I sorprendenti rapporti tra l’Italia fascista e la Russia comunista nel saggio “Relazioni pericolose”. Dialogo con l’autrice Maria Teresa Giusti

I sorprendenti rapporti tra l’Italia fascista e la Russia comunista nel saggio “Relazioni pericolose”. Dialogo con l’autrice Maria Teresa Giusti

18 Dicembre 2023 0

Tra i saggi più interessanti usciti quest’anno spicca sicuramente “Relazioni pericolose” edito da ‘Il Mulino’ e scritto dalla professoressa Maria Teresa Giusti docente ordinario di Storia sociale e Storia contemporanea nell’Università ‘Gabriele D’Annunzio’ di Chieti-Pescara.

Diciamo tra i più interessanti perchè gli editori tendono a premiare le ‘più sicure’ rivisitazioni di temi d’attualità, spesso percorse e ripercorse da numerosi autori e dove è difficile rintracciare reali elementi di novità. Il prezioso lavoro della professoressa Giusti invece ha il merito di affrontare un tema nuovo, quello dei rapporti tra l’Unione Sovietica e l’Italia fascista tra il 1924 e il 1941 quasi sempre letto in maniera antitetica. Uno studio unico e ampiamente documentato che rivela le inaspettate e peculiari simmetrie fra il corporativismo fascista e il collettivismo comunista.

Abbiamo intervistato l’autrice per approfondire con lei i principali temi affrontati.

– Come è nata l’idea di scrivere questo saggio?

– Leggendo vari testi specialistici, mi sono resa conto che non esisteva un libro che comprendesse tutti gli aspetti delle relazioni fra l’Italia e l’Unione Sovietica negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. A partire dall’epoca liberale italiana e poi lungo il periodo del reciproco riconoscimento, i rapporti fra i due Stati furono molto più intensi di quanto si possa immaginare. Certo, si trattava pur sempre di due ideologie contrapposte, quindi le relazioni erano fatte di alti e bassi, ma venne comunque raggiunto un punto elevato con il trattato commerciale del 1933. Ebbene, ho letto tanto materiale, ad esempio gli studi di Castronovo, che parla della FIAT, e di Zigallo, che si è occupato dell’Agip, ma tutti questi libri si concentravano su argomenti particolari.

Così ho sentito il bisogno di dipingere un quadro complessivo. Certo, non esaustivo, ma può fungere da spunto per ulteriori approfondimenti. Per realizzare il libro ho scavato negli archivi. Fortunatamente ho fatto in tempo prima del Covid: l’ultimo viaggio è stato a febbraio del 2020. Sono entrata in un archivio fondamentale, a cui non è semplice accedere, quello della politica estera russa. Là mi sono resa conto che c’era tantissimo materiale sui rapporti ra l’URSS e il governo liberale italiano prima e quello fascista poi: c’erano i giudizi dei russi sulla nostra politica estera, giudizi su personaggi della politica italiana da parte della diplomazia russa, che da Roma riferiva a Mosca.

In un altro archivio (un archivio speciale, forse mai esplorato prima da studiosi stranieri) ho trovato anche molti documenti su Umberto Nobile, che visse in URSS dal ’31 al ’36 per realizzare, fra l’altro, i dirigibili sovietici. Si recò a Mosca dopo la delusione della trasvolata del Polo Nord finita male, le critiche ricevute, il rapporto incrinato con il fascismo. L’Italia stava poi abbandonando i progetti di dirigibilistica anche per volontà di Italo Balbo, che spingeva per passare all’aeronautica. La competizione fra le due discipline venne vinta dall’aeronautica rappresentata da Balbo, esponente del regime, e Nobile si trasferì in Russia.

– Qual era il rapporto di Mussolini con l’URSS?

– Mussolini fu il politico che nel tormentato dopoguerra evitò all’Italia la deriva comunista. Eppure, prima di diventare Duce, guardava all’Unione Sovietica come a un modello. Quando Lenin faceva la Rivoluzione d’ottobre, lui era in un letto d’ospedale, rimasto ferito durante la Prima Guerra mondiale. Lo diceva anche nei suoi discorsi prima di diventare Presidente del Consiglio: l’URSS va riconosciuta, non si può fare a meno di tale entità statuale. Anzi, auspicava addirittura un suo avvicinamento al mondo occidentale, quasi per cooptarla nell’ordine liberal-democratico.

