Guerra (OMS): il virus è in circolazione, ci vuole cautela nella Fase 2. Stiamo coordinando gli sforzi per un vaccino gratuito o comunque a prezzo calmierato. Concorso nella scuola pubblica italiana solo a certe condizioni
Da lunedì prossimo si parte con l’effettiva Fase 2, dopo il primo allentamento concesso il 4 maggio. A preoccupare è in particolare l’indice di contagio, come affermato dal coordinatore del Comitato tecnico-scientifico presso il Dipartimento della Protezione civile Agostino Miozzo: Guardiamo come un incubo all’indice di infezione R con zero che deve restare sotto l’1. Dal 4 maggio, giorno del parziale allentamento delle misure, seguiamo con ansia questa lenta discesa della curva epidemica. Se da un lato una parte del mondo scientifico tiene il freno tirato, dall’altra molti cittadini nonché le associazioni di categoria fanno pressione per ripartire, preoccupati dal loro futuro, mentre sembra che il Governo stia valutando l’indizione di un concorso pubblico per stabilizzare i precari. StrumentiPolitici.it ha deciso di interpellare il direttore vicario dell’OMS Ranieri Guerra per conoscerne il punto di vista.
– Qual è la situazione reale della pandemia? Ripartiremo per motivi economici, accettando il rischio sulla salute per la tenuta sociale del Paese, oppure ci sono veramente tutti gli elementi per riavviare le attività?
– Mettiamo sul piatto della bilancia entrambi i fattori. L’avanzata del virus è stata fermata e l’epidemia è in fase di contenimento: questo è chiaro. Tuttavia, l’indice RT non è ancora zero, ha una possibilità di risveglio e le misure minime devono essere rigorosamente osservate, perché permane il rischio di una nuova ondata. Considerando che il virus circola ancora, possiamo tornare alla vita di prima solo in modo cauto e programmato, evitando situazioni di sovraffollamento. Purtroppo non c’è stato un approccio internazionale a questa emergenza, che avrebbe permesso un bilanciamento delle misure da adottare scongiurando una competizione economica e commerciale scorretta tra i vari Paesi. Come sappiamo, c’è una massiccia quantità di denari che vanno impiegati per mitigare la conseguenza delle chiusure: capisco bene che la prescrizione sanitaria da sola conduce a una situazione in cui la politica, svolgendo il proprio ruolo, deve poter capire come bilanciare i diversi elementi della sicurezza sanitaria e del recupero di un minimo di socialità e di attività produttive.
– Non pensa che l’OMS avrebbe dovuto essere rivestito di un ruolo più forte nella gestione della pandemia tra i vari Paesi? Pensiamo ad esempio alla Gran Bretagna, che ha allentato il lockdown, ma forse avrebbe avuto qualche morto in meno se avesse anticipato le misure protettive.
– In realtà tutti gli Stati hanno agito con ritardo. Tutti avrebbero fatto registrare qualche morto in meno se avessero seguito in modo puntuale le prescrizioni dell’OMS. A fine gennaio venne dichiarata la situazione non pandemica ma di “rischio sanitario internazionale” ed è in quel momento che vengono attivati per definizione i regolamenti sanitari internazionali. È difficile per qualunque governo assumere dei provvedimenti drastici in assenza di un’evidenza clinica, perché occorre il consenso almeno di una parte dell’opinione pubblica, ma ahimé nei vari Paesi siamo andati verso l’epidemia sapendo perfettamente che lo facevamo senza comprendere appieno gli inviti dell’OMS. Quest’ultimo, d’altra parte, è un organismo intergovernativo che appartiene alla famiglia delle Nazioni Unite, dunque il suo ruolo non è quello di assumere provvedimenti o di sanzionare in assenza di un mandato da parte degli Stati membri. Gli organismi sovranazionali come l’UE avrebbero avuto facoltà di intervenire, ma anche qui senza il consenso degli Stati membri non potevano fare granché. All’OMS resta solo il potere della moral suasion e dell’evidenza scientifica, con cui prevede i possibili scenari e li sottopone ai governi per orientare i loro provvedimenti.
– Che cosa sta facendo l’OMS per il vaccino? State coordinando una task force internazionale per accomunare le ricerche scientifiche? Un tale vaccino coprirebbe al 100% dal contagio oppure solo parzialmente, come quello influenzale?
