Siria, stupri e donne impalate nelle carceri delle milizie del Sultan Murad filoturche
Sono nati e cresciuti sotto i bombardamenti e fra le macerie di una guerra che sembra non avere fine e ora i giovani di Idlib e Aleppo vengono assoldati per andare a combattere in un altro inferno: quello libico. Almeno centocinquanta ragazzi siriani di età inferiore ai diciotto anni, denuncia l’Organizzazione per i diritti umani di Afrin, sarebbero stati assoldati dalle milizie islamiste aggregatesi alle forze di Ankara con il pretesto di un’offerta di lavoro nei campi di ulivo nel cantone curdo a nord-est del Paese, occupato dall’esercito turco nel 2018 con l’operazione “Ramoscello d’ulivo”.
Dall’ex enclave curda verrebbero poi condotti nelle basi di addestramento turche e spediti insieme ad altri siriani maggiorenni nel territorio sotto il controllo di Fayez al-Sarraj.
La questione del rapimento e dell’invio di minori in Libia è diventata una vera tragedia umana- scrive in una nota l’ong siriana- ci è stato confermato che già sedici di loro sono stati uccisi in combattimento. Un ragazzo di 15 anni proveniente dalla campagna di Ma`rat al-Numan nella zona nordoccidentale di Idlib era andato ad Afrin per assicurarsi un sostentamento, per essere poi rapito dalla fazione Sultan Murad e trasferito in Libia. La famiglia ha saputo che è rimasto ucciso e che le sue spoglie non sarebbero tornate in Siria.
La debolezza delle operazioni europee
Tutto questo, in barba alla risoluzione 2420 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha imposto l’embargo sulle armi e sul cui rispetto l’Ue ha già messo in campo l’operazione Eunavfor Med Irini, che ha iniziato le attività in mare con un’unità navale francese e un aereo da pattugliamento marittimo messo a disposizione dal Lussemburgo.
Mentre l’Italia valuta l’invio di 500 unità a supporto dell’operazione, a pattugliare le coste al largo di Misurata e Tripoli erano, fino a due settimane fa, quattro navi da guerra turche. A muovere critiche sull’iniziativa europea è Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, per il quale la missione Irini rappresenterebbe «l’ultimo sfregio, checché ne dicano l’Europa e la Marina militare, perché non ha capo né coda. E’ una provocazione ad al Salrraj, che ha incassato le prepotenze e i bombardamenti di Haftar.
La richiesta di una no Fly zone
«La Turchia ha risposto alle grida di aiuto del premier libico. Ora, se davvero si vuol applicare la risoluzione Onu, non lo si può fare con la missione Irini, al contrario bisognerebbe istituire una “no fly zone”, fare un’osservazione così da evitare che munizioni e unità militari arrivino via aria. La missione quindi non è funzionale a bloccare il traffico di armi, se non per una quota parte che va a danno di al Sarraj. Tra l’altro – conclude – molto pericolosa perché Erdogan ha schierato le sue navi da guerra a proteggere i cargo, quindi se vogliamo andare a provocare un’escalation, non c’è niente di meglio che la missione Irini. I turchi reagirebbero».
L’Osservatorio per i diritti umani ha stimato che Ankara a fianco del Governo di accordo nazionale di Tripoli, negli ultimi cinque mesi ha inviato in Libia 8.700 “mercenari”, per lo più siriani. Tra questi 3.550 sarebbero rimasti ancora nei campi di addestramento in Turchia, in attesa di essere trasferiti nello Stato nordafricano.
A studiare il fenomeno dei minori reclutati e rapiti per essere catapultati in altro teatro di guerra dalle fazioni estremiste di opposizione ad Assad, è Hasan Ivanian, ricercatore del Human rights Organisation Afrin, docente universitario fuggito dall’ex enclave curda durante l’occupazione turca del 2018, per rifugiarsi in un villaggio a nord di Aleppo, riconquistata dalle truppe Damasco e ora sotto il controllo russo.
Ha perso la casa, il suo piccolo appezzamento di terra confiscati da fazioni islamiste, rami armati del Movimento della Fratellanza musulmana in Siria. Il padre è morto e la madre è gravemente malata. I curdi rimasti ad Afrin sono per lo più anziani, pagano la tassazione imposta dalle fazioni e pure l’affitto per vivere nelle proprie case. Per Hasan la sua “pandemia”, parafrasando le parole di papa Francesco, non è ancora finita, vive da sfollato e ha perso tutto ma il sorriso del figlio, un bellissimo bambino dai grandi occhi verdi che mi mostra in foto, sembra dargli ancora coraggio e voglia di andare avanti. Ora lavora per l’associazione dei Diritti umani siriana di Afrin e racconta degli ultimi avvenimenti e spiega nel dettaglio come continuano ad operare i gruppi islamisti, sostenuti da Ankara.
Molte persone vengono rapite e arrestate dalla Brigata Sultan Murad – una delle più famose fazioni di opposizione ad Assad che ha avuto un ruolo di primo piano per la presenza turca in Siria per essere successivamente riscattate o trasferite in Turchia. Questa fornisce loro finanziamenti, addestramento militare e supporto aereo. Sotto il suo vessillo, hanno riunito diverse milizie, in particolare la Brigata del Sultano Muhammad al-Fateh, la Brigata del martire Zaki Turkmani e i Giovani della Brigata del Califfato, quando fu fondata nel 2012 nei pressi ad Aleppo.
