Tra i grandi da non dimenticare: Bernanos

Tra i grandi da non dimenticare: Bernanos

3 Novembre 2023 0

Nell’estate appena trascorsa si è celebrato un importante anniversario: il settantacinquenario del dies natalis di Georges Bernanos (20 febbraio 1888 – 5 luglio 1948). Egli è stato tra i più grandi scrittori del Novecento e letterario francese, che hanno avuto al centro delle loro opere l’Eterno, cioè Dio. Pensiamo anche a Paul Claudel, Charles Péguy, François Mauriac. Non stupisce che la Francia figlia della rivoluzione abbia fornito alla letteratura mondiale alcuni dei suoi volti più importanti, e che questi fossero cattolici; giacché dove dilaga il male, la Grazia sovrabbonda.

Una vita avventurosa

Aveva anche partecipato, al pari di altri scrittori cattolici, come Péguy e Tolkien, alla prima guerra mondiale, meritando una decorazione. Da giovane era stato membro dei camelots du roi dell’Action française di Charles Maurras; e durante la guerra civile spagnola (1936-1939) aveva partecipato a un’operazione, poi fallita.

per ristabilire la monarchia in Portogallo. Una vita avventurosa, ma sempre con lo sguardo rivolto al Cielo. Sì, Bernanos non era un semplice scrittore da Académie française, o un conservatore e polemista. Era soprattutto un cattolico (e per certi versi ricorda il “nostro” Guareschi) impegnato a combattere per quei princìpi plurisecolari che danno libertà e dignità all’uomo, e che la Chiesa custodisce.

Uno sguardo verso la Verità

Lo scrivere costituiva per lui un apostolato al servizio della Verità:

Scrivo come soffro e come spero. […] Io credo solo a ciò che mi dà pena […] No, non sono uno scrittore. La sola vista di un foglio di carta bianca mi disanima. Lo speciale raccoglimento fisico imposto da un tavolo di lavoro m’è così odioso che l’evito sinché posso […] Scrivo sui tavoli di caffè, perché non saprei per molto fare a meno del viso e della voce umana […] per non cader vittima di immaginarie creazioni, e per riacquistare con uno sguardo gettato sullo sconosciuto che passa la giusta misura della gioia e del dolore.

E ciò riflette alcuni dei suoi talenti: saper scuotere l’intelligenza e l’anima del lettore (anche non credente), provocando la nostalgia del Cielo; seguire la marcia caotica del mondo moderno, allo scopo di smascherarne “le ingiustizie accuratamente nascoste sotto l’erba”; ed essere “popolare“. Nel senso di avere un’idea “alta” di popolo, oltre gli astraenti aggettivi “destra” e “sinistra”.

Esiste una borghesia di sinistra e una borghesia di destra. Non c’è invece un popolo di sinistra e un popolo di destra, c’è un popolo solo. L’idea che io mi faccio del popolo non è per nulla ispirata da un sentimento democratico. La democrazia è un’invenzione degli intellettuali, mentre il popolo esige il lavoro, il pane, e un onore che gli sia affine, che assomigli al suo lavoro e al suo pane […]. La società moderna lascia distruggere lentamente, in fondo alla propria cantina, una meravigliosa creazione della natura e della storia […]: È il popolo che dà a ogni patria il suo carattere originale. […] Per gli immensi cimiteri di domani non occorrerà alcuna giustificazione. Appiccherebbero il fuoco all’umanità per un colpo di Borsa, senza curarsi un istante di sapere come spegnerlo. Nulla sanno dell’uomo che, tra loro, definiscono una macchina per perdere o guadagnare soldi.

Citazione che proviene dal suo “I grandi cimiteri sotto la luna“, il più celebre atto d’accusa sulla guerra civile spagnola e sul franchismo.

La comprensione del nichilismo come fenomeno di massa

Le opere bernanosiane forniscono altresì un prezioso aiuto nel comprendere le cause e gli effetti del nichilismo come fenomeno di massa (anticipò il “partito radicale di massa” di cui parlò Del Noce negli anni ‘70-’80) e della secolarizzazione, che da secoli sfalda quel che resta della societas christiana.

