Norvegia, niente sconti agli europei sul gas. I profitti però aumentano
In questo momento la Norvegia sta godendo della posizione di principale fornitore di gas del continente europeo, ruolo alla quale assurge grazie alla progressiva esclusione della Russia. È stato calcolato che per ogni cittadino norvegese, uomo donna o bambino che sia, vi sia un ricavo quotidiano dalla vendita di gas pari a 372 dollari. Nel secondo trimestre del 2022 Equinor ASA, la compagnia nazionale del settore oil&gas di proprietà dello Stato norvergese (fino al 2018 si chiamava Statoil) ha fatturato 17,6 miliardi di dollari e ha pagato 3 miliardi ai suoi azionisti. Il governo di Olso detiene due terzi delle quote di Equinor, dunque ha incassato in primavera la bellezza di un paio di miliardi di dollari. La Norvegia non fa parte dell’Unione Europea, ma soltanto dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA), e non ha particolari attriti con Bruxelles o con i Paesi UE, e nemmeno con gli ex membri come il Regno Unito. Soprattutto la Norvegia è membro fondatore della NATO. Dunque, eventuali crisi diplomatiche o commerciali tra Oslo e l’Europa dovrebbero essere scongiurate in partenza… forse. Oggi, con la guerra in Ucraina la Norvegia è arrivata a coprire un quarto del fabbisogno europeo e quasi la metà di quello britannico. I prossimi mesi ci diranno quale sarà la tenuta di questo crescente rapporto di dipendenza energetica verso il Paese scandinavo e in che modo quest’ultimo saprà approfittarne senza umiliare finanziariamente o politicamente i suoi clienti europei.
Così, mentre per i norvegesi gli affari vanno a gonfie vele, con l’avvicinarsi della stagione fredda e il peggiorare della situazione economica qualche voce in Europa si è levata per chiedere a Oslo di mettere un tetto ai suoi prezzi. Lo ha fatto ad esempio dalle colonne del Financial Times l’ex giornalista della Reuters ed esperto di energetica e ambiente David Sheppard. Nella sua analisi mette subito le mani avanti affermando che non si tratta di una proposta formale, ma soltanto di un ragionamento teorico sui vantaggi che, per quanto minimi, vi sarebbero per l’economia del continente, e soprattutto sul vantaggio politico per Oslo di non essere vista come fautrice di un “nazionalismo energetico” che pensa solamente ai propri interessi locali. Sarebbe cioè un gesto di buona volontà da parte di un Paese esso stesso europeo, che dice di condividere i medesimi valori e la stessa lotta portata avanti da Bruxelles. Bisogna considerare poi che la carenza di gas che si va delineando nei Paesi europei potrebbe precipitare in recessione tutta l’Eurozona e non solo. Ed ecco che pure la Norvegia ne risentirebbe, perché l’Unione Europea è il primo partner commerciale di Olso con una quota di import del 60%.
In effetti, il governo norvegese non ha negato a priori la possibilità di aiutare i clienti europei in difficoltà, ma ha escluso di farlo mediante uno sconto sul prezzo. Il premier Jonas Gahr Støre ha infatti dichiarato: Ci sediamo al tavolo delle trattative con spirito aperto, ma siamo scettici sull’opportunità di un prezzo massimo per il gas. Un tetto al prezzo non farà nulla per il problema fondamentale, cioè che c’è troppo poco gas in Europa. La posizione di Støre è condivisa nella sostanza da Øystein Noreng, professore emerito della BI Norwegian Business School, che ha portato argomenti contro il tetto ai prezzi dell’energia. In primis, questa specie di “sconto” avrebbe poco o nessun effetto sull’economia reale europea, mentre di certo diminuirebbe i guadagni dei norvegesi. In secondo luogo, la riduzione dei prezzi che la Norvegia imporrebbe a sé stessa sarebbe di scarso aiuto ai cittadini europei, i consumatori finali, perché ne trarrebbero beneficio le società intermediarie che comprano il gas e lo rivendono o lo distribuiscono nei vari Paesi. Solamente i governi possono agire per dare sollievo alle tasche dei cittadini, intervendo nelle trattative con le singole compagnie. Noreng fa notare come esempio i paradossi della Germania: da un lato Berlino ha stanziato 15 miliardi di euro per riempire di gas i depositi in vista dell’inverno e per mostrare di non essere più soggetta al rapporto con la Russia; dall’altro, però, il sistema tedesco fa sì che le sue aziende energetiche si rivolgano di preferenza a fornitori lontani, con maggiori costi di logistica, e tengano prezzi elevati per finanziare i progetti di eolico e solare. E alla fine a pagare di più sono sempre i cittadini. Con la micidiale contraddizione di fondo, poi, della disponibilità a pagare prezzi altissimi per forniture immediate e il rifiuto di concludere contratti a lungo termine ma a un buon prezzo. Secondo altri analisti, infine, un prezzo alto è già un modo per ridurre i consumi e per non peggiorare quello che è il vero problema che incombe sull’Europa, il deficit di gas. Dunque, ciò che ci attende sono prezzi alle stelle oppure razionamento, tertium non datur.
Nemmeno la stessa Norvegia può dirsi totalmente al riparo da un autunno di tensioni sociali. Torbjorn Soltvedt, analista della società britannica di consulenza Verisk Maplecroft, evidenzia come la siccità estiva verificatasi in Norvegia sia un fattore di pericolo per la sicurezza energetica del continente. Con minore acqua, le centrali idroelettriche stanno producendo di meno: scendendo l’apporto di questa fonte energetica basilare per il fabbisogno interno norvegese, Oslo dovrebbe così fare uso del gas. Ma oggi il combustibile lo sta vendendo alla UE e al Regno Unito, e gliene resta di meno per sé: quindi o limita le esportazioni o mette a rischio la sua sicurezza energetica. Per questo secondo caso, la Verisk Maplecroft ha pubblicato uno scenario di rivolte civili qualora le bollette inizino a salire vertiginosamente insieme all’inflazione; e con una società norvegese in cui cittadini e i lavoratori sono ben organizzati in gruppi e sindacati, le proteste sarebbero molto efficaci. Già quest’estate si sono visti scioperi in diversi settori: se la tendenza continua, i cittadini potrebbero costringere il governo a tagliare il gas e l’elettricità agli europei salvando così l’economia interna.
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