Siria, Maabad al-Hassoun: “Tutti sono consapevoli che la permanenza di Assad non significa più la continuazione del regime, quanto piuttosto l’avvitarsi della tragedia siriana, anno dopo anno”
«E’ una vittoria annunciata quella di Bashar al-Assad e queste elezioni altro non sono che una messa in scena. Come si può pensare di andare alle urne quando nel Paese mancano 5, 6 milioni di siriani, fuggiti dalla guerra e altri 6,1 milioni sono sfollati interni? Mi chiedo poi, in che modo possano svolgersi regolari consultazioni in aree che ancora sfuggono al controllo di Damasco, come Idlib a nord-ovest o anche a Sweida nella zona sud occidentale della Siria, che per quanto oggi sia sotto l’egida dell’esercito governativo, ha assistito alla discesa in piazza dei cittadini contro l’aggravarsi della crisi economica e sociale, acuita dalla pandemia da coronavirus, invocando la caduta del regime». E’ lapidario Maabad al-Hassoun, scrittore e dissidente originario di Raqqa, autore di diversi libri, fra cui Raqqa and the Revolution. A personal testimony, che racconta le fasi della rivoluzione nella città caduta per mano dei taglia gola. Per undici anni ha conosciuto la prigionia nei centri di detenzione di Mezzeh, Palmira e infine di Sednaya, alle porte di Damasco. Dopo che Daesh assume il pieno controllo della provincia, istituendo lì il suo quartier generale, fugge nel 2014 con la famiglia in Turchia, dove si stabilisce per due anni. Nel 2016 chiede e ottiene asilo in Francia. Al-Hassoun ci racconta fasi e retroscena che portarono al conflitto che, a distanza di dieci anni, continua a macchiare col sangue dei civili la terra di Sham, la Siria.
Dall’inizio della guerra, numerosi round di colloqui di pace sono stati convocati dall’allora Inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, sulla base della Risoluzione del dicembre 2015. Crede queste elezioni onoreranno i dettami del Palazzo di Vetro?
«Sono elezioni illegali, perché non rispetteranno i parametri adottati con la risoluzione Onu 2