The American Conservative: gli USA giocano d’azzardo in Ucraina sulla soglia nucleare, ma è ora di fermare l’escalation
La rivista The American Conservative spiega in modo dettagliato gli errori fatti da Washington nella sua ricerca di dominio globale, anche a discapito della sicurezza e della stabilità. Oggi in Ucraina Biden sta scherzando col fuoco e i russi glielo hanno già fatto sapere senza mezzi termini. Dunque è giunto il momento di fare qualche passo indietro e allontanarsi dalla soglia nucleare. Magari questo conflitto sarà un’opportunità per rivedere positivamente i rapporti con Mosca e riscrivere alcune regole.
Kiev preme per poter colpire
L’Ucraina sta impiegando molta pressione per far togliere tutte le restrizioni all’utilizzo degli armamenti. Nella sua recente visita, il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov ha nominato un certo numero di aerodromi russi che si trovano entro la gittata delle armi a lungo raggio, sia quelle fornite dagli USA che dagli europei. Così, ora Kiev sta implorando il semaforo verde per portare il conflitto a un livello superiore. Lo stesso Zelenksy andrà a Washington questo mese per presentare a Biden il suo “piano per la vittoria” che, a quanto sembra, delinea il percorso di Kiev verso il conseguimento dei suoi obiettivi bellici. Tale piano includerà sicuramente l’ottenimento e l’utilizzo di armamenti a lunga gittata aventi capacità offensive per colpire dentro la Federazione Russa.
Per il momento ciò non è ancora accaduto. La ragione probabile è che persino i nostri altrimenti miopi leder politici comprendono bene che la situazione disperata degli ucraini sul campo di battaglia li lascia con una sola opzione strategica: coinvolgere maggiormente gli USA. Mosca ha dunque fatto sapere che la soglia tra una guerra per procura e uno scontro aperto è già stata raggiunta. Che venga oltrepassata o meno dipende dalle decisioni che saranno prese nelle aule di Washington (e forse anche in quelle di Bruxelles) nelle prossime settimane.
La dottrina nucleare russa
I recenti cambi nelle rispettive strategie nucleari di USA e Russia hanno notevolmente accentuato la pericolosità del momento. Se Kiev spinge sulle armi a lungo raggio, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov coglie l’occasione per rimproverare all’Occidente di “giocare col fuoco”. Secondo lui, permettendo di colpire il territorio russo, gli Stati Uniti non fanno altro che “cercare guai”, ed è irresponsabile per coloro “cui sono affidati gli ordigni nucleari” impelagarsi in una politica del rischio calcolato così imprudente. I media russi riferiscono che il Cremlino ha deciso di “affinare” la dottrina nucleare alla luce di tale comportamento provocatorio e teso all’escalation. Il viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov ha confermato le modifiche in atto, spiegandole con la condotta occidentale. Per l’attuale dottrina l’impiego delle armi nucleari è consentito sia come rappresaglia contro il “primo attacco” (first strike) di un nemico sia in caso di minaccia esistenziale allo Stato.
Inoltre dice che un attacco contro postazioni russe aventi responsabilità di una risposta nucleare sarà considerato come una giustificazione accettabile per l’impiego di ordigni nucleari. E Kiev ha già lanciato recentemente degli attacchi con droni nel sud-ovest della Russia contro postazioni russe aventi i sistemi di allerta precoce (early warning system – EWS). Stante oggi la prospettiva dell’utilizzo di armi a lungo raggio fornite dall’Occidente, appare sensato che il Cremlino stia segnalando di aver alzato la soglia di prontezza operativa qualora tali attacchi continuassero a crescere di frequenza e di intensità. Nelle sue dichiarazioni sulla dottrina nucleare, Lavrov ha quindi ridicolizzato la convinzione di Washington di poter indefinitamente tenere in piedi una guerra per procura con la manifesta intenzione di indebolire lo Stato russo, deteriorando le sue capacità militari ed incoraggiando un cambio di regime e contemporaneamente fingendo di starne fuori.
