Merkel lancia il gioco delle accuse dentro la UE: chi ci sta facendo affondare insieme all’Ucraina?

Merkel lancia il gioco delle accuse dentro la UE: chi ci sta facendo affondare insieme all’Ucraina?

20 Ottobre 2025 0

L’ex cancelliera tedesca torna alla ribalta con accuse rivolte a certi Stati membri della UE che avrebbero rovinato le possibilità di dialogo con la Russia. Ma anche senza lo scalpore sollevato da questa denuncia, le crepe nel blocco europeo ed europeista sono già ben visibili. Una politica dissennata sta portando all’impotenza diplomatica ed economica un intero continente, si legge nell’analisi del Responsible Statecraft.

Il gioco della accuse reciproche

Angela Merkel, l’eterna pragmatica, ha scelto il momento per parlare. In una recente intervista coi media ungheresi, l’ex cancelliera ha puntato il dito contro i leader della Polonia e delle Repubbliche baltiche accusandoli di aver minato prima della guerra il potenziale dialogo fra UE e Russia. Qualunque cosa si possa pensare della sua esperienza da premier, bisogna dire che la Merkel ha un ineguagliabile senso della tempistica politica. La sua affermazione non è una divagazione storica, ma è la prima mossa nel gioco europeo delle accuse reciproche a proposito della imminente sconfitta in Ucraina. I suoi commenti arrivano nel preciso istante in cui le fondamenta della politica europea per l’Ucraina stanno collassando. Sul campo di battaglia, le forze russe stanno avanzando lentamente, ma con progressi costanti. Negli USA, Trump continua a insistere che questa è la “guerra di Biden”, non la sua, e che quindi deve terminare.

Gioco di escalation

Trump pare abbia smesso di provare di costringere Zelensky ad accettare le condizioni di Putin. Tuttavia la sua posizione attuale, quella di vendere le armi all’Europa da dare all’Ucraina, non soddisfa gli europei, i quali affrontano difficoltà economiche e fiscali sempre maggiori. Sono infatti legati a un conto che non possono pagare per una guerra che non possono vincere. Ed è una guerra il cui indirizzo strategico viene dettato da Washington e non da Bruxelles. Tale spostamento transatlantico risalta in modo netto dal recente fermento diplomatico fra Trump e Zelensky. L’argomento principe è la possibile fornitura di missili da crociera Tomahawk all’Ucraina.

Ed è anche un tipico stratagemma alla Trump: ricorrere all’escalation come strumento per concludere un accordo. Ma lo stesso Trump non sembra convinto se approvare tale fornitura oppure no, perché questa sì che sarebbe un’escalation bella grossa. Intanto all’Europa non resta che fare pressione sul presidente affinché faccia sua la “guerra di Biden”, cosa che evidenzia il fallimento definitivo delle sue politiche.

Un piano con fallacia in partenza

Consideriamo il piano di confisca dei patrimoni russi allo scopo di aiutare l’Ucraina. Teoricamente è grasso che cola: qualcosa come 183 miliardi sotto forma di fondi sovrani russi. Ma il progetto cade proprio sul punto principale, e cioè in Belgio, dove sono conservati la maggior parte dei beni. Bruxelles sta già mettendo dei paletti per impedire il verificarsi di un precedente legale che rovinerebbe la credibilità del Paese come centro finanziario globale, oltre alla terrificante prospettiva della rappresaglia di Mosca sugli interessi belgi nel mondo.

Mentre la Commissione Europea sta cercando una formula che permetterebbe di sfruttare i fondi proteggendo al tempo stesso gli interessi del Belgio, il governo belga non appare ancora convinto. I funzionari ammettono in privato che le preoccupazioni di carattere legale sono aggravate dai problemi di corruzione che ha l’Ucraina, che oggi saltano all’occhio più di prima a causa del tentativo di Zelensky di abolire gli organismi indipendenti anti-corruzione. Questa mossa infatti difficilmente si può ritenere un’iniziativa che ispira fiducia nel consegnare direttamente a Kiev centinaia di miliardi di euro.