Come scrisse il critico letterario Albert Béguin: «Ogni romanzo di Bernanos, più che il romanzo d’un prete, la storia di una parrocchia, è, in certo modo, l’immagine ridotta ma completa, del mondo che una volta è stato cristiano. Ciò che vi scopre nell’angoscia e nella goffaggine, nei problemi di coscienza e nell’impostura, con la certezza della Fede e la coraggiosa predicazione, il prete bernanosiano è sempre uno spirituale in un mondo che se ne infischia dello spirito o che, tutt’al più, consente al soprannaturale di svolgere un suo limitato ruolo».

Alcuni dei suoi libri più celebri sono “Sotto il sole di satana” (1926), considerato l’opera di esordio è che anticipa il più famoso “Diario di un curato di campagna”. Il protagonista, qui, è l’abate Donissan, che è ossessionato dall’eterno conflitto tra il “Bene e il male” e dalla paura del fallimento della sua missione. Donissan è un povero prete di campagna, di poca cultura, ma toccato dalla Grazia di Dio che opera in maniera imperscrutabile.

La Francia contro la civiltà degli automi“, un testo profetico (scritto nel ‘47), dove l’autore riflette su tecnica, libertà e Verità:

La grande disgrazia del mondo non è di mancare di Verità; le verità ci sono sempre, il mondo ne ha sempre lo stesso cumulo, disgraziatamente non sa più servirsene o, per meglio dire, egli non le vede. Non vede nemmeno le più semplici, quelle che lo salverebbero. Non sa vederle, perché ha chiuso davanti a loro non la sua ragione, ma il suo cuore.

Dialoghi delle Carmelitane”, capolavoro teatrale scritto nel 1949, che presenta molti aspetti drammaturgici interessanti. Esso racconta la pena della ghigliottina inflitta nel 1794 alle sedici monache del monastero carmelitano di Compiègne. guidate da madre Thérèse de Saint-Augustin; condannate perché accusate, ingiustamente, di fanatismo dai giacobini (loro sì che lo erano: “i più puri che epurano”).

Udita la sentenza una delle suore, nella sua semplicità, chiederà: «Signor Giudice, per piacere, cosa vuol dire fanatismo?». E il giudice: «È la vostra sciocca appartenenza alla religione». «Oh sorelle – dice allora la suora – avete sentito ci condannano per il nostro attaccamento alla Fede. Che felicità morire per Cristo Gesù». Nel 1960 ne fu fatta una trasposizione cinematografica, a opera di Raymond Leopold Bruckberger e Philippe Agostini.

E, ora, è la volta del libro che rese più celebre Bernanos.  “Diario di un curato di campagna” (1936), che venne anch’esso adattato al cinema, grazie alla direzione di Robert Bresson; film che ispirò “Luci d’inverno” di Ingmar Bergman. Lo scrittore Guido Piovene lo definì “il più bel libro della letteratura francese della generazione dopo Gide”. In questa storia, che è un sano “corpo a corpo fra il soprannaturale e il mondo”, Bernanos ci mette in guardia, fin dalle prima pagine, da un grave male diffusosi, come un cancro, nelle comunità cattoliche del Novecento (e ancora oggi lo è): la noia, che è tra le cause dell’indifferentismo e del relativismo.

Il protagonista, il parroco di Ambricourt è una sorta di Curato d’Ars, giacché dotato di grande Fede e zelo apostolico, senza una sterile erudizione, quale ricordano queste sue parole, scotenti anima e intelligenza del lettore: “Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire”. Ma San Giovanni Maria Vianney non è l’unico santo che si incontra nel suo personaggio; vi è anche Santa Teresa di Lisieux, come ricorda quel “Che cosa importa? Tutto è Grazia”, con cui si conclude il romanzo.

Lo scrittore Charles du Bos, tra i grandi convertiti al cattolicesimo di Francia, ebbe a dire: «[…] da più di tre mesi già nell’interminabile tunnel dal quale dovevo uscire più tardi scrivendo La sofferenza fisica, in un momento in cui salvo qualche versetto del Libro di Giobbe non potevo sopportare nulla, lessi il Diario di un curato di campagna e per mesi le insuperabili parole furono il mio solo viatico […]».

Insomma, Bernanos è sempre più attuale ed è una sorta di “pietra di inciampo” nello stile dei profeti: ecco perché non si può definire meramente quale scrittore, polemista e conservatore.

Daniele Barale
Daniele Barale

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