– L’OMS è chiamata a fare proprio questo: aggregare le conoscenze, le strategie e gli sviluppi della ricerca scientifica. Non ci siamo mossi esclusivamente sul fronte del vaccino, ma anche nella creazione di una piattaforma internazionale sulla quale chiedere sia i finanziamenti che la condivisione di cure con farmaci nuovi o già esistenti, che avessero valenza terapeutica e non improvvisata, degli andamenti clinici dei pazienti, di avanzamento di studi sulla genetica del virus che i singoli Paesi portavano avanti nel mondo. Tutto ciò riguarda naturalmente pure l’elaborazione dei vaccini. Abbiamo avuto anche il solidarity chair che ha messo a fattore comune la componente di sperimentazione dei farmaci, permettendo di abbreviare notevolmente i tempi di conduzione della ricerca, eliminando alcuni farmaci e consolidandone altri. Per concepire un vaccino nuovo possono volerci anni, ma in questo caso si tratta solo di mesi! Possiamo fare qualcosa che non ha precedenti nella storia della medicina, anzi della storia umana: dare la sintesi di un vaccino in pochi mesi, fruibile in meno di un anno rispetto alla dichiarazione di situazione epidemica mondiale. Io ci conto: vi sono 4 o 5 formule promettenti che sono molto avanti con la sperimentazione. Quanto iniziato ai tempi della SARS non è dunque stato buttato via: abbiamo una piattaforma su cui la nuova ricerca si è andata a inserire.
Per quanto concerne la validità e la protezione che i nuovi vaccini potranno assicurare, i virus dell’influenza hanno una variabilità annua di combinazioni, per cui l’identificazione dei ceppi prevalenti per quell’anno porta alla sintesi di un vaccino valevole per quell’anno ma non necessariamente per il successivo. Invece il COVID-19 è un virus alquanto stabile, perciò l’identificazione di anticorpi naturalizzati sarà più facile e ci porterà a una protezione vera e robusta: ma quanto essa possa durare è un altro discorso, sul quale non abbiamo risposte certe. L’evidenza ci dice che a distanza di 4 mesi dai primi casi, il virus non è mutato in maniera sostanziale, soprattutto nelle sue caratteristiche principali. Possiamo dunque nutrire un moderato ottimismo.
– Che posizione ha l’OMS sullo studio dell’Università di Bologna secondo cui la velocità del virus è legata alle particelle di inquinamento?
– È una posizione di osservazione. Non mi pare ci sia un’evidenza forte legata alla distribuzione nelle particelle inquinanti; il fatto che ci siano presenze di RNA virale non significa che ci sia il virus intero o che il virus abbia una capacità infettante. Per quanto riguarda la capacità di sopravvivenza in linea teorica, essa esiste, mentre ho dei dubbi sull’effettiva capacità di contagio, trasmissione e veicolazione delle particelle sospese. È un’ipotesi valida e come tale va monitorata, ma non mi sembra abbia per ora ricevuto grandi conferme.
– Nonostante il parere negativo dei sindacati, il ministero dell’Istruzione vuole bandire un concorso per stabilizzare i precari. Con 100mila partecipanti da tutte le Regioni, pensa sia compatibile con l’attuale emergenza sanitaria?
– Dipende da come lo vogliono fare. Se è un concorso fatto a distanza, in via telematica, come si fanno anche esami di profitto per l’accademia, allora chiaramente non vi sono rischi; ma se vogliono concentrare 100mila persone nel palazzo dei congressi, allora avrei qualcosa da obiettare.
– Se potesse tornare indietro, l’OMS adotterebbe i tamponi a tappeto?
– Credo di no. Il problema è stato individuato da molti nell’identificazione degli asintomatici che girano per la comunità e che possono indirettamente avere un ruolo nella trasmissione. Qui si tratta di dare priorità alle forme massive di contagio, che sono legate alla sintomatologia clinica, qualche giorno a cavallo dell’insorgere dei primi sintomi, quindi non parliamo di asintomatici veri e propri, ma di paucisintomatici, coloro che, in parole povere, presentando una patologia simile a un raffreddore leggero girano tranquillamente, diventando però fonte di contagio. È su costoro che bisognava concentrarsi, ma occorrevano livelli di sorveglianza molto più strutturati di quanto non sia stato finora. Avere la possibilità di catturare un sintomo o un qualcosa che sia suggestivo per la presenza di un’infezione è fondamentale senza aspettare che sia la persona a rivolgersi al pronto soccorso. Una volta che c’è un sistema di sorveglianza cosi capillare come può essere determinato dal reclutamento della medicina di base, a quel punto diventano mirate e dunque efficaci la capacità diagnostica e quella di fare i tamponi.
– Quanta propaganda politica c’è dietro al taglio dei fondi da parte degli Stati Uniti all’OMS? E quanta ce n’è dietro alle accuse reciproche tra i vari Paesi sull’origine del virus?
– Guardi, questa è una domanda da 100 miliardi… Cerco di capire quali siano i criteri, le cause, le volontà. In una fase epidemica come questa, dovrebbero contare solo la solidarietà e la coesione: politicizzare un virus non è certamente la soluzione migliore. Al di là di quelle che sono le colpe o i meriti, l’OMS ha un suo sistema di valutazione interna e esterna, formata da organi al di sopra dell’Agenzia, cioè entità autonome totalmente indipendenti, scelte e verificate dagli Stati membri, compresi gli USA. Ogni anno questi organismi cercano di capire se il denaro sia stato speso bene per ottenere certi risultati. Insomma, che senso avrebbe chiedere una commissione d’inchiesta quando esiste già una struttura autonoma di questo genere?
– Una volta scoperto il vaccino, crede che verrebbe distribuito gratuitamente?
– Vi sono già state dichiarazioni da parte di alcune compagnie, di cui non cito il nome per non fare pubblicità, e da parte di amministratori delegati che dicono che, indipendentemente dai costi di produzione, la responsabilità etica e sociale impone loro la distribuzione gratuita o comunque a costi moderati. Quello che l’OMS sta cercando di fare in questo momento è proprio mettere insieme gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo del vaccino, in modo tale che ci sia la possibilità di renderli fruibili a tutti. Credo sia un crimine contro l’umanità farne una questione economica e commerciale.
– La Cina non si sta tirando indietro? Sta collaborando?
– Assolutamente sì.
– Tralasciando le responsabilità individuali, se in Italia vi fosse stato un piano pandemico aggiornato, i risultati sarebbero stati uguali?
– Abbiamo visto le sciacallate in televisione alla ricerca di qualcuno su cui scaricare colpe che non ci sono. Il piano pandemico era stato concepito alla fine del primo decennio del 2000 ed è stato di volta in volta verificato, modificato, validato. Non vi è la necessità di cambiarlo ogni sei mesi, ma viene rivisitato ogni paio d’anni per confermarlo o aggiornarlo: io l’avevo fatto nel 2016, poco prima di andarmene, e successivamente il piano è rimasto in vigore. Quindi l’Italia un piano pandemico ce l’aveva eccome. Il percorso per modificarlo ove necessario implica dei passaggi interni nel Consiglio superiore sanitario: dal livello centrale, dal Ministero, arrivano solo indicazioni e prescrizioni, poi però l’attuazione pratica spetta ai livelli di preparazione regionali. Non è per scaricare colpe sulle Regioni, perché non di colpe vere e proprie non ve ne sono, ma è solo per mostrare il complesso articolato in cui ci muoviamo; proprio per questo motivo il piano viene discusso e approvato in conferenza Stato-Regioni. A quanto ne so, i colleghi hanno provveduto a un aggiornamento alla revisione regionale.
– Sia per l’Italia che per l’OMS, da cosa è derivato il cambio di strategia sulla questione delle mascherine e dell’utilizzo dei dispositivi?
– Le mascherine servono a seconda dell’esposizione al rischio. Le mascherine di massima sicurezza servono per il personale sanitario che è esposto ai pazienti contagiosi, e così via a scalare fino alle mascherine di comunità che servono alle persone che si trovano in luoghi chiusi. Nei luoghi aperti i fattori sono avvicinarsi a meno di un metro a un individuo contagioso che in quel momento emette particelle virali contagianti e stare a quella distanza per un certo periodo di tempo, che non consiste nei pochi secondi in cui si incrocia una persona passandole a fianco. Il virus non si trasmette così, ma con un’esposizione abbastanza prolungata. La mascherina è una protezione aggiuntiva e anche etica, che mi imporrei nel caso fossi contagioso. C’è un punto fondamentale che vale la pena ripetere fino alla noia: con la mascherina non si risolve il problema del virus, perché servono il distanziamento, il lavaggio costante delle mani, un’igiene molto spinta e un livello di responsabilità personale molto alto. Chi lavora per strada in estate dovrebbe cambiare la mascherina ogni due ore, perché quando è inumidita diventa un fattore di rischio. Le mascherine non vanno gettate nell’immondizia normale, ma vanno gestite in maniera diversa, perché potrebbero essere un rischio biologico di per sé. Occorre quindi molta cautela.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.