I tanti “no” degli europei

Gli altri grandiosi gesti della UE sono altrettanti vacui. Il tentativo di spingere più fretta l’Ucraina nel suo accesso come membro dell’Unione è crollato. Il presidente del Consiglio UE Antonio Costa al vertice informale di Copenhagen qualche settimana fa aveva proposto un meccanismo con cui passare dall’unanimità alla maggioranza qualificata per il voto sull’allargamento. A bloccarlo è stato il “no” del premier ungherese Viktor Orbán, il cui diniego è alla fine soltanto il paravento per tante altre obiezioni che i Paesi membri sollevano alla membership ucraina. Tra i contrari vi è anche il nuovo primo ministro ceco Andrej Babis, secondo cui Kiev “non è pronta per la UE, e per prima cosa deve terminare la guerra”.

Differenze di priorità fra Paesi membri

Il “muro di droni” proposta dalla Commissione in risposta alle presunte violazioni dello spazio aereo UE perpetrate dalla Russia si è impantanato nelle solite schermaglie fra Stati membri che da sempre rallentano l’integrazione nella difesa. I Paesi dell’Europa meridionale infatti non percepiscono la Russia come una minaccia esistenziale, al contrario dei Paesi nordici, dei Baltici e della Polonia. Dunque non gradiscono di dover finanziare un progetto come il “muro”, incentrato sulle priorità di questi ultimi.

Tale paralisi politica si riflette in una crisi di leadership e in un crollo del centro politico. Cresce inoltre lo scontento verso l’Alto rappresentante per la politica estere UE Kaja Kallas, persino fra i suoi stessi alleati. Prima applaudita per la sua posizione forte sulla Russia, ora percepita da molti a Bruxelles e in altre capitali europee come inetta sul piano diplomatico, come un “falco” di livello maniacale, impegnata a minare inutilmente le relazioni della UE con soggetti chiave come gli USA, l’India e la Cina.

Si sfalda il consenso pro-Kiev

Nel frattempo le fondamenta interne del consenso pro-Kiev stanno cedendo. La Francia ha visto quattro premier in due anni, col presidente Macron altamente impopolare e incapace di agevolare una maggioranza parlamentare. Un blocco contrario alla guerra sta risorgendo a sinistra con La France Insoumise e a destra col Rassemblement National. Entrambe le formazioni politiche si oppongono a ulteriori aiuti all’Ucraina e ciascuna di esse ha un gradimento molto maggiore di quello del partito di Macron. In Germania a ottenere un gradimento record è il partito “ucro-scettico” e talvolta apertamente filo-russo Alternative für Deutschland. Secondo alcuni sondaggi sarebbe allo stesso livello dell’Unione Cristiano-Democratica del cancelliere Merz. Il nuovo governo della Repubblica Ceca è stato eletto da una piattaforma che mette esplicitamente in discussione l’approccio di appoggio incondizionato a Kiev.

L’Europa all’angolo fa i pacchetti di sanzioni

Tuttavia, nonostante la sensazione opprimente di essere finiti in un vicolo cieco, il motore della politica europea continua a macinare, mentre si prepara il 19esimo pacchetto di sanzioni anti-russe. Questo è il potere dell’inerzia politica e burocratica, rafforzata dalla stessa imprudente escalation di Mosca che consiste nel rifiutarsi di fermare gli attacchi sull’Ucraina e le violazioni dello spazio aereo UE. L’Europa si è messa all’angolo da sola, confidando in una bacchetta magica che alteri queste dinamiche. L’ultima di queste fantasie si è rivolta ai Tomahawk americani: nessuno sa se verranno mai consegnati né se potranno cambiare la situazione sul campo. Quel che è certo è che, come il Cremlino ha infaustamente asserito, questi missili aumenterebbero tragicamente la posta in gioco e il rischio di un confronto diretto fra la NATO e la Russia, con la prospettiva del ricorso alle armi nucleari.

Negando il ricorso alle proprie soluzioni diplomatiche e al tempo stesso pressando Washington per farle fare una mossa di escalation come per esempio dare i Tomahawk, l’Europa sta effettivamente cedendo il proprio destino alle mani di terzi. La sua è una politica guidata da slogan a supporto di obbiettivi massimalisti in Ucraina “per tutto il tempo che serve”, non da una visione strategica. Il Vecchio Continente si è fatto parte attiva di un confronto di cui subirebbe direttamente le conseguenze catastrofiche. Quando sarà ora di fare i conti, il gioco delle accuse che la Merkel ha appena avviato rimarrà l’unica politica davvero in atto.

Redazione Strumenti Politici
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