Un nuovo genocidio armeno. Il doppiopesismo della UE e le interferenze degli USA
Sull’Armenia pende l’ennesima tragedia, che da disastro umanitario minaccia di trasformarsi in genocidio. La memoria corre ai fatti di un secolo fa, quando l’Impero Ottomano deportò e sterminò più di un milione di armeni. Ora sono proprio gli alleati dei turchi, gli azeri, ad aver costretto all’esilio centomila persone che vivevano nel Karabakh.
Si discute ancora su chi sia oggi effettivamente il carnefice e in che misura sia responsabile: per adesso si può soltanto osservare come in questa situazione Baku faccia i propri interessi, Washington si comporti con ambiguità e Bruxelles con estremo cinismo.
Strozzati lentamente da uno blocco stradale
L’enclave armena nel Nagorno Karabakah ha un solo punto di collegamento con la madrepatria, il cosiddetto corridoio di Lachin. Per tutto il 2023, l’Azerbaigian ha limitato e reso progressivamente sempre più difficile il passaggio di beni e di merci, fino a provocare la scorsa estate qualcosa di molto simile a una crisi umanitaria. Anche la Croce Rossa Internazionale era impossibilitata a portare assistenza e medicinali nell’ormai ex autoproclamata Repubblica dell’Artsakh.
Si erano interessate persino le autorità francesi: la sindaca di Parigi Anne Hidalgo era andata personalmente in loco per monitorare la situazione e aveva denunciato una “violazione totale dei diritti umani”. Quando i convogli di aiuti umanitari sono stati del tutto bloccati, la vicenda si è avviata alla conclusione: l’unico modo per ridare ossigeno alla gente dell’Artsakh è stato di farla uscire dal suo territorio, creando una lunghissima coda di profughi in cammino verso la salvezza. Le truppe russe di peackeeping hanno espletato il loro mandato di controllo e hanno aiutato per quanto possibile gli sfollati, ma non potevano fare di più senza provocare una reazione militare degli azeri. Anzi, alcuni peacekeeper russi sono persino rimasti uccisi in un agguato mentre svolgevano i loro compiti di supervisione.
Un nuovo genocidio armeno
A parlare di nuovo genocidio armeno è stato Luis Moreno Ocampo, ex Procuratore capo della Corte penale internazionale, quando in agosto commentava le condizioni di fame e di rischio in cui erano stati messi gli abitanti dell’Artsakh. Il magistrato argentino ha spiegato che a livello giuridico un genocidio non consiste necessariamente nell’eliminazione fisica diretta di un certo gruppo etnico, come invece si pensa comunemente. La relativa Convenzione dell’ONU definisce infatti il genocidio anche come “il sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale”.
Ocampo chiosa dicendo che l’idea di genocidio non riguarda solo il fatto di uccidere, ma di espellere le persone dalla terra. Già due mesi fa vedeva gli armeni in grave pericolo: Senza un drastico e immediato cambiamento, questo gruppo di armeni sarà distrutto in poche settimane, senza forni crematori o colpi di machete come avvenuto in altre zone del mondo, ma con l’arma invisibile della fame. E rimandando ai fatti del 1915 dice: È qualcosa di tragico, ma la storia si sta ripetendo, con gli armeni scacciati dalle proprie case e fatti morire di inedia.
L’Azerbaigian parla di propaganda armena
A Baku negano accuse tanto pesanti. Le drammatiche descrizioni del blocco di Lachin sono state definite dal rappresentante azero all’ONU Yashar Aliyev come “accuse infondante e senza argomenti”, lanciate dal governo armeno al fine di “manipolare e sviare la comunità internazionale”. Le autorità azere hanno giustificato il blocco del corridoio Lachin come una misura per impedire, fra l’altro, la fornitura illegale di armi alle formazioni paramilitari locali. Il ricordo della guerra del 2020 è infatti ancora fresco. Gli scontri sono continuati a bassa intensità e, come si è visto, il risultato non era affatto definitivo.
Baku ha poi tirato fuori al momento opportuno una scoperta terribile: una fossa comune piena di cadaveri di azeri presso la città di Shusha, nella zona riconquistata dall’Azerbaigian nel 2020. L’eccidio, ad opera delle truppe armene, risalirebbe alla prima guerra del Karabakh a inizio anni ’90 e getta un’ombra scura sulle azioni e le responsabilità del governo di Erevan.
Dall’Europa un supporto formale e inutile
In Italia la questione è passata pressocché sotto silenzio. In Francia, come detto, si sono mossi addirittura i vertici del Senato per invocare la riapertura di Lachin di e l’invio di armi difensive all’Armenia. Ma l’unico risultato di Parigi è stato di irritare l’Azerbaigian, che convocato l’ambasciatore francese per esprimere condanna alla “interferenza diretta” dei francesi. La presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen non ha fatto particolari commenti. Il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, si è invece sforzato di telefonare al leader azero Ilham Aliyev per chiedergli di trattare bene gli abitanti del Karabakh. Oggi Michel arriva addirittura a incolpare Mosca di aver tradito Erevan.