Secondo Mussolini, quando i sovietici si sarebbero finalmente avvicinati, avrebbero perso l’aura negativa data loro dall’ideologia comunista, destinata a dissolversi. Questa impressione gli viene confermata in parte dalla NEP, la Nuova Politica Economica che sembrava una piccola apertura al capitalismo, anche se in realtà si trattò solo di una prova necessaria, anzi di un passaggio dal comunismo di guerra al socialismo. Mussolini comunque la intense come una svolta, un cambiamento, quasi un tornare dei bolscevichi sui propri passi.

Leggendo Pravda e Izvestija, i giornali sovietici, risulta ancora più interessante osservare come fu l’Italia fascista il secondo Paese al mondo a riconoscere l’URSS, il 7 febbraio 1924, con conseguente scambio degli ambasciatori (prima vi erano solamentee i rappresentanti commerciali). Questa decisione suscitò preoccupazione in coloro che temevano che l’esperienza della rivoluzione russa inondasse l’Europa: ciò che avevano fatto i bolscevichi spaventava ancora il mondo occidentale. Tuttavia, la prima a riconoscere lo Stato sovietico era stata paradossalmente la Gran Bretagna il 1° febbraio 1924. Gli USA lo fecero solo nel 1933. La differenza di qualità con il riconoscimento italiano è che Roma firmò con Mosca anche un trattato commerciale, mentre gli inglesi no.

In Italia, la procedura di riconoscimento si concluse solo dopo molte discussione: i fascisti più duri non erano d’accordo, ma Mussolini institette per arginarli, avendo l’appoggio di Bottai, Balbo e Grandi. Secondo quest’ultimo, l’ideologia si poteva mettere da parte a beneficio degli interessi del Paese. E lo stesso pensavano i sovietici. Cercavano infatti una legittimazione internazionale tanto i fascisti quanto i bolscevichi.

– Fu dunque una mossa utilitaristica?

– Proprio così. Bisogna comunque dire che la rivoluzione fascista fatta in Italia era più accettata in Europa rispetto a quella comunista fatta in Russia, perché quest’ultima aveva sovvertito completamente l’ordine costituito. Lo zar e la sua famiglia assassinati, la proprietà privata abolita: i fascisti non si erano giunti a tanto, anzi avevano tenuto al potere il Re (e proprio quest’ultimo “licenziò” Mussolini vent’anni dopo) e certamente avallavano il sistema economico tradizionale.

Entrambi i regimi però erano totalitari e avevano bisogno di legittimazione: lo stesso Lenin spingeva per accordi con l’Italia e diceva che il Paese aveva necessità di finanziamenti per l’industria, che era molto arretrata. L’Italia aveva tre grosse banche, ma gli inglesi avevano una disponibilità finanziaria molto maggiore. Al fine di superare l’isolamento europeo, Mussolini appoggiò pure l’ingresso di Mosca nella Società delle Nazioni, dalla quale comunque uscì dopo pochi anni con la guerra di Finlandia e l’occupazione della Polonia. Un altro motivo per il sostegno italiano era di carattere geopolitico.

Mussolini si era reso conto che il crollo dell’Impero Austro-Ungarico aveva lasciato un vuoto di potere in quell’area critica che è la regione danubiano-balcanica. L’Italia puntava a inserirsi nei giochi, con attenzione particolare al petrolio della Romania. Sempre riguardo al petrolio, faceva gola pure quello del Caucaso.

Qualche anno dopo, con l’operazione Barbarossa, Hitler promise all’Italia i pozzi di petrolio sovietici della Repubblica di Adighezia, territorio caucasico con capitale Majkop. Mussolini dunque era ben consapevole di non poter fare a meno del colosso nato dalle ceneri dell’Impero zarista e voleva avvicinarsi alle zone confinanti con esso. Dai buoni rapporti, però, il 22 giugno del 1941 si giunse allo scontro armato. Tra l’altro, durante le trattative per l’alleanza siglata con il patto Molotov-Ribbentrop Stalin chiese a Hitler la concessione di alcuni porti sul Mar Nero e i diritti sul Bosforo e sui Dardanelli. Da lì infatti i sovietici avrebbero potuto penetrerare nel Mediterraneo.

