citare anche Joy Pullmann, direttrice del “The Federalist”, che accusa Biden di permettere che gli americani subiscano violenza in casa propria e di incoraggiare la violenza anche all’estero, Ucraina in particolare. Vista da destra, l’amministrazione Biden comincia pericolsamente ad assomigliare a quella presidenza ucraina che sostiene coi dollari e con le armi, a quel governo illiberale di Kiev che occupa con la coercizione tutti i posti chiave, mette fuorilegge i partiti considerati filorussi e discrimina le minoranze.
Gli attacchi di Noam Chosmky
Vista da sinistra, la Casa Bianca dell’inquilino Biden ha mostrato in Ucraina il cinismo peggiore nel perseguire esclusivamente i propri interessi. Lo dice Noam Chosmky, che coi suoi 94 anni vanta una lunghissima carriera accademica e letteraria, oltre che di attivista politico già dai tempi del Vietnam. Figlio di immigrati ebrei provenienti proprio dall’attuale Ucraina, Chomsky sostiene che gli USA abbiano provocato la Russia spingendo la NATO fino ai suoi confini e abbiano fatto deflagrare le ostilità rifiutando di negoziare ulteriormente con Mosca. Kiev, dal canto suo, non è un soggetto libero di tale contesa, ma dipende completamente dai dettami di Washington.
Secondo Chomsky, oggi l’obiettivo americano è di indebolire quanto più possibile la Russia, il suo unico rivale sul piano militare. Negli Stati Uniti, la compattezza del fronte pro-Ucraina è ormai irrimediabilmente compromessa. Vi sono motivazioni differenti alla base delle contestazioni verso il sostegno incondizionato a Kiev, ma la finalità di tutte le voci critiche è identica: fermare la corsa verso il disastro.
52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.