Le truppe russe di peacekeeping avevano, appunto, una missione di controllo del rispetto delle condizioni fissate dalle controparti. Facile immagine quale sarebbe stata l’accusa del blocco euroatlantico se la Russia – seppure in difesa della popolazione dell’Artsakh contro le provocazioni degli azeri – avesse fatto anche solo una piccola mossa militare che esulava dalla missione prestabilita. E invece oggi viene accusata di non aver fatto nulla.
Nei confronti di Baku, invece, Michel ha solamente espresso la sua “estrema delusione”. All’Armenia ha promesso che la UE “rimarrà molto impegnata” nel supportarla in vista dell’arrivo di un gran numero di profughi. Per adesso l’appoggio politico di Bruxelles ha solo agevolato il disastro, mentre quello finanziario consiste nella promessa di 5 milioni di euro, contro gli 11,5 milioni di dollari ventilati dagli USA. In definitiva, per i Paesi europei e per la UE non è altro che un totale fallimento diplomatico. Gli armeni hanno notato le loro chiacchiere ipocrite e inconcludenti. Karena Avedissian dell’Armenia’s Regional Center for Democracy and Security afferma: La UE sta perdendo la fiducia degli armeni. Individui come Michel parlano spesso di valori occidentali e non fanno nulla per sostenerli, mentre Bruxelles ha promosso la sua visione di risoluzione del conflitto senza curarsi delle paure degli armeni di essere costretti a fuggire.
Niente euro-sanzioni contro Baku
Due pesi e due misure, come sempre. Nonostante le mozioni di condanna all’Azerbaigian votate dal Parlamento Europeo e la richiesta di più di 60 eurodeputati di sanzionare Baku, nessuno toccherà questo importante fornitore di gas. Bruxelles si è già auto-sanzionata abbastanza tagliandosi il rifornimento di energia dalla Russia: se ora si mettesse a embargare le risorse azere, con cosa ci scalderemmo il prossimo inverno?
Realpolitik batte idealismo 5 a 0, ma ciò non impedisce a Michel di negare che la UE abbia chiuso un occhio sui “problemi” del Karabakh e di definire l’Azerbaigian semplicemente come un “partner con cui la relazione presenta delle difficoltà”. Dal canto suo, Baku è andata dritta per la sua strada, ricercando il perseguimento dei propri interessi geopolitici nella regione e non soltanto.
Il governo azero è sicuro che Bruxelles non emetterà alcuna sanzione nei suoi confronti perché l’Europa oggi ha troppo bisogno del suo gas. Così, mentre gli euroburocrati potranno farsi belli mentre mostrando di organizzare summit fra i leader dei due Paesi in causa e di agevolare le trattative fra di essi, gli affari energetici con l’Azerbaigian andranno avanti indisturbati.
Interferenze euroatlantiche
Così, è andato malaccio il tentativo europeo di diventare mediatore cruciale nella crisi del Karabakh e di inserirsi nei giochi politici nel Caucaso, cioè al confine meridionale della Russia. La UE ha attirato il governo armeno verso di sé, paventando quel supporto che il premier Nikol Pashinyan dice di non aver avuto dalla Russia, nonostante l’impiego dei peacekeeper di Mosca. L’effetto è di aver perso l’Artsakh e di aver tollerato l’insorgere di una catastrofe umanitaria.
Addossare la responsabilità morale alle forze di pace russe appare davvero una scusa molto misera. E stanno provando a entrare pure gli Stati Uniti. Le manovre congiunte effettuate proprio nei giorni della crisi dell’Artsakh volevano essere il segnale della disponibilità di Washington a fare qualcosa di concreto per Erevan. Invece gli USA hanno solamente interferito in modo sfacciato con le questioni interne di un Paese che appartiene a una diversa alleanza militare. L’Armenia, infatti, è membro fondatore della CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), insieme alla Federazione Russa e ad altre quattro repubbliche ex sovietiche. Anche l’Azerbaigian ne è stato un membro.
Ciò che è avvenuto in Ucraina dal 2014 ad oggi dovrebbe essere un monito per coloro che pensano ancora che questo genere di avvicinamenti repentini agli USA sia positivo per la popolazione locale. Vediamo adesso cosa proporrà Washington all’Armenia per aumentare il suo benessere e la sua “sicurezza”. Sull’Armenia pende l’ennesima tragedia, che da disastro umanitario minaccia di trasformarsi in genocidio. Per adesso si può soltanto osservare come in questa situazione Baku faccia i propri interessi, Washington si comporti con ambiguità e Bruxelles con estremo cinismo.
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