Papa Francesco s’interpone alla logica della guerra. “La pace costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria”
“È stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra? La pace costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria”. Nel primo anniversario del conflitto russo-ucraino, con un tweet che riprende i concetti già espresso nell’udienza generale di mercoledì 22 febbraio, Papa Francesco ha ancora una volta posto tutti con chiarezza di fronte alla responsabilità di concorrere a far tacere le armi. Esprimendo nuovamente la propria vicinanza al popolo ucraino, il Pontefice non ha rinunciato a distinguere nettamente questa concreta solidarietà dal cedimento alla retorica bellicista. Un esercizio di parresia che s’incrive, con accenti propri, nel solco di un ormai consolidato deposito magisteriale sul cruciale tema della pace.
Un magistero che è interposizione non violenta
Fin dalla definizione di “inutile strage” che Benedetto XV usò per la Grande Guerra, passando per il principio “Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra” affermato da Pio XII nel suo radiomessaggio del 24 agosto 1939, tutti i successori di Pietro hanno rappresentato una vera forza d’interposizione non violenta – imperniata sul principio del multipolarismo – e un costante richiamo al superamento della logica dello scontro tra i popoli. Scolpito nella memoria collettiva è l’appello con cui nel 1962 San Giovanni XXIII, che l’anno successivo avrebbe scritto l’enciclica “Pacem in Terris”, invitò i potenti del suo tempo a fermare un’escalation bellica che avrebbe potuto trascinare il mondo nell’abisso del conflitto nucleare. Non meno intenso fu San Paolo VI, parlando nel 1965 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando esclamò: “Mai più la guerra! Mai più la guerra!”.
Particolarmente significativi, anche nel confronto con l’oggi, i numerosi pronunciamenti di San Giovanni Paolo II contro la guerra occidentalista nel Golfo, nel 1991. Ricordando come la guerra sia sempre “un’avventura senza ritorno”. Meno considerata l’attenzione a questo tema da parte di Benedetto XVI. In un Messaggio inviato ai partecipanti al Seminario internazionale sul tema “Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale”, svoltosi in Vaticano l’11 e il 12 aprile 2008, l’indimenticato Papa emerito sostenne che “è urgente promuovere un “nuovo umanesimo” per conseguire pace, sviluppo e speranza” e chiarì come “La legittima difesa è un diritto inalienabile degli Stati. Tuttavia avverte non appare lecito qualsiasi livello di armamento. Va rispettato il principio di sufficienza, altrimenti si arriva al paradosso per cui gli Stati minacciano la vita e la pace dei popoli che intendono difendere e gli armamenti, da garanzia della pace, rischiano di divenire una tragica preparazione della guerra”. Parole che meritano di essere tenute presenti per esercitare l’indispensabile prudenza che l’attuale contesto di “terza guerra mondiale a pezzi” richiede.
Un’espressione, quest’ultima, che l’attuale Vescovo di Roma ha spesso impiegato e rispetto alla quale, nell’introduzione a “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace” edito da Solferino, ha aggiunto che “Questi pezzi sono diventati sempre più grandi, saldandosi tra loro. Ci sono molte guerre nel mondo in questo momento, che causano immenso dolore, vittime innocenti, soprattutto bambini. Guerre che provocano la fuga di milioni di persone, costrette a lasciare la loro terra, le loro case, le loro città distrutte per salvarsi la vita. Sono le tante guerre dimenticate che di tanto in tanto riappaiono ai nostri occhi disattenti”.
No all’imperialismo e al gendarme del mondo
In un articolo dedicato a “Giovanni Paolo II, le religioni e la pace”, sul numero “La Civiltà Cattolica” del maggio 2014, Giovanni Sale evidenzia che “Negli ultimi decenni è stata costante preoccupazione della Santa Sede valorizzare la funzione delle Nazioni Unite nel preservare e difendere la pace” . Non sempre, però, denuncia l’autore, “la tutela della sicurezza internazionale e della pace ha avuto il sopravvento sui diversi interessi particolari e sulle mire imperialistiche di alcuni Stati”.
Per questo, spiega Sale, “Dopo la fine del mondo bipolare, frutto della guerra fredda e della contrapposizione ideologica tra mondo «comunista» e mondo «capitalista», e in particolare con l’implosione del colosso sovietico, a partire dal 1989 la Santa Sede, per scongiurare la creazione di un unico polo di riferimento della direzione politica internazionale — in questo caso, gli Stati Uniti d’America —, appoggiò in modo deciso il cosiddetto «multipolarismo».
Questo avrebbe dovuto avere nell’Onu il suo centro di irradiazione, in quanto istituzione preposta a rappresentare «il bene comune internazionale» e ad armonizzare i diversi interessi delle nazioni. Il Papa auspicò — per far fronte a pericolose situazioni di crisi, come il lungo conflitto intra-etnico dei Balcani e le due guerre del Golfo — un maggiore potenziamento dell’Onu e una sua maggiore operatività. Egli credeva fermamente nel lavoro della diplomazia multipolare, capace di coinvolgere i singoli Stati nazionali nella difesa del bene comune, cioè della pace, e di approdare a un Governo mondiale in qualche modo condiviso”.
Una prospettiva non assimilabile agli schemi
“Se avessimo memoria, sapremmo che la guerra, prima che arrivi al fronte, va fermata nei cuori. L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza. Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male”. Una prospettiva non assimilabile agli schematismi prevalenti, quella del Papa e della Chiesa. Lo dicono bene queste righe, che traiamo ancora dall’introduzione di “Contro la guerra”. Un testo nel quale ricorda anche il suo intervento, nel novembre 2019, a Hiroshima, “città simbolo della Seconda guerra mondiale i cui abitanti furono trucidati, insieme a quelli di Nagasaki, da due bombe nucleari”. Un discorso incentrato sulla denuncia del fatto che “l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune”. E il Pontefice teme il riaffacciarsi del rischio atomico, tanto che si chiede: “Chi poteva immaginare che meno di tre anni dopo lo spettro di una guerra nucleare si sarebbe affacciato in Europa?”. Per Francesco, “Così, passo dopo passo, ci avviamo verso la catastrofe (…) Ci si avvia come fosse ineluttabile”. Invece, indica con nettezza, “dobbiamo ripetere con forza: no, non è ineluttabile! No, la guerra non è ineluttabile!”.
No, la guerra non è ineluttabile. In troppi vogliono convincerci del contrario, ma anche oggi la Chiesa non si reclude nel ruolo di cappellania dei potenti. Ed è un bene. Per tutti.
Classe 1977, giornalista e consulente nel settore della comunicazione. Direttore del settimanale “Il nuovo Monviso” e di “2006più Magazine” (voce del gruppo Dai Impresa). Dirige la comunicazione di Echos Group. Collabora con diverse testate nazionali (tra cui Tempi) e locali. Ha lavorato per Pubbliche Amministrazioni, realtà d’impresa e del Terzo settore. Presidente regionale piemontese e componente dell’Esecutivo nazionale del Mcl – Movimento Cristiano Lavoratori. Consigliere d’amministrazione della Fondazione Italiana Europa Popolare e Componente del Comitato Scientifico della Fondazione De Gasperi. Co-autore, con Giorgio Merlo, del libro “I Granata” (Daniela Piazza Editore)