Il tentativo ucraino di massimizzare l’effetto
Le circostanze attuali mostrando una posizione ucraina ad est che sempre più precaria. Kiev ha un bisogno disperato di alterare le dinamiche strategiche del conflitto, che oggi favoriscono la produzione industriale della Russia e la sua abilità di mantenere fresche le forze con la rotazione delle unità di prima linea. Una degli scopi dell’offensiva di Kiev in direzione Kursk è rassicurare gli alleati nel loro sostegno allo sforzo militare ucraino e successivamente sfruttare qualunque presunto successo per spingere sull’uso senza limitazioni degli armamenti occidentali. Ad esempio, l’ex ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha affermato che “il problema principale” che deve affrontare Kiev è il ruolo del concetto di escalation nel processo decisionale dei nostri partner. Lo stesso Zelensky sottolinea spesso come le “linee rosse” di Putin siano solo dei bluff finalizzati a spaventare gli USA ed evitare così che questi forniscano all’Ucraina i mezzi per vincere la guerra.
Ma ciò è logico solamente nel caso in cui la Russia consideri l’impegno verso i suoi nuovi territori incorporati e la neutralità dell’Ucraina come punti negoziabili e non come posizioni esistenziali per lo Stato russo. Ma tutti i segnali convergono sulla seconda opzione. Putin dice continuamente di essere pronto a usare “tutti i mezzi possibili” per proteggere la Federazione Russa e il suo territorio. Lo ha detto anche nell’ottobre del 2022 alla cerimonia ufficiale con è stata formalizzato l’ingresso delle quattro nuove regioni (oblast’): Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson.
La Guida nucleare di Biden
Scommettere sul bluff russo è un azzardo rischioso. Non è certo un caso che i media russi abbiano sviscerato le recenti relazioni sulla Guida all’impiego delle armi nucleari (Nuclear Employment Guidance) emessa dall’amministrazione Biden, allo scopo di avvertire che gli USA stanno cercando di aumentare il dispiegamento dell’arsenale nucleare dopo che i limiti imposti dal trattato bilaterale di riduzione con la Russia perderanno vigore nel 2026. Washington ha ricalibrato la strategia deterrente per focalizzarsi sulla rapida espansione dell’arsenale nucleare da parte della Cina. L’intenzione è rispondere a un mondo in cui i nemici del Paese si stanno coordinando per minare la posizione internazionale dell’America. Cina, Russia, Nord Corea e Iran portano il marchio di Stati detentori di armi nucleari che costituiscono insieme un’unica minaccia agli USA. La nuova strategia punta quindi a creare una cornice per reagire in modo efficace alle crisi che avvengono contemporaneamente in diversi teatri regionali.
Essa include l’uso di armi sia nucleari che convenzionali. E naturalmente la Russia – il Paese col maggior numero di testate nucleari al mondo – risulta l’attore più irresponsabile nell’arena internazionale. Il Times cita l’esperto di politica estera Richard Haass, il quale afferma che l’Occidente ha a che fare con una Russia radicalizzata e che quindi non si può più escludere l’uso di armi nucleari in un conflitto convenzionale. Qui l parola principale è ovviamente “radicalizzata”: l’implicazione è un quadro normativo di un’azione giusta, regolare, razionale da cui la Russia si è allontanata. Citando uno stratega nucleare del MIT, il Times riferisce che oggi è responsabilità dell’Occidente vedere il mondo così com’è, non come speriamo o ci auguriamo che sia… Forse un giorno ci guarderemo indietro e vedremo il quarto di secolo dopo la Guerra Fredda come un intervallo nucleare.
Missili balistici ed equilibrio
Mentre entrambi i Paesi svolgono il loro ruolo nel processo, gli USA hanno certamente approfittato della posizione di forza relativa susseguente alla Guerra Fredda per elevare la tensione. Un’opportunità mancata: infatti tale posizione avrebbe permesso di intraprendere un percorso molto differente per promuovere la sicurezza internazionale e la non proliferazione. Una delle prime azioni davvero provocatorie che ha avuto conseguenze pesanti per la dottrina nucleare fu la decisione dell’amministrazione Bush di ritirarsi dal Trattato ABM anti missili balistici nel 2002. Nonostante fosse in vigore dal 1972, la Casa Bianca pensò all’epoca che tale accordo non fosse più efficace, dal momento che missili balistici di gittata maggiore venivano usati come strumento di “ricatto e coercizione” contro gli Stati Uniti da parte degli Stati-canaglia. La Russia non rientrava esplicitamente in tale categoria perché si presumeva che anch’essa stesse svolgendo il processo di abbandono dei suoi diritti all’autodifesa e alla sovranità nazionale.
