Un anno intero in Ucraina: intervista a Luca Steinmann, uno dei pochissimi giornalisti occidentali che racconta sul campo il lato russo del fronte

Un anno intero in Ucraina: intervista a Luca Steinmann, uno dei pochissimi giornalisti occidentali che racconta sul campo il lato russo del fronte

15 Febbraio 2023 0

È appena uscito Il fronte russo”, il libro di Luca Steinmann edito da Rizzoli, in cui si racconta un anno di guerra in Ucraina vista e vissuta dalla parte russa del fronte. Steinmann ha lunga esperienza di reporter sul campo nei luoghi più martoriati del pianeta, dall’Afghanistan alla Siria, dall’Ecuador all’Armenia. Oggi è di fatto l’unico giornalista occidentale a poter raccontare con esperienze di prima mano il conflitto ucraino visto dal lato dei russi. Analista geopolitico di Limes, Steinmann in Italia è inviato di guerra per il TGLa7 di Enrico Mentana e ha collaborato in Germania con Ard, Die Welt e Deutsche Welle, in Svizzera con RSI Radiotelevisione svizzera e Corriere del Ticino. Anche per il nostro giornale ha effettuato reportage esclusivi dall’Afghanistan. Oggi con il suo libro già disponibile nelle librerie racconta i luoghi e le persone di un anno di guerra, da Donetsk a Kharkov, da Mariupol a Kherson.

Infografica - La biografia dell'intervistato Luca Steinmann
Infografica – La biografia dell’intervistato Luca Steinmann

– Bentornato in Italia Luca.
– Grazie. Ora sono a Roma per la presentazione del libro, ma prevedo di tornare presto in Donbass.

– Quanto tempo è stato in Ucraina?
– Un anno. Se contiamo l’interruzione dovuta a due “pause”, sono stati sette mesi effettivi con l’elmetto in testa, passati a seguire le truppe russe e cecene, a visitare i territori contesi e a parlare con la popolazione civile.

– C’erano altri colleghi insieme a Lei?
– Di fatto sono stato l’unico reporter ad aver seguito dal lato russo l’intero arco del conflitto, da prima ancora della cosiddetta “operazione militare speciale” della Federazione Russa. Ero infatti giunto in Donbass il 18 febbraio 2022, ma proprio il giorno successivo la Russia chiuse i confini delle due autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk, impossibilitando di fatto l’ingresso di altri colleghi.

Della manciata di giornalisti presenti alcuni scelsero di andar via, così ne rimasero solo un paio insieme al sottoscritto. Ma anche questi ultimi due, dopo qualche mese, sono andati via. Quindi sono rimasto solo a coprire interamente l’anno di guerra sul lato dei territori russi. Ho visto da vicino la battaglia di Mariupol, le trincee intorno a Donetsk, l’offensiva su Lugansk per prendere Severodonetsk e Lysychansk, le operazioni a sud nelle oblast’ di Kherson e Zaporozhye, la centrale nucleare di Energodar. Ho anche visto le ritirate russe da Kharkov e da Kherson e le recenti offensive intorno a Bakhmut.

– Tutti questi eventi visti e vissuti di persona li racconta nel Suo libro. Quanto di diverso vi può trovare un cittadino ben informato rispetto a quello che legge solitamente sui quotidiani mainstream?
– Nel libro ho inserito testimonianze e dettagli che ho raccolto di persona e che forse un lettore italiano medio non può vedere altrove. Spiego il motivo. Al di là di qualunque considerazione sulla propaganda, la ragione è meramente quantitativa. C’erano davvero pochi giornalisti occidentali sul lato russo, nel corso degli ultimi mesi, se escludiamo alcuni press tour che – senza offesa – per la loro stessa natura non rappresentano una fonte di notizie particolarmente interessante.

Nella parte ucraina, invece, fino a fine 2022 erano registrati ben 11mila giornalisti. Dunque si vede che il motivo è banalmente numerico: da Kiev giungeva e giunge ancora in Europa una massa di notizie e informazioni enormemente superiore rispetto a quella proveniente dalla parte russa. Potete così immaginare quante storie umane, quanti spaccati di vita, quanti contesti vissuti nei territori controllati dai russi che non si sono mai trasformati in “notizie” per il pubblico italiano, perché non erano riportati dai media. Invece nel libro ho raccolto quello che ho visto di persona e che a molti potrebbe suonare strano o comunque molto diverso da quanto immaginato basandosi sul mainstream.

– Perciò, anche senza tirare in ballo la questione della propaganda, la prevalenza della versione ucraina dipende dalla risonanza data a certe notizie e non ad altre.
– Quando una notizia si diffonde molto, diventa più facile diffonderla ulteriormente. Ciò dipende dall’avere a disposizione un maggior numero di fonti. A raccontare i bombardamenti russi su Kiev c’erano migliaia di giornalisti, che essendo in tanti hanno potuto amplificare l’estensione della notizia, presa sul serio proprio perché riportata su un gran numero di media. Invece, a raccontare dei pesanti bombardamenti ucraini su Donetsk c’erano poche fonti, in pratica una sola: dunque giornali e tivù erano comprensibilmente diffidenti nel riportare le notizie, perché non avevano la possibilità di fare verifiche incrociate. Per quanto mi riguarda, ho sempre avuto la massima libertà di lavoro da parte dei miei editori, da cui non ho mai subito pressioni o censure.