Hitler comprese che la questione russa non era più risolvibile e fece preparare il piano d’attacco per l’operazione Barbarossa. Tornando al regime fascista, i vantaggi ricercati con i buoni rapporti erano commerciali ed economici: l’Italia iniziò a importare dall’URSS petrolio, gas, grano – e persino pane già pronto – in cambio di know how, di progetti industriali, di tecnici che si recassero in Russia per contribuire allo sviluppo dell’industria sovietica. Peraltro, non sempre il loro aiuto fu riconosciuto da Mosca, come nel caso della fabbrica di cuscinetti a sfera Kaganovich.

– Si può vedere un parallelismo con le politiche degli ultimi vent’anni (pre-conflitto ucraino) che hanno tentato di avvicinare la Russia all’Europa per fini commerciali ed economici e per staccarla dai suoi partner asiatici?

– Sì, si può. Con il vertice di Pratica di Mare nel 2002 pareva si potesse arrivare ad una sorta di cooptazione della Russia nel mondo occidentale. Si parlava addirittura di scogliere la NATO, poiché era caduta quella contrapposizione che appunto aveva dato origine all’Alleanza Atlantica. Se pensiamo poi agli attacchi di matrice islamica subiti dalla Russia in quegli anni, sembrava si stesse formando fra Occidente e Russia un blocco Nord-Sud nella dimensione della contrapposizione religiosa.

Esisteva un sentire comune: dopo l’11 settembre, Putin disse agli americani: Ora capite cosa significa avere i terroristi in casa. Tuttavia, forse lo stesso Putin preferì non procedere troppo in fretta o troppo avanti nell’alleanza con l’Occidente. E non dimentichiamo il ruolo svolto da Berlusconi nelle buone relazioni con la Russia. Allo stesso modo, Trump riusciva a intendersi bene con Putin.

– L’approccio di Berlusconi e di Trump era di natura pragmatica…

– Esatto. Oso dire che se ci fosse stato Trump al posto di Biden forse non saremmo in questa situazione con l’Ucraina… Certo, avremmo dovuto vedere su quali interessi nazionali americani Trump avrebbe spinto di più, ma nei rapporti con la Russia avremmo assistito a un storia diversa da quella attuale.

– Dunque sia da parte del fascismo che dell’Unione Sovietica c’era una ricerca di legittimazione. Che cosa influì di più su Mussolini: la necessità di accreditarsi o di ribalanciare i rapporti internazionali a vantaggio dell’Italia?

– Influì di più il bisogno di ribalanciamento, su due livelli. Sul piano interno Mussolini usa questo riconoscimento per scompaginare la sinistra, riuscendo ad aggirare il Partito Comunista andando a riconoscere proprio quello Stato al quale si ispirava. In questo modo cerca di indebolire i comunisti e a rafforzare la sua immagine di politico che promuove gli interessi economici nazionali.

Obiettivo del riconoscimento sul piano internazionale è quello scalzare l’egemonia di Inghiterra, Francia e Germania su determinate zone d’Europa. Qui vi è una perfetta sintonia tra le potenze non liberali, Italia e URSS. I diplomatici sovietici erano molto scaltri, sempre pronti a valutare la possibilità di patti bilaterali ispirati all’idea che il nemico del mio nemico è mio amico. In Albania e in Jugoslavia c’era spazio per questo genere di intese, che però si trasformarono in concorrenza e poi in guerra.

L’Italia voelva infiltrarsi come potenza egemone nei Balcani, ma c’era pure sempre la Serbia come amica storica della Russia e come possibile sbocco russo sull’Adriatico. Ricordiamo che prima Tito offrì a Stalin Trieste su un piatto d’argento, come baluardo dell’URSS sull’Adriatico. Poi tra i due ci fu la rottura del 1948 fra Tito e Stalin e la città rimase italiana. Ribadiamo comunque che vi fu per un certo periodo sintonia fra Roma e Mosca, finalizzata a ridimensionare l’egemonia del blocco franco-tedesco.

