Escalation infinita
Ormai l’escalation bellica sembra infinita. Neppure la vittoria di Donald Trump pare essere riuscita a mettere un freno alla sete di guerra che come uno spettro si aggira da qualche decennio nel Vecchio Continente. L’ultimo agghiacciante capitolo di questo lento precipitare nel baratro è la firma apposta dal presidente russo Vladimir Putin al decreto che aggiorna la dottrina interna sulla politica nucleare. Una risposta inequivocabile non tanto – come detto dai menestrelli del mainstream – all’approvazione dell’uscente presidente degli Stati Uniti Joe Biden dell’uso di missili a lungo raggio ATACMS sul territorio russo da parte quanto alla mossa di Kiev di utilizzarli immediatamente contro la regione di Bryansk.
Newton
«Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte». Sarebbe forse sufficiente ricordare proprio la terza legge del moto di Newton per tornare a ragionare. Un po’ come ha chiesto il presidente francese Emmanuel Macron al presidente russo. Dimenticandosi però dei passi compiuti, purtroppo per il popolo occidentale, proprio dai leader dell’Alleanza Atlantica. E in primis dallo stesso presidente francese, che qualche mese fa vaneggiava l’invio di truppe europee in soccorso di Kiev, che di fatto avrebbero portato in guerra la NATO e l’Europa in guerra. E Monsieur le Président non ha neppure prestato servizio militare…
Mai il passo più lungo della gamba del cugino d’oltralpe è nulla rispetto a quelli del grande fratello d’oltreoceano. In particolare, la legittimazione data dall’amministrazione Biden dell’attacco nella regione di Kursk da parte delle forze ucraine. Tutto ciò che sta accadendo oggi al riguardo è il frutto di quella scelta sconsiderata. Una scelta derivata probabilmente dalla disperazione della Presidenza americana che si vedeva già, al netto dei sondaggi (taroccati), sulla via del tramonto, e con un Occidente ormai uscito sconfitto sotto ogni punto di vista nel conflitto russo-ucraino.
Le linee rosse
Lo dimostrava il superamento di qualsiasi linea rossa al quale abbiamo assistito in questi anni: dal diniego ai punti proposti da Putin per evitare il conflitto nel Donbass per arrivare alla consapevole distruzione del Nord Stream, dall’accettazione supina di atti terroristici nel territorio russo come l’assassinio di Darja Dugina all’esproprio dei beni privati dei russi all’estero. E poi, dal sabotaggio al processo di pace in Turchia dopo pochi mesi dall’avvio dell’operazione speciale per arrivare all’invio di istruttori, mercenari e truppe d’élite a supporto di Kiev. E infine, dalla concessione dei sistemi di difesa antiaerea per arrivare infine all’invio di caccia da combattimento e carri armati, oltre che di missili di lunga gittata.
Un inesorabile salto del buio dove ogni passo compiuto indeboliva la causa occidentale, sempre più impegnata in una guerra per procura. Oggi si può ancora definirla tale?
Ripensare l’Europa
Preoccupa però che nessuno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea si preoccupi dell’iperattivismo della Polonia e degli altri Paesi Baltici in questo momento storico. L’attacco del presidente polacco Andrzej Duda verso il cancelliere tedesco Olaf Scholz per la telefonata con l’omologo russo, bollata come madornale «errore di politica internazionale» dovrebbe suonare come un pericoloso campanello d’allarme. Così come che proprio dal summit tenutosi a Varsavia i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito escano con una dichiarazione che prevede «una spesa superiore al 2% del Pil per affrontare le crescenti minacce alla sicurezza e soddisfare i requisiti di deterrenza e difesa dell’area euro-atlantica». E poi c’è il post pubblicato su X dal ministro degli Esteri di Varsavia Radoslaw Sikorski:
Con l’entrata in guerra delle truppe della Corea del Nord e il massiccio attacco di missili russi, il presidente Biden ha risposto con un linguaggio che Putin comprende.
Voglia di guerra e di vendetta
Nei toni utilizzati è evidente che esistano dei conti storici da saldare con Mosca che la Polonia vorrebbe far pagare anche all’Europa. Non aiuta in questo senso il ritorno alla Presidenza del Consiglio dei ministri polacco di un certo Donald Tusk, che da giovane si laureò con una tesi contro il Cremlino. E la Polonia è solo la punta dell’iceberg che rischia di far soccombere l’Europa, ostaggio di una sete di vendetta che viene da lontano e che unisce quasi tutte le new entry europee, coese soltanto da un sentimento, quello russofobo.
Ed è altrettanto evidente come l’entrata di questa massa critica all’interno dei processi decisori dell’Unione Europea e della NATO spinga a svolte belliciste che nulla hanno a vedere con la tradizione diplomatica comunitaria, ispirata al soft power. Una preoccupazione che aveva sottolineato a più riprese anche Henry Kissinger, prima della svolta da propaganda bellicista fatta prima del decesso. Lui, l’alfiere della sicurezza internazionale a tutti i costi.
Comunque vada, una guerra persa
Dove voglia arrivare Biden con la decisione di lasciar utilizzare le armi americane in territorio russo da parte di Kiev resta un mistero. Pensionato dal partito Democratico alle ultime elezioni presidenziali. Bocciata l’azione della sua amministrazione anche dal voto popolare raccolto dalla sua vice Kamala Harris. In evidente stato confusionale e incomprensibilmente non rimosso dall’incarico: risulta grottesco che possa ancora compiere un atto di tale portata. Se avessero compiuto una mossa del genere Trump o un altro presidente repubblicano, quale fuoco di fila avrebbe scatenato il mainstream?
Colpisce la colpevole indifferenza del giornalismo europeo al riguardo. Fa rabbrividire il continuo cinguettio di una propaganda stonata e che ormai non regge più neppure nei feudi dei media Dem statunitensi. Non riuscire dall’inizio della guerra a mettere in fila i fatti, ma solo le veline, costruendo una storia inventata di sana pianta, dimostra che comunque vada, la guerra è persa. L’Occidente ha perso attribuendo ad altri, come spesso avviene, i propri difetti e mancanze. Un gioco di specchi, dove appari più bello di quanto non sei.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.