I sistemi missilistici anti-balistici forniscono una difesa contro le capacità di “secondo colpo” (second strike) di altri Stati nucleari. È una considerazione di grandissima importanza soprattutto per la dottrina difensiva russa, perché non solo gli USA mantengono una massiccia presenza militare sul continente europeo, ma qualsiasi scoppio di ostilità porterebbe inevitabilmente con sé il rischio di gettare tutto il peso della NATO contro la Russia. In altre parole, la garanzia di capacità di secondo colpo da parte di Mosca garantiva equilibrio, perché dava i mezzi di risposta a un primo colpo dell’Occidente: dunque assicurava la deterrenza. E ciò è particolarmente importante perché gli Stati Uniti continuano a mantenere un’opzione di primo colpo nella propria dottrina nucleare.
Chi decide chi sono gli Stati canaglia
Da parte loro, gli USA obiettano che l’abrogazione del trattato era pure negli interessi della Russia. Citando la spiegazione ufficiale data nel 2002: la Guerra Fredda è finita. Così ci si aspettava che Mosca ora lavorasse con gli Stati Uniti nell’affrontare insieme i soggetti “canaglia” nel mondo. Sebbene ciò potesse avere un senso all’epoca, divenne rapidamente chiaro che era l’élite transatlantica a guida americana che da sola avrebbe deciso chi era un soggetto canaglia. Questa era una categoria intrinsecamente ampia, caratterizzata dal rifiuto generico di integrarsi nella cornice sovranazionale della democrazia liberale globalizzata. Ciò ribadisce la linea di argomentazione e di conclusione menzionata sopra: la preoccupazione di Mosca del deterrente nucleare non era più considerata legittima né ragionevole.
Dopo il ritiro dal Trattato ABM vi fu la costruzione pianificata dei sistemi di difesa di missili balistici in Polonia sotto il programma Aegis Ashore, a sua volta parte dell’Aegis Ballistic Missile Defense, retto dall’Agenzia per la Difesa Missilistica americana. Dopo un rinvio temporaneo, Aegis Ashore è stato reso operativo in Polonia lo scorso luglio nell’ambito del più largo “scudo missilistico” della NATO. Nonostante le rassicurazioni iniziali date a Mosca sul fatto che i missili sono intesi a proteggere l’Europa da minacce proveniente da Paesi come Iran e Corea del Nord, i messaggi diplomatici rivelati da WikiLeaks hanno mostrato in modo per nulla sorprendente che la Polonia aveva come preoccupazione prioritaria proprio la Russia.
Aegis e Zapad
Il sistema Aegis Ashore è operativo dal 2016 pure in Romania, presso la base aerea Deveselu. L’importanza strategica del Mar Nero per la Russia sia a livello militare che economico non può essere sottovalutata, come dimostra il conflitto in corso in Ucraina. A causa di tale ubicazione, Mosca ha regolarmente espresso la sua inquietudine per la capacità offensive di tali sistemi d’arma, che comprendono anche l’uso di missili a testata nucleare. Insieme all’abbandono del Trattato ABM e al successivo sviluppo di concezioni difensive come il programma Aegis, vi è stato nel 2019 il ritiro degli USA dal Trattato INF con la Russia. Tale accordo bandiva i sistemi missilistici basati a terra aventi una gittata tra le 300 e le 3500 miglia circa. A causa della dinamica strategica di cui sopra, Mosca percepiva la situazione come un’altra passo verso l’escalation che diminuiva ancora la sicurezza complessiva.
