Nella lotta per il potere, i leader libici cercano consensi tra i gheddafisti

Nella lotta per il potere, i leader libici cercano consensi tra i gheddafisti

23 Settembre 2022 0

Giovedì il Ministero della Giustizia nel Governo libico di Unità Nazionale ha ordinato il rilascio di una figura chiave del precedente regime Gheddafi. Si tratta di Mansour Daou, l’addetto alla sicurezza del colonnello Muammar Gheddafi, spesso descritto come la scatola nera del regime. L’ufficio del procuratore militare ha affermato che il ministro della Giustizia, Halima Ibrahim Abdel Rahman Al-Busifi, ha firmato l’ordine di rilascio per motivi di salute. La Procura militare ha indicato di essere estranea alla decisione di rilascio, indicando che Daou, uno degli ultimi leader del regime Gheddafi ancora in prigione, era in un carcere militare in quanto uno dei massimi ufficiali del regime, specificando che era stato precedentemente condannato a morte da un tribunale civile di Misurata. La dichiarazione indicava che la questione era stata deferita al Direttore del Dipartimento di Polizia Militare per agire in conformità con le leggi e i regolamenti, ma fonti locali affermano che l’ufficiale sarebbe già stato liberato e sarebbe arrivato a Sirte. Daou ha servito come capo della sicurezza incaricato di proteggere Gheddafi fino alle sue ultime ore di vita, oltre ad essere stato capo della Guardia popolare. Era stato arrestato a Sirte il 20 ottobre 2011 e poi detenuto nella città di Misurata, dove fu processato e condannato a morte. Il suo rilascio non rappresenta soltanto un passo importante nell’agognato processo di riconciliazione nazionale tra i libici, ma rappresenta un punto a favore del Governo di Unità Nazionale, guidato dal Primo Ministro Abdel Hamid Al-Dabaiba, nella ricerca di consensi. Soprattutto dopo che l’Ufficio di Audit Bureau ha rivelato discrepanze e profonde irregolarità nella gestione delle risorse e delle spese da parte dell’esecutivo e di società sotto il suo controllo. L’obiettivo di Dabaiba è di cooptare queste figure centrali del precedente sistema delle masse considerata la base sociale e il loro peso economico che possono servirgli nella competizione per il potere sia con il Governo designato dalla Camera dei Rappresentanti (HoR), il Parlamento con sede a Tobruk, ed in particolare con il generale Khalifa Haftar. L’uomo forte della Cirenaica, sta concentrando la sua attenzione nella Libia Meridionale. All’inizio di questa settimana, la vicepresidente del Consiglio dei Notabili della tribù Tuareg,Mabrouka Mohamed al Sherif, considerata fedele all’ex regimema da qualche anno sostenitrice del Comando Generale, ha ricevuto l’uomo forte della Cirenaica a Ghat, nella regione sud-occidentale, vicino al confine con l’Algeria. Fino a qui si è spinta per la prima volta la 128ma Brigata del comandante Zadma, che ha ispezionato con il pretesto di garantire sicurezza alla delegazione di Bengasi i valichi di frontiera, pattugliando e stabilendo check-points nell’intera area da Ghat a Sabha. La visita di Haftar assume molte valenze. Innanzitutto dimostra che l’LNA è ancora in controllo di ampie porzioni di territorio, in particolare la regione meridionale che ospita la maggior parte degli impianti petroliferi, secondo intende in qualche modo dividere i Gheddafisti, dimostrando di avere il controllo dei centri che rappresentano un bacino di voti per il figlio del rais, Saif al-Islam Gheddafi. Già nel 2014, quando scoppiò la guerra civile tra est e ovest, i due governi in competizione corsero ad ampliare le loro basi e trovare appoggio tra i fedelissimi dell’ex regime, fino ad allora emarginati o addirittura esclusi dal gioco. Alcuni si unirono al governo di Fayez al-Sarraj a Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, mentre altri si unirono ai ranghi dell’esercito