Corruzione, dubbi dei Paesi membri, veto ungherese: il cammino a ostacoli dell’Ucraina verso la UE
Solitamente il mainstream incolpa Orbán di impedire all’Ucraina di diventare il 28esimo Stato membro della UE. Tuttavia, un’occhiata più approfondita mostra anche gli altri fattori che bloccano l’accesso di Kiev all’Unione.
Il veto ungherese
Nel discorso politico sull’Ucraina nella UE il ruolo di capro espiatorio tocca sempre all’Ungheria. Il veto di Budapest infatti blocca a tempo indeterminato il percorso di adesione di Kiev. Finora gli euroburocrati sono riusciti con qualche forzatura a proseguire un po’ oltre la fase iniziale. La ragione ufficiale del veto è data dalle preoccupazioni sul trattamento della minoranza magiara in Ucraina. I timori riguardano in particolare il diritto al mantenimento della lingua nativa, ma negli ultimi anni si sono verificati episodi di repressione e di abuso nei confronti degli ungheresi etnici, che pare siano stati mandati al fronte più spesso del previsto. Oppure il caso della città di Mukachevo, dove l’amministrazione locale ha rimosso la statua del falco turul, il vessillo nazionale ungherese, sostituendola col tridente ucraino.
Per far diventare l’Ucraina il 28esimo membro occorre l’unanimità di voto dei 27 membri. E allora per ammorbidire il diniego di Budapest la Commissaria europea per l’Allargamento Marta Kos si recentemente è recata in Ucraina proprio per incontrare la minoranza magiara e dialogare. I funzionari UE fanno sapere agli ucraini che se Kiev implementerà tutte le riforme richieste per elevarsi agli standard europei, verrà certamente trovato un modo per superare l’opposizione di Orbán o di chiunque altro.
I dubbi dei Paesi membri
Non è infatti soltanto Budapest a temere l’adesione dell’Ucraina. Anche Varsavia, che pure ha fatto molto in questi anni per aiutare Kiev sul piano umanitario e materiale, sembra non avere fretta di accoglierla nel consesso UE. Il suo timore principale riguarda il successivo afflusso libero di prodotti agroalimentari che sconvolgerebbero gli equilibri del mercato unico e danneggerebbero la produzione agricola polacca. Nel gruppo degli scettici vi sono anche Grecia e Bulgaria. Si è unita a loro la Repubblica Ceca, da oggi guidata nuovamente dal premier Andrej Babiš. Quest’ultimo ha dichiarato che l’Ucraina non è ancora pronta a diventare membro UE, ma che deve prima terminare le ostilità con la Russia. Un suo ingresso prematuro nell’Unione sarebbe “una catastrofe completa”.
A sua volta, il cancelliere tedesco Friedrich Merz non si aspetta tale ingresso prima del 2034, mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ipotizza l’adesione entro il 2030 solamente a condizione che Kiev mantenga l’attuale ritmo e rispetto delle riforme. Ma gli euroburocrati ammettono che gli ucraini hanno ancora molto da fare per garantirsi l’adesione, che è un processo “lungo e difficoltoso”.
Corruzione
Difficile credere che Kiev riesca a tenere il ritmo delle riforme come auspicato dalla von der Leyen se ogni tanto cerca di fare qualche grosso passo indietro, come nel caso del tentativo di assoggettamento degli organismi anti-corruzione al controllo presidenziale. Aleggia ancora la pessima impressione fatta dalla legge approvata da Zelensky in estate e da lui stesso prontamente ritirata quando ha visto l’infuriata reazione popolare. E avrà certamente visto anche lo sconcerto degli euroburocrati, che non potevano ingoiare tale rospo facendo finta di niente.
I commenti della Kos sono stati espliciti: “Quanto accaduto il 22 luglio non deve ripetersi mai più”. La legge in questione è un grave passo indietro, perché “soggetti indipendenti come il NABU e il SAPO sono fondamentali per il percorso verso la UE”. Poi getta acqua sul fuoco ribadendo che il percorso europeo dell’Ucraina è segnato, che è solo una questione di tempo. Ma sembrano davvero soltanto parole di circostanza.
Sondaggi non proprio entusiasmanti
I governi potranno dare o meno il voto favorevole all’ingresso di Kiev nella UE, ma i cittadini sono tutt’altro che entusiasti. Un sondaggio di settembre mostra una media di approvazione da parte degli europei di appena il 52%. Persino il 91% registrato in Svezia ha comunque la premessa obbligatoria che Kiev rispetti tutte le condizioni imposte da Bruxelles, ed è un risultato ancora molto lontano. Come prevedibile, il grado di approvazione è alto nei Paesi dove prevale un sentimento antirusso, con la Danimarca all’81% e la Lituania al 72%. In Francia scende al 48% e in Repubblica Ceca al 28%. La Kos è convinta di poter cambiare il pensiero dei Paesi meno disposti andando a dialogare con loro in concreto su quali timori hanno e come risolverli. Dunque a Bruxelles ci tengono molto ad accogliere Kiev, ma la strada è tutta in salita.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.