Inoltre, a far scattare l’allerta a Mosca ci sono state le esercitazioni con fuoco vivo della NATO del 2020 in Estonia chiamate Rail Gunner Rush e poi le manovre Fires Shock del 2021. Le prime impiegavano “attrezzature di fuoco di precisione a lungo raggio” con gittata di circa 200 miglia, mentre nelle seconde hanno usato sistemi di lancio multiplo M270 che simulavano attacchi su obiettivi russi. Naturalmente anche la Russia ci ha messo del suo per alzare la temperatura. Ha effettuato nel 2021 le manovre denominate Zapad (parola che significa “Occidente”), che hanno compreso la simulazione di analoghi attacchi a lungo raggio su obiettivi NATO. Tali esercitazioni si svolgono ogni quattro anni, ma il loro ambito si è notevolmente esteso nell’ultimo decennio, passando da 20mila uomini impiegati nel 2009 ai 200mila del 2021.
Altri passi verso il baratro
Per quanto riguarda il ritiro dall’INF nel 2019, l’amministrazione Trump lo ha giustificato con il presunto fallimento russo nell’adempimento dei suoi termini, in particolare per quanto riguarda il dispiegamento dei missili a raggio intermedio nel 2018. Documenti militari segreti della Russia, rivelati quest’anno, hanno ulteriormente messo in discussione i principi operativi del dispiegamento di armi nucleari tattiche a un livello mai raggiunto prima. L’ultima relazione proveniente da quel faldone è uscita ad agosto e ha mostrato che la Marina russa stava individuando obiettivi in tutta Europa (e bisogna dire che stava pure studiando scenari di scontro con Paesi non europei come la Cina e l’Iran). Quei documenti vanno dal 2008 al 2014, ma si può ben immaginare che i dati sugli standard delle armi nucleari siano validi ancora oggi. Comunque, buona parte di tutto ciò potrebbe rientrare nella descrizione del comportamento russo come “radicale”.
Per quanto le azioni provocatorie dell’Occidente raccontate finora siano presentate come funzionali a garantire la sicurezza internazionale, quelle intraprese dalla Russia – siano esse stesse provocatorie oppure solamente in risposta alle mosse di USA e NATO – sono viste come intrinsecamente irrazionali. Il risultato è che le tensioni non sono mai state così alte. Il deterioramento delle relazioni fra USA e Russia e il reciproco coinvolgimento in giochi politici di azzardo calcolato nel corso degli ultimi decenni stanno a significare che il pericolo è reale. La guerra in Ucraina non è solo più un conflitto regionale: ciò che è iniziato come una disputa su confini storicamente discussi oggi ha il potenziale per farci scivolare in qualcosa di molto peggio.
Dalla guerra per procura alla revisione delle relazioni
Naturalmente gli Stati Uniti non vogliono (e comunque non dovrebbero volere) l’escalation. Usare Kiev come proxy viene visto come un mezzo relativamente poco costoso per indebolire un avversario geopolitico e un ostacolo ideologico. Ed è anche un modo per tenere piena la cassa degli appaltatori della difesa e per far esprimere appieno il potenziale per un’ulteriore sfruttamento delle risorse naturali dell’Ucraina, anche se ciò poggia su una cinica strategia di dissanguamento della nazione ucraina. Ma che Washington riesca o meno a tirare su questo Paese a suo carico è ormai un argomento completamente diverso.
La guerra potrebbe terminare dando luogo a un ambiente significativamente più pericoloso e instabile dal punto di vista della sicurezza, in particolare in Europa e poi in generale in tutto il mondo. Però, al contrario, potrebbe anche dare l’opportunità di revisionare il contenuto di alcuni dei trattati menzionati sopra. Temi come il disarmo nucleare, il controllo degli armamenti e le limitazioni alla proliferazione nucleare, l’apertura di linee di comunicazione nuove e migliori fra gli Stati che dipendano da un impegno ideologico verso un qualche tipo di regime, restringere gli ambiti e l’ampiezza delle esercitazioni militari e altre azioni bilaterali specifiche fra USA e Russia per allontanarsi da una soglia nucleare molto delicata. Tutto ciò oggi più che mai rivesta un’enorme importanza. Ma affinché si verifichi, occorre che i leader del mondo occidentale abbiano per primi la buona volontà di levarsi i paraocchi ideologici.
Raccogliere le voci dei protagonisti dalle varie parti del mondo e documentare i numeri reali inerenti ai grandi dossier e questioni d’attualità è il modo migliore e più serio per fare informazione. L’obiettivo finale è fornire gli strumenti ad ogni lettore e lettrice per farsi una propria opinione sui fatti che accadono a livello mondiale.