Dei pochi altri colleghi europei presenti con me sul lato russo, invece, alcuni hanno dovuto affrontare l’incredulità o la ritrosia della redazione nel pubblicare i loro resoconti che in alcuni casi non venivano pubblicati oppure venivano manipolati. In quei momenti iniziava la propaganda.

– Alcuni esperti dicono che questo conflitto ricorda sotto certi aspetti della vita militare la Prima o la Seconda guerra mondiale. Lei è stato nelle trincee, ha parlato coi soldati, ha vissuto con loro. Quanto è simile questa esperienza alle guerre del XX secolo?
– Più di quanto si possa pensare. Sono stato dentro le trincee nel senso classico della parola, quelle scavate dai soldati nei prati, nel fango, nella neve. In queste trincee russi e ucraini si fronteggiano da vicino, ne escono per inseguirsi e cercare di prendersi, e spesso l’esito è l’uccisione dell’avversario.

Sì, sono scene che ricordano quanto accaduto nelle guerre mondiali. Fa venire i brividi accorgersi che le battaglie di oggi vengono combattute nel posto esatto di alcune delle battaglie di ottant’anni fa dall’Armata Rossa contro l’esercito tedesco e il Corpo di spedizione italiano. Sembra incredibile, ma nemmeno le strategie di combattimento o l’abbigliamento dei soldati sono cambiati molto. Nelle battaglie di posizione del 2022 in Ucraina non è tutto tecnologia e intelligence: una parte importante del lavoro è svolta dall’estenuante fatica fisica e morale di uomini con qualche rattoppo sulla divisa e pronti a usare l’arma bianca, se necessario.

FOTO - Soldato della Repubblica Popolare di Donetsk
FOTO – Soldato della Repubblica Popolare di Donetsk

Il fattore umano, spesso sottovalutato, rimane fondamentale per capire la guerra. Come vive il soldato in trincea, coi piedi nel fango ed esposto di continuo al vento e al freddo? Come vive la popolazione di fianco a questi soldati? Sono aspetti che hanno un fortissimo impatto sulle battaglie e dunque sulla definizione dei rapporti di forza fra i contendenti, cioè fra Russia e Ucraina, fra Russia e Occidente. Si parla spesso di tecnologie militari, di droni o di missili, ma questa guerra ci mostra l’importanza del fattore umano rappresentato da coloro che per settimane o mesi stanno al freddo a guardare il nemico a poche centinai di metri di distanza e a sparargli contro.

– È stato all’Azovstal, la famosa o famigerata acciaieria di Mariupol della quale sono giunte in Italia le notizie più svariate, dalla presenza di consiglieri militari americani alla popolazione rifugiatasi nei sotterranei, dalla brutalità dei bombardamenti all’eroismo dei difensori del battaglione Azov…
– Non ho potuto visitare la parte ucraina dell’acciaieria, dunque non sono in grado di confermare quanto riferito dai media occidentali. Ho visto invece i combattimenti dei ceceni, con i quali stavo mentre conquistavano armi in mano una parte del complesso.

Posso ricostruire con una certa precisione gli scontri intorno all’acciaieria e spiegare come siano nate le accuse reciproche di utilizzo la popolazione come scudo umano. Occorre dire anzitutto che Azovstal si trova in mezzo alla città di Mariupol e si estende su una superficie molto vasta, quasi 12 chilometri quadrati. È una città nella città, composta dall’acciaieria vera e propria e da una serie di edifici amministrativi o di dormitori per i dipendenti. L’impianto si affaccia sul mare e in parte costeggia il fiume Kalmius, con una parte che dà sul centro storico di Mariupol. Per provare ad entrare nell’acciaieria i russi hanno sfondato attraverso il lato urbano dell’Azovstal dove gli ucraini si erano arroccati all’interno dei palazzi residenziali per respingere il nemico: quella zona della città si è così trasformata in un campo di battaglia, con ucraini da una parte e russi e ceceni dall’altra.

Foto – L’acciaieria di Mariupol Azovstal

Molti civili sono andati a rifugiarsi nei sotterranei dell’acciaieria o nelle cantine dei propri palazzi, mentre sulla strada e sui tetti si scatenavano gli scontri a fuoco. La popolazione così è rimasta coinvolta. I russi alla fine sono riusciti a sfondare, pur a costi altissimi e solo dopo che i soldati ucraini si erano rintanati nell’acciaieria, dove erano già presenti i civili. Azovstal si è quindi trasformata in una fortezza quasi inespugnabile, tanto che i russi a un certo punto hanno deciso di smettere di provare a conquistarla con le armi e in un certo senso hanno cercato di prenderla per fame. Alla fine gli ucraini hanno negoziato una resa.

