Zelensky in un vicolo cieco: in Ucraina pronti a considerarlo traditore sia che si fermi sia che vada fino in fondo
Voleva diventare una figura epica con la sua “vittoria totale” sulla Russia. Oggi invece rischia di passare alla storia come colui che ha determinato il collasso dell’Ucraina. Per Zelensky non si tratta solo di popolarità in calo e di elettori che virano verso altri candidati alle future presidenziali, se mai si terranno. È l’essere già ora considerato un potenziale traditore da fazioni opposte, pronte a scaricarlo – o peggio – sia nel caso in cui decida di fermarsi e trattare sia che vada fino in fondo con l’opzione bellica.
Il candidato di pace
Nel 2019 Zelensky aveva vinto a valanga le elezioni grazie a una campagna elettorale improntata alla novità e alla promessa di concordia e rispetto fra le varie componenti del Paese. Si proclamava un “candidato un pace”, che avrebbe tenuto conto delle esigenze dell’Ucraina orientale a maggioranza russofona e avrebbe messo termine alle dispute violente coi separatisti. Insomma, una prospettiva non troppo diversa da quella disegnata dal suo predecessore Petro Poroshenko, anch’egli capace di vincere cinque anni prima con l’idea della pace. Ed entrambi hanno tradito le aspettative, alle quali probabilmente non credevano nemmeno loro. D’altra parte, la campagna di Zelensky presentava parecchie ambiguità sul modo concreto di arrivare alla pace nel Donbass. Faceva dichiarazioni contradditorie, prima dicendo di essere pronto a negoziare “persino col diavolo” pur di proteggere la vita delle persone, poi negando che gli interessi nazionali e i territori ucraini potessero essere “oggetto di trattative”.
La reazione degli ultranazionalisti
Ai tempi circolava fra gli ucraini questa battuta: Per anni abbiamo votato la gente seria e come risultato abbiamo avuto una farsa. E allora perché non votare un attore comico e vedere che succede? Hanno potuto constatare il risultato: sono passati dalla farsa alla tragedia. E le avvisaglie di una fine tragica si intravedevano già nel 2019. Infatti gli estremisti di destra e gli ultranazionalisti si scatenarono non appena Zelensky accettò gli accordi di Minsk e all’interno di essi la cosiddetta “formula Steinmeier”. Questa soluzione, ideata dall’ex ministro degli Esteri tedesco e tuttora presidente federale della Germania Frank-Walter Steinmeier, avrebbe dato autonomia al Donbass orientale dopo elezioni locali da tenersi sotto l’osservazione dell’OSCE. Nell’ottobre 2019 i contrari reagirono manifestando su Piazza dell’Indipendenza (la celebre “Maidan”) e intonando slogan come No alla capitolazione! No all’amnistia!
Lo consideravano già un traditore
Fra di essi c’era anche il suprematista bianco Andriy Biletsky, ex deputato, fondatore e leader di gruppi politici e militari che sfoggiano simboli nazisti con orgoglio e convinzione, contando sulla miopia selettiva dei media occidentali. Si pensi al famigerato Battaglione Azov, di cui è stato il primo comandante, e poi la 3ª Brigata d’assalto autonoma. Il governo di Kiev non ha avuto remore nello sfruttaro i servigi per la lotta politica e per quella sul campo prima contro i separatisti e poi contro le truppe russe. Dunque costoro vedono di cattivo occhio le aperture alla tregua e alla pace, come già gridavano nel 2019, quando Biletsky accusava Zelensky di tradire le migliaia di combattenti morti al fronte. Si noti dunque come un conflitto armato esistesse già: giusto un promemoria per chi crede che “l’invasione” del 2022. sia stata un’iniziativa illogica o estemporanea del Cremlino.
C’era pure Poroshenko
A protestare contro la formula che faceva concessioni al Donbass c’era pure Poroshenko e gli esponenti del suo partito Solidarietà Europea. Sì, proprio l’ex presidente che nel 2014 aveva vinto parlando di pace e compromessi e che ora superava a destra il suo successore. Pure nel 2020 i suoi eurosolidaristi denunciavano Zelensky di tradimento perché cercava di mantenere il cessate-il-fuoco sulla linea di contatto nelle regioni di Donetsk e Lugansk. E oggi Poroshenko lo accusa di violentare lo stato di diritto e di trasformare l’Ucraina in una dittatura. In un’intervista a un giornalista della testata tedesca Bild ha chiesto che venga cambiata la strategia militare, passando da una posizione offensiva a una difensiva. Evidentemente Zelensky teme l’ex presidente e la sua fazione, per quanto non vastissima a livello di numeri: infatti a febbraio gli ha fatto imporre sanzioni personali dal Consiglio per la difesa e la sicurezza nazionale.
Divenuti poi suoi “amici”
Le ostilità con la Russia e la necessità di difendere la parte interna del Paese hanno riavvicinato a Zelensky le formazioni neo-naziste e anche una larga fetta di società civile. Tuttavia non potrà durare in eterno tale funzione della presidenza come collante fra due elementi del Paese così diversi fra loro. In maniera ovvia, ogni cosa torna al suo posto, o almeno dovrebbe, visto che Zelensky ne occupa uno che non dovrebbe poiché il suo mandato è scaduto da dieci mesi. Questo fatto, come altre vicende, rendono sempre più traballante la sua posizione. L’estrema destra non ha numeri reali da opporgli in Parlamento o nelle assemblee regionali. Però può attivare la piazza e l’opinione pubblica, anche internazionale, grazie all’impegno militare delle sue brigate, alla sua visibilità, ai mezzi con cui viene finanziata. Ed è contraria ai negoziati o alla pace consensuale, che continua a intendere come una capitolazione di Kiev.
Con Zelensky contro Trump
La cittadinanza “normale” insieme all’ultra-destra con simpatie naziste oggi sostiene Zelensky contro gli Stati Uniti, divenuti improvvisamente avversari, forse persino nemici, dopo essere stati idolatrati per anni come salvatori e alleati incrollabili. A indignare gli ucraini e ad esaltare un patriottismo dormiente o esacerbato è la prospettiva dell’appeasement americano con Mosca, la sensazione di essere usati come pedina nel grande gioco internazionale che coinvolge interessi molto superiori ai loro sentimenti nazionalisti. Dunque, per adesso Zelensky è visto come vittima degli americani spietati, ma qualora il presidente cominci a stare al loro gioco, ecco che quegli ucraini che lo esaltano lo butterebbero immediatamente giù dalla torre. E ognuno lo farebbe per i suoi motivi. Nel frattempo, vi sono state manifestazioni di vicinanza della popolazione a Zelensky e di antipatia verso Trump e verso gli USA.
Il parere di due deputate
La parlamentare Inna Sovsun esorta a guardare oltre gli USA e rafforzare le alleanze in Occidente. Non ritiene che Kiev debba rinunciare a negoziare, piuttosto che si debbano ricalibrare i parametri delle trattative ricorrendo al mediatore giusto. E in ogni caso per il momento Zelensky deve restare, dichiara lei pur appartenendo all’opposizione. La deputata Ivanna Klympush-Tsyntsadze del partito Solidarietà Europea si scaglia invece contro l’accordo sui minerali, che considera iniquo e svantaggioso per Kiev. Ammette che si aspettava una minore simpatia di Trump verso l’Ucraina rispetto a quella che nutriva Biden, ma non fino a questo punto.
Contro la tregua
E oggi ora non si parla di altro che del cessate-il-fuoco. Un’interruzione delle ostilità servirebbe a Kiev per riprendere fiato, in tutti i sensi. Ma non solo: potrebbe essere sfruttata per rimpolpare le file dell’esercito e per riposizionarsi sul campo. Insomma, darebbe sostanziali vantaggi agli ucraini (ed è questo uno degli ovvi motivi per cui i russi non la accettano). Eppure la tregua, che sarebbe accolta con sollievo dai cittadini comuni, non sarebbe gradita dai neonazisti, che la vedrebbero come un passo verso quella che loro ritengono una “capitolazione”. Potrebbero quindi tornare in piazza e dare molto fastidio a Zelensky, che i media occidentali danno come risalito nei sondaggi. Quegli stessi sondaggi che indicano come gli ucraini siano sì stanchi di combattere, ma anche desiderosi alla fine di vincere. Queste contraddizioni della società ucraina prima o poi esploderanno e a rimetterci non potrà che essere il presidente.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.