– Il racconto di quanto Balbo arrivò a Odessa coi suoi idrovolanti è qualcosa di epico. I giornali sovietici non riportarono la notizia.

– Non la riportò la Pravda, che era il giornale del Partito, ma il foglio del governo, l’Izvestija, sì. Balbo non era un soggetto facile per la stampa sovietica… era un quadrumviro, un fascista della prima ora. Ammirato e rispettato, anche rimpianto quando morì nel 1940, e molto chiacchierato. Galeazzo Ciano ne parlò malissimo a un rappresentante sovietico, altri non lo vedevano un possibile successore di Mussolini.

D’altronde in URSS dicevano che “non c’è nessuno che valga l’unghia del mignolo del piede di Mussolini”. Balbo comunque venne accolto a Odessa in maniera eccezionale, con l’inno e il saluto (a cui lui risponde col saluto romano). Era evidentemente un’azione di “marketing”, di cui Odessa è stata l’ultima tappa. Mussolini vedeva due fenomeni paralleli: il sovietismo, rappresentato dal governo sovietico, e poi il comunismo, che invece è politica.

Anche in Russia c’è un parte di intellighenzia che non può deludere il popolo e il messaggio ideologico: quindi la Pravda non può parlare di un fascista fa il saluto romano al suo arrivo a Odessa e viene pure suonato l’inno reale in suo onore. Lo stesso accade in Italia, quando in Italia arrivarono le “Ali dei Soviet” all’aeroporto del Littorio a Roma. Ne parlò solo il Corriere della Sera, ma i fogli del partito fascista no.

Mussolini aveva il problema della propaganda comunista. Ad esempio, a febbraio del 1923 (dunque prima del riconoscimento ufficiale dell’URSS), in casa di Bordiga furono ritrovati soldi provenienti dalla Russia Mussolini reagisce in maniera molto dura con il rappresentante sovietico, rimproverandolo di colpirlo alle spalle mentre lui cercava un accordo fra i due Paesi. Era il COMINTERN che perseguiva la sua missione propagandistica. Lo stesso Partito Comunista italiano era membro del COMINTERN e non poteva rinunciare alla sua vocazione “educatrice” all’ideologia.

Il rappresentante sovietico scusò Mosca dicendo che Lenin non era al corrente di queste azioni. Mussolini si stupisce e non ci crede: come fa Lenin a non sapere ciò che fa il suo partito? Riteneva si trattasse di intromissioni illegittime nella politica italiana: altrimenti non si sarebbe arrivati al riconoscimento.

– La missione Omodeo costituì un dei momenti più importanti della collaborazione fra Italia e URSS dal punto di vista dei tecnici e delle imprese private.

– La missione Omodeo fu anzitutto un contributo importantissimo per l’Unione Sovietica dal punto di vista dell’ingegneria idraulica, perché permise la collaborazione con imprese private e singoli tecnici italiani. Il tutto originava da vari accordi commerciali firmati nel 1930, nel 1931 e il 2 settembre del 1933. Negli stessi anni della realizzazione della fabbrica Kaganovich, la cui storia incontro poi quella della FIAT, la quale a sua volta aveva rilevato la fabbrica di cuscinetti a sfera di Villar Perosa quando morì il suo fondatore. Erano cuscintti a sfera eccezionali, vicinissimi alla perfezione.

L’obiettivo dei sovietici era produrne 24 milioni l’anno, in una città alle porte di Mosca che ospitava anche gli operai stessi. I cuscinetti a sfera erano considerati materiale strategico: ecco perché gli USA rifiutarono il loro aiuto in questo campo, usando l’alibi di non aver ancora riconosciuto il governo sovietico, ma in realtà perché si tratta di un elemento strategico usato ad esempio  anche per i mezzi di trasporto.

L’Italia fascista invece chiuse un occhio e consentì con la missione Omodeo lo scambio di know how e aiutò la costruzione di opere ingegneristiche enormi in Unione Sovietica alle quali i futuri specalisti sovietici si ispirarono. Questa missione d’altronde testimoniava il bisogno dell’URSS di ricorrere a specialisti e a maestranze straniere anche per settori fondamentali come l’agricoltura e poi per elementi strategici come le centrali elettriche.

Marco Fontana
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