Il mondo si dondola sull’orlo della recessione. Cosa ci dicono per il nuovo anno gli indici economici?

Il mondo si dondola sull’orlo della recessione. Cosa ci dicono per il nuovo anno gli indici economici?

31 Dicembre 2022 0

Il Sasa Post, giornale indipendente in lingua araba con base in Egitto, ha raccolto le previsioni economiche per il 2023 e le ha analizzate alla luce dei dati del 2022 e dei fattori che stanno influenzando la situazione mondiale, provando a rispondere alle domande che assillano sia i governanti che i cittadini. Prezzo del petrolio, prezzo delle fonti energetiche, prezzo dei beni alimentari: smetteranno di salire? E come risponderanno gli Stati Uniti alle misure di risanamento interno imposte in Cina? L’Occidente continuerà nel suo gioco masochista delle sanzioni anti-russe? E quante ne soffriranno i Paesi in via di sviluppo?

Oggi l’economia mondiale sta patendo una situazione eccezionale: prima ancora di essersi ripreso dalla pandemia di coronavirus, il mondo è finito nel turbine del conflitto ucraino, rinnovando i timori di un rallentamento della crescita cinese, che potrebbe influire sullo sviluppo dell’economia mondiale. Tutto ciò agevola il fenomeno della stagflazione, in cui prezzi alti si accompagnano a ritmi lenti di crescita economica. Secondo le previsioni per la fine del 2021 l’economia mondiale doveva già aver concluso la fase di ripresa post pandemica. Con tali stime ottimistiche è stata promessa una crescita del 6%, del 4,7% per il 2022 e un crollo al 3,8% nel 2023. Ma come sono cambiate le prospettive quest’anno? Quali indici ha raggiunto il mondo in tale periodo? Quali previsioni sono state fatte per il 2023? Come vanno le cose nei centri economici come l’America, l’Europa e la Cina?

Dalle speranza di ripresa ai timori di recessione

Se vogliamo vedere la reale influenza degli eventi di quest’anno, bisogna confrontare le summenzionate previsioni con quelle pubblicate di recente. Secondo i dati di ottobre del Fondo Monetario Internazionale la crescita globale, che a fine 2021 doveva raggiungere il 4,5% circa, nel 2022 pare non debba superare il 3,2%, mentre il prossimo anno arriverà al 2,7% di contro a un ipotizzato 3,8%. I Paesi occidentali più grandi sono fra quelli coi minori ritmi di crescita in questo e nel prossimo anno. Anche se il conflitto in Ucraina non è ancora terminato, è probabile  che darà luogo a molte altre conseguenze tali da peggiorare l’attuale situazione. Dopo la crisi finanziaria del 2007 e 2008, la crescita si è indebolita sia in Europa che negli Stati Uniti. Pur non essendo negativa, non si può comparare ai parametri della Cina, per esempio. E inoltre i Paesi europei hanno dimostrato ritmi di crescita inferiori agli stessi USA.

È evidente che la crisi odierna peggiorerà. Secondo le previsioni, gli USA avranno una crescita reale dell’1,8% quest’anno, dello 0,5 % nel 2023 e dell’1% nel 2024, e si tratta di numeri molto peggiori di quelli che seguirono alla crisi finanziaria mondiale. Il rischio maggiore consiste nella crescita negativa accoppiata al mantenimento di ritmi alti di inflazione. Anche se negli ultimi tempi questi ultimi hanno cominciato a rallentare e a ottobre sono caduti al 7,7% (nel corso di sette mesi sono stati superiori all’8% e hanno superato il 9% nel giro di un mese), i parametri rimarranno sopra il 5% fino al primo trimestre del prossimo anno. Com’è noto, in una prospettiva di lungo periodo il livello ottimale di inflazione deve raggiungere al massimo il 2% circa.

La situazione non si discosta molto da quella dei Paesi principali dell’Europa Occidentale. Secondo le stime, nel medio termine in Europa i tempi di crescita saranno del 3,3% nel 2022, dello 0,5% nel 2023 e dell’1,4% nel 2024, ed è più di quello che ci si aspetta dalla Germania, dalla Francia e dal Regno Unito, il quale non fa più parte dell’Unione Europea. I parametri per la Germania sono dell’1,8% quest’anno, del meno 0,3% nel 2023 e dell’1,5% nel 2024. In Francia l’econonomia ha le cifre seguenti: 2,6% quest’anno, 0,6% nel 2023 e 1,2% nel 2024. La Gran Bretagna ha dei buoni numeri per quest’anno (4,4%), ma ne avrà di peggiori rispetti agli altri Paesi nei prossimi due anni: meno 0,4% nel 2023 e 0,2% nel 2024.