Proprio quella zona, la città di Al Raii a 40 chilometri a nord di Aleppo era un importante punto di attraversamento per l’Isis e altri islamisti di al Qaeda. La sua fondazione nasce da una richiesta dell’intelligence turca, impegnata a proteggere i diritti dei turkmeni in Siria e il gruppo ha partecipato alla maggior parte delle battaglie contro i curdi».
Da chi è guidata la fazione e quali i legami, se e ci sono, con la Turchia?
La squadra è guidata da tre persone: il funzionario generale e comandante di campo Yusef Al-Saleh, Fahim Issa e il funzionario militare, il colonnello Ahmed Othman. La maggior parte degli uomini armati sono arabi, ma la guida è turkmena mentre i consiglieri politici e militari sono membri del Lupi grigi turchi (formazione militarista e parafascista, in cui militava l’attentatore di San Giovanni Paolo II, Ali Ağca, ndr.) affiliati al partito Mhp, il partito fascista ultranazionalista guidato da Devlet Bahçeli, alleato dell’Akp di Erdogan, al governo e al parlamento.
La Divisione Sultan Murad è dispiegata nelle aree sotto il controllo dell’esercito turco nella campagna settentrionale e nord-occidentale di Aleppo, ed è considerata una delle fazioni più dominanti in quel territorio in quanto riceve un sostegno diretto dall’esercito turco. All’inizio del conflitto siriano era schierato a Jisr Al-Shughour nel governatorato di Idlib e nei quartieri di Bustan Al-Basha, Al-Haidariya e Al-Hullulk, dove curdi e turkmeni vivevano in pace da decenni. Ma con l’ordine turco di “dividere et impera” le milizie turkmene cominciarono a saccheggiare le case curde, lanciare attacchi permanenti nei quartieri di Sheikh Maqsud, Ashrafiyya e in quelli armeni delle vicinanze.
Queste brigate fanno parte dell’Esercito siriano libero, accusato dalle Nazioni Unite e da Amnesty International di aver compiuto crimini di guerra…
«La milizia di Sultan Murad, conosciuta come lo strumento turco per commettere crimini e da cui Ankara sta cercando di prendere le distanze in pubblico, è stato accusata di praticare la pulizia etnica dei curdi di Afrin, nel nord-est della Siria, per sostituirli da coloni filo-turchi.
Il sacco della città il 18 marzo 2018 è stato condotto da SultanMurad e da altre milizie turkmene come Amshat, la Brigata Suleyman Shah e il loro bottino è stato trasferito nella capitale turkmena in Siria, ad al Raii. Questa fazione ora controlla una delle prigioni più famose in cui sono detenuti migliaia di curdi, torturati selvaggiamente e le donne violentate in gruppo. Ci è stato riferito che alcune di esse siano state persino impalate».
Particolari raccapriccianti. Ma qual è la situazione oggi ad Afrin?
«Sì, atroci. Io ero musulmano, ma mi sono convertito al cristianesimo protestante, dopo aver assistito a queste crudeltà, all’intolleranza e alla crudeltà degli islamisti. Qui, dove mi trovo, la libertà religiosa è riconosciuta e tutelata. Mentre, ad Afrin, Sultan Murad esercita un controllo su tutto, anche del centro cittadino, che ospita la sede del Mit (l’intelligence turca), dei Lupi grigi e delle task force. È il bambino viziato della Turchia, alleata con la Brigata Amshat guidata da Abo Amsha, un famigerato beduino turkmeno di Hama noto come Mohammad Jasim che ora ha più di 1.500 combattenti in Libia.
La Brigata ha stretti legami con il fronte di Al-Nusra, il principale ramo siriano di al Qaeda nelle campagne di Aleppo e Idlib, con il coordinamento anche dell’intelligence turca, e ha forti legami con l’Isis in quanto accoglie migliaia di ex miliziani, molti dei quali sono ancora fedeli all’organizzazione terroristica, quale ad esempio Ahrar Yel Hamis. La divisione si è macchiata di crimini atroci, rapimenti, estorsioni e stupri, le città Afrin, Ras alEin, Til Abyad, Jarablus al Bab ne sono state teatro.
Violenze perpetrate contro i curdi che sono stati arrestati e rapiti con l’accusa di appartenere alle Unità di protezione popolare e alle forze di autodifesa, un pretesto che viene sempre utilizzato dalle milizie sostenute dalla Turchia per arrestare e rapire civili. La Turchia ha cercato di trasferire questi elementi dalla Siria alla Libia per beneficiare delle loro esperienze sul campo, nello svolgimento di operazioni contro le forze del maresciallo Khalifa Haftar, che ha spinto il governo di Tripoli a chiedere aiuto alla Turchia per intervenire via terra, via mare e via aerea in Libia».
Nasce a Palermo. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università degli studi del capoluogo siciliano, master in Giornalismo e comunicazione pubblica istituzionale, è giornalista pubblicista. Ha iniziato la sua carriera di giornalista, scrivendo di sprechi, inadempienze nella Pa e di temi ambientali per il Quotidiano di Sicilia, ha collaborato per alcuni anni col Giornale di Sicilia, svolto inchieste e approfondimenti su crisi libica e questione curda per Left, per poi collaborare alle pagine Attualità e Mondo di Avvenire, dove si è occupata di crisi arabo-siriana e di terrorismo internazionale. Ha collaborato col programma Today Tv 2000, l’approfondimento dedicato all’attualità internazionale. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano nel 2017.