– Quali emozioni, quali sentimenti, quali idee ha potuto vedere nella popolazione civile e nei soldati?
– Per quanto ho potuto constatare parlando con la gente del Donbass, la componente ideologizzata è minoritaria, come d’altronde accade sempre nelle guerre. Mi hanno raccontato tutti che all’inizio del conflitto nel 2014 la popolazione si divise fra chi voleva staccarsi dall’Ucraina e chi voleva rimanervi. Negli ultimi otto anni chi era favorevole a Kiev ha avuto tutto il tempo per andarsene.

Oggi è difficile trovare a Donetsk o a Lugansk ucraini ferventemente nazionalisti, anche se ce n’è ancora qualcuno. In queste due regioni l’atmosfera comunque è decisamente russofila. La maggioranza della popolazione nutre solamente il desiderio di vivere in pace. Da otto anni, infatti, questa gente ha vissuto sulla linea di contatto, terribile limbo in cui subivano pressioni e bombardamenti da parte dell’esercito ucraino.

All’inizio della cosiddetta operazione speciale, quindi, speravano che l’arrivo dei russi avrebbe spostato la linea del fronte di qualche chilometro e avrebbe permesso loro di vivere più al sicuro. Di fatto, almeno nella regione di Donetsk purtroppo non è avvenuto, anzi i combattimenti sono diventati più violenti e i bombardamenti dell’esercito di Kiev sulla città hanno raggiunto un’intensità mai vista prima. Vorrei sottolineare il grande pragmatismo della popolazione del Donbass e anche la loro stanchezza, così come la volontà di non volersene andarsene, di non voler scappare.

Mi ha stupito il fatto che vogliano rimanere, pur non essendo per forza fortemente ideologizzati e pur vivendo in una situazione estrema. Il loro attaccamento alla casa e al territorio renderebbe traumatica l’evacuazione o la fuga. Ricordiamoci che questa è anzitutto una guerra civile. Mi ha scosso vedere le spaccature avvenute dentro le famiglie, ad esempio con un nipote andato a vivere a Kiev perché odia la Russia e la nonna rimasta a Donetsk perché filorussa.

Diverso è l’atteggiamento delle persone che abitano a poca distanza gli uni dagli altri, ma su due fronti opposti, cioè quelli che dal 2014 vivono nel territorio delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e quelli che sono nella porzione delle regione rimasta sotto il controllo di Kiev. Fra loro non c’è alcun tipo di differenza etnica o linguistica, ma nei territori occidentali dopo otto anni è più facile trovare persone che si esprimano negativamente nei confronti della Russia, mentre nella zona orientale è difficile che ciò avvenga. A Donetsk e Lugansk, infatti, la percezione è quella che sia Kiev a portare la guerra coi suoi bombardamenti iniziati anni fa, mentre dall’altra parte i bombardamenti sono iniziati con l’arrivo dei russi il 24 febbraio dell’anno scorso.

– Quali sono le speranze della popolazione per il futuro, qual è l’atteggiamento?
– Molti preferiscono concentrarsi sull’oggi e non pensare a cosa accadrà domani: vogliono prima arrivarci al domani e poi si vedrà cosa fare. Coloro che vivono in zone non soggette ai bombardamenti, invece, possono permettersi il “lusso” di pensare al futuro e fare programmi. In generale, comunque, c’è una sensazione di attesa nella quale non si sa cosa aspettarsi dal domani, perché finora non si è avverata la promessa di un conflitto breve che avrebbe risolto tutto.

La gente crede che la guerra sarà ancora lunga e nutre un misto di speranza e di disperazione: speranza che alla fine le cose si sistemeranno e disperazione verso una situazione di guerra che va avanti da otto anni e che nel 2022 ha raggiunto la sua fase più drammatica. In tanti sono convinti che l’Occidente e lo Stato ucraino vogliano punire la popolazione del Donbass per avere accolto o accettato la presenza russa e quindi ritengono che per loro sia meglio vivere sotto la Russia.

– Dopo aver fatto reportage in Afghanistan, in Siria, in Sudamerica e in altre parti del mondo afflitte da crisi e conflitti, forse c’è poco che La possa scuotere o colpire. Invece in Donbass ha visto qualcosa di diverso che L’ha toccata?
– Sì. È stata la dignità degli anziani di fronte alla disperazione che era dentro e fuori di loro. Ho visto molti vecchi piangere la morte dei loro cari. Sono scene strazianti. Tutti tendiamo a credere che il dolore peggiore sia quello di un bambino che piange la morte dei genitori o che deve scappare dalla sua casa, mentre si pensa che gli anziani soffrano meno, avendo ormai fatto la loro vita.

E invece provano una sofferenza immensa nel momento in cui vedono distrutta la casa in cui hanno vissuto la propria vita o perdono le persone che hanno amato per anni. Le difficoltà emotive e psicologiche sono maggiori rispetto ai giovani, i quali hanno invece la prospettiva di poter ricostruire la propria vita. La dignità che ho visto in quegli anziani mi ha colpito e commosso.

Infografica - La scheda del libro "Il fronte russo"
Infografica – La scheda del libro “Il fronte russo
Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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