di Haftar a est. La legge sull’amnistia, approvata nel 2015 dal Parlamento, consente infatti il rilascio di dozzine di Gheddafisti che non hanno commesso crimini durante la rivoluzione. Dei trentasette quadri del periodo della Jamahiriya, la maggior parte è stata rilasciata. Uno dei primi nella lista è stato proprio il figlio di Gheddafi e aspirante successore, Saif al-Islam, per anni prigioniero a Zintan fino al 2017. Ancora perseguito dalla CPI, è riapparso sulla scena politica libica solo alla fine del 2021 per annunciare la sua candidatura alle elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere il 24 dicembre 2021, salvo poi essere annullate per causa forza maggiore, a cui proprio Saif, insieme ad altre figure controverse comprese Haftar, Dabaiba ed altri, hanno contribuito, scatenando rispettivamente dozzine di ricorsi presentati all’Alta Commissione Elettorale Nazionale (HNEC). Ricorsi a cui la Magistratura libica ha faticato a trovare risposte trovandosi spesso di fronte a sentenze definitive e nello stesso tempo contrastanti. Anche il fratello minore di Saif, Saadi Gheddafi, 48 anni, è stato assolto nel 2018 per l’omicidio di un ex allenatore di calcio, ma rilasciato solo tre anni dopo, il 5 settembre 2021. Il suo rilascio era uno degli obiettivi della ministra della Giustizia, Halima Abdel Rahman, l’ex giudice considerata vicina alla figlia di Gheddafi, Aisha, è stata da sempre la principale sostenitrice della riconciliazione nazionale come unico mezzo per risolvere la crisi. Tuttavia, in molti sostengono che è stata la pressione delle autorità turche sui gruppi nella città rivoluzionaria di Misurata che ha contribuito ad aprire la sua cella. Il giorno successivo, infatti, Saadi salì a bordo di un jet privato per Istanbul. All’arrivo gli è stato offerto alloggio e cure mediche per i postumi della prigionia. Da allora, l’ex calciatore libico non ha lasciato la Turchia, mentre sua madre Safia Farkash e parte della famiglia Gheddafi si trovano in Egitto. Recuperando uno dei tre figli sopravvissuti di Gheddafi, la Turchia ha segnato un punto per il campo di Dabaiba, contro l’Egitto, principale sostenitore del Governo parallelo dell’ex ministro dell’Interno, Fathi Bashagha. Dopo l’ultima escalation di violenza in e intorno alla capitale, conclusa con l’ennesimo fallimento di Bashagha di entrare a Tripoli, Dabaiba e l’esercito occidentale sono riusciti ad espellere eterogenei gruppi armati come la Tripoli Rivolutionaries Brigade (TRB) e la Brigata Al-Nawasi, i cui leaders si sono uniti ad Osama Al-Juwaily ed altre milizie che sostengono Bashagha a Jadu, nei pressi di Zintan. Nella competizione per attrarre consensi tra i gheddafisti, un altro leader, Ahmed Ramadan, ha scelto di rimanere in silenzio. Rilasciato quindici giorni dopo Saadi, è tornato al suo villaggio di Al-Assaba, sui monti Nafousa, a sud di Tripoli, dove gli emissari di Saif al-Islam e Haftar hanno tentato di ottenere il suo sostegno.L’ex primo ministro della Libia, Baghdadi al-Mahmoudi, 77 anni, ha prima scelto di unirsi al gruppo di rifugiati in Egitto, prima di viaggiare negli Emirati Arabi Uniti, rimanendo fuori dalla politica. Prima di lui, aveva scelto l’Egitto, l’ex capo della sicurezza esterna Abuzaid Dorda che si è spento al Cairo lo scorso 28 febbraio all’età di 77 anni. Resta in carcere, Abdallah Mansour, detenuto a Tripoli dall’estradizione dal Niger nel 2014. La sua liberazione potrebbe non tardare ad arrivare. Mansour appartiene infatti alla tribù degli Awlad Suleiman (in arabo i figli di Salomone), componente chiave per il controllo dei confini meridionali soprattutto alla luce degli equilibri in evoluzione tra Twareg, Tebu, Qadhadhfa ed Awlad Suleiman.

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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