Se invece parliamo di inflazione, in Europa è peggiore che in America. Essa potrà scendere al 5% solo verso la fine del 2023 perché i Paesi europei saranno più vulnerabili alla volatilità delle economie e alle conseguenze della crisi ucraina. Inoltre gli eventi nel settore dell’energia possono peggiorare i pronostici riguardo ai ritmi di crescita del Vecchio Continente. L’ultimo evento importante è stato l’accordo fra i ministri UE, il G7 e l’Australia riguardo la fissazione di un tetto al prezzo del gas russo al livello di 60 dollari al barile, allo scopo di ridurre gli introiti di Mosca derivanti dall’estero. Al tempo stesso stanno provando a influire sulle sue operazioni belliche in Ucraina, mentre la Russia sta valutando contromisure come la possibilità di stabilire prezzi minimi per il proprio greggio e con ciò la sospensione delle sue forniture verso determinati Paesi.

Tutto ciò non risponde alle aspettative sulla ripresa economia e dimostra che le sanzioni occidentali danneggiano non solamente la Russia, ma anche l’Europa e gli Stati Uniti. E per quanto riguarda la prima, le previsioni sono ottimistiche. Se prima ci si attendevano tempi negativi di crescita nell’ordine dell’8,5% nel 2022 e del 3,5% nel 2023, di fatto quest’anno non hanno superato il 3,5% e nel prossimo non saranno peggio del 2,3%. Se Mosca riuscirà più spesso ad aggirare le sanzioni e a spaccare il mondo in due campi, quello occidentale e quello ad esso ostile, i suoi indicatori economici potranno migliorare ancora di più. Tuttavia, il quadro generale non sarebbe completo senza considerare gli indicatori degli attori economici più grandi.

Cina: un piccolo intoppo oppure un abbassamento significativo dei tassi di crescita?

La quota dell’economia cinese è costituita dal 18,5% del totale mondiale e fornisce il 30% della crescita globale generale. In altre parole, il suo apporto alla crescita economica è maggiore della quota come produzione di quella che è la dimensione del ruolo e dell’influenza di Pechino. Inoltre la Cina ha la quota maggiore di commercio mondiale, cioè il 13,45% del volume totale dell’export planetario. Al secondo posto vi sono gli USA con il 9% circa. E la Cina è pure seconda per volume di import con l’11,4%, mentre al primo posto vi sono gli USA col 13,9%. Ne consegue che il rallentamento della crescita dell’economia cinese va ad aiutare il rallentamento dei tassi a livello mondiale ed è sufficiente affinché nelle altre economie abbia inizio la recessione. Ciò può portare persino a una crisi economica globale.

Ci si aspettava che il 2022 si sarebbe concluso per Pechino con un indice del 3,2% e nel prossimo arrivi al 4,4%. Anche se è di più che nei Paesi occidentali, di solito l’economia cinese cresceva più rapidamente: l’indice non è mai sceso sotto il 6% nel corso di tre decenni, escluso il periodo della pandemia. È impossibile capire quello che avviene in Cina anche a differenza di quello che è accaduto in Occidente, perché i vertici politici hanno un ruolo guida dell’economia cinese. Le radici dei problemi in atto oggi sono legate alla strategia del presidente cinese Xi Jinping, per il quale l’economia nazionale ha raggiunto grandi successi nei decenni passati solo grazie a squilibri dell’economia. Oggi invece è arrivato il momento di eliminarli, non importa se a discapito della crescita economia. I ritmi di quest’ultima, secondo quanto detto dal leader cinese, erano gonfiati fin dall’inizio.

Occorre pure ricordare la politica dello “zero-COVID”, che in Cina ha provocato proteste e che rappresenta la continuazione di simili misure prese in precedenza, in primo luogo le chiusure della città di Shanghai, all’epoca governata dall’attuale primo ministro Li Qiang. Ci si aspettava che non avrebbe ottenuto questa carica per via dell’impopolarità delle misure da lui adottate a Shanghai, ma è accaduto l’opposto. La leatà si è rivelata più importante dell’efficacia. Comunque sembra che Xi Jinping sia molto determinato a realizzare i propri programmi, come dimostrato dal recente Congresso del Partito Comunista. Il potere inoltre è concentrato nelle sue mani ed è stato eletto per un terzo mandato, cosa inusuale per il sistema cinese, e sta attivamente levando cariche agli oppositori. Tutto ciò può portare a misure più dure da parte della Cina e alla rinuncia ai principi del libero mercato, specialmente considerando i timori che l’Occidente possa cercare di punire Pechino così come sta facendo con Mosca.

Quello che gli esperti occidentali possono vedere come un fallimento economico, i cinesi lo valutano come una necessaria fase di passaggio, nella quale i ritmi di crescita devono rallentare, ma in cui vengono eliminati gli squilibri economici. E non li preoccupa l’influenza che tale processo possa avere sugli altri Paesi. Occorre tenere conto della popolarità delle misure indirizzate alla risoluzione dei problemi rappresentati dal pubblico interesse, come il programma di sradicamento della povertà e la politica di Xi Jinping riguardo a una distribuzione più efficace delle entrate statali. Ciò significa che l’attuale situazione potrebbe avere carattere di continuità.

A pagare sono i Paesi in via di sviluppo

Al mondo vi sono anche altri Stati che non creano la realtà economica, ma vi si devono adeguare. Anche se la Cina si relaziona a un certo numero di Paesi in via di sviluppo, le dimensioni della sua economia e i suoi tassi di crescita la rendono un eccezione. Se USA ed Europa, pagando per la propria linea politica in Ucraina, possono per qualche anno sopportare delle perdite economiche, gli altri Stati del mondo non possono resistere all’aumento dei prezzi delle fonti energetiche e dei beni alimentari e alla fin fine ciò che li attende è un deficit di tali materie. In maniera analoga, il loro sviluppo economico dipende dai ritmi globali di crescita. Questi Paesi non ricevono profitto dalle riforme economiche che vuole applicare il leader cinese, ma ne soffrono, se gli indici della Cina continuano a scendere.

L’influenza della situazione attuale diventa evidente con l’esempio dell’ultima correzione della politica monetaria e creditizia degli USA verso Paesi come Turchia ed Egitto. Essi dipendono dai tassi di interessi, perché hanno bisogno di capitali stranieri, ma oggi al fine di lottare contro l’inflazione i tassi salgono e basta. I tassi percentuali in America oggi sono del 3,75% e secondo le previsioni continueranno a salire il prossimo anno, finché non raggiungeranno il 4,5%. Secondo le stime della Federal Riserve, andranno ancora più in alto se i ritmi dell’inflazone resteranno elevati. Il prezzo del denaro è strettamente legato al tasso di interesse.

Nel breve termine, un tasso di interesse alto implica ottime prospettive per gli investimenti nella valuta nazionale. In altre parole, il dollaro avrà un cambio alto e potrà rincarare ancora. Il cambio del dollaro sarà più alto che al momento in cui è iniziata la cosiddetta “operazione speciale” russa in Ucraina, e ciò significa crediti costosi per i Paesi in via di sviluppo. Inoltre molti di essi saranno costretti ad alzare i propri tassi di interesse, cosa che a sua volta porterà a un aumento del costo dei crediti. La conseguenza è la crescita del peso debitorio sui Paesi in via di sviluppo, e insieme ad esso l’esigenza di finanziamento, ma con l’aumento dei tassi di interesse i nuovi crediti saranno più cari. Molti Stati non potranno evitare un aumento del debito.

Le conseguenze del conflitto ucraino per il settore energetico e alimentare

Abbiamo già visto come il conflitto in Ucraina e le sanzioni occidentali contro la Russia abbiano avuto influenza sul costo dell’energia e del cibo. Il mondo ha iniziato ad adattarsi a tali effetti. Così, il prezzo della benzina è sceso sotto gli 80 dollari al barile dopo aver toccato la cifra record di 140 dollari quest’anno. Sul prezzo del petrolio influiscono fattori diversi, talvolta aventi effetti contraddittori. Le sanzioni occidentali contro la Russia, che è uno dei principali produttori di greggio, diminuiscono la sua offerta sul mercato, implicando un aumento dei prezzi. La situazione è peggiorata col rifiuto dell’Arabia Saudita di aumentare le estrazioni per compensare la diminuzione delle forniture russe. Al contrario, i sauditi hanno abbassato il livello di estrazioni. Le sanzioni occidentali continuano poi a non permettere al mercato mondiale di avere il petrolio iraniano come alternativa, almeno finché non verrà raggiunto un accordo con Teheran sul nucleare. Gli USA hanno come risposta portato sul mercato le loro riserve strategiche per aumentare l’offeerta e abbassare i prezzi e hanno invitato anche i loro alleati a farlo. Anche se questa politica ha avuto un discreto successo, è stata realizzata a discapito delle riserve americane, che potevano servire in futuro al Paese.

I timori a proposito di una recessione possono favorire l’abbassamento dei prezzi del greggio. Il rallentamento dei ritmi di crescita dell’economia implicano minore consumo di energia sia oggi che domani, cosa che preannuncia a sua volta un abbassamento di prezzi, specialmente se si parla dei maggiori utilizzatori di petrolio del mondo come gli Stati Uniti (che consumano un quinto del totale mondiale) e la Cina (il 13%). Se consideriamo i fattori opposti indicati, otteniamo una previsione a favore dell’aumento del prezzo del petrolio nel 2023 in confronto al livello attuale.

Secondo le stime, il prezzo medio nel prossimo anno sarà di circa 95 dollari al barile, cioè 15 dollari più di quello odierno, ma a condizione che non vi siano cambiamenti improvvisi nel corso del conflitto in Ucraina oppure una politica OPEC rispetto ai volumi di estrazione sullo sfondo di dissapori con l’amministrazione Biden. La situzione è la medesima con il gas, specialmente nei prossimi mesi invernali, quando la domanda crescerà soprattutto in Europa. Il motivo consiste nell’inasprimento della crisi delle forniture di combustibile e nell’assenza di alternative al gas russo. Per quanto riguarda il grano, il suo prezzo all’inizio del 2022 era di 7,7 dollari, che era già un parametro elevato rispetto ai prezzi degli ultimi cinque anni. Le stime dicono che il 2022 si chiuderà con un prezzo medio di 9,33 dollari e che il prossimo anno sarà di 8,6. La crisi continua, ma non sarà più così dura.

Come dicono gli esperti, gli effetti dell’operazione speciale russa in Ucraina si sentiranno ancora nei prossimi anni e vanno sottolineati tre aspetti. Il primo sono le sanzioni che possono spingere il mondo alla rottura in due campi economici, uno guidato dagli USA e l’altro dalla Cina e dalla Russia. Se non avverranno grossi eventi come la risoluzione della questione di Taiwan, il prossimo anno non vedremo cambiamenti sostanziali. Gli altri due aspetti sono il prezzo del petrolio e del grano, e come detto prima, il commercio mondiale e la catena di distribuzione, che non si sono del tutto ripresi dopo la fine della pandemia, ma si trovano di nuovo minacciati stavolta dal conflitto ucraino. Le sanzioni occidentali anti-russe vengono inasprite insieme alla crescita della tensione e della durezza della concorrenza con Pechino.

Egitto: il primo anno in cui le vecchie decisioni vengono messe alla prova

L’FMI e il governo egiziano hanno raggiunto un accordo iniziali su un nuovo programma che permetterà al Paese di ottenere crediti nella misura di tre miliardi di dollari nel corso di 46 mesi. Il Cairo ha avuto bisogno di svalutare la sua moneta due volte al fine di combattere le conseguenze dell’inflazione, di attirare capitale straniero e di impedire un peggioramento delle riserve auree e dei rapporti economici col mondo esterno. L’Egitto era uno di quei pochi Paesi che hanno raggiunto ritmi positivi di crescita nell’anno della pandemia insieme alla Cina e hanno mostrato indici buoni negli anni precedenti. Nel 2022 si è arrivati al 4,4% e il prossimo anno si prevede di salire al 5,2%. Comunque tutto ciò non è bastato salvare il Cairo dalla necessità di crediti dall’FMI per le stesse ragioni del 2016 e in circostanze analoghe. L’Egitto è in testa all’elenco dei Paesi ad alto rischio di default per pagamento del debito pubblico 2022. Secondo le stime, l’Egitto dovrà introdurre nuove misure molto severe nell’ambito delle quali ridurre la spesa sociale e possibilmente aumentare le tasse, cosa che costituisce una richiesta tipica da parte dei programmi dell’FMI. Tutto ciò si accompagna al tentativo di un’ulteriore liberalizzazione dell’economia egiziana mediante una vendita forzata degli attivi delle compagnie statali e dell’esercito, e non si sa quali possano essere le dimensioni di una tale operazione.

Per quanto riguarda l’inflazione, a ottobre di quest’anno ha raggiunto il 16,2%, cosa che non si riflette in pieno nell’influenza dell’ennesima svalutazione della moneta locale. Secondo le stime, l’inflazione si abbasserà di nuovo sotto il 10% verso la fine del prossimo anno finanziario, che inizierà a metà 2023. Il problema del deficit della bilancia commerciale egiziano è cronico. L’import supera l’export, e la garanzia della valuta implica l’aumento dei prezzi dei prodotti di importazione e l’abbassamento di quelli di esportazione, persino riducendo il volume dei primi.

Tuttavia, l’esperienza pregressa è stata di poco aiuto al Paese per diminuire il deficit di bilancio nell’esercizio in corso. Se l’indice peggiore è stato toccato nel 2016 con un deficit da 20 miliardi di dollari, i primi nove mesi del 2022 hanno mostrato un deficit commerciale di 24 miliardi. In altre parole l’economia non ha guadagnato dalla svalutazione. Ciò è legato all’incapacità dell’Egitto di sostituire le importazioni di molti prodotti con gli articoli nazionali. E un esempio lampante è proprio il grano. Шl Paese può trarre le sue conclusioni del primo anno di implementazione del programma il cui senso consiste nell’alleggerire il fardello degli strati sociali più deboli. Anche se l’economia mostra ritmi positivi di crescita, le entrate non sono distribuite in modo tale da proteggere gli egiziani da un’ulteriore marginalizzazione e impoverimento.

Redazione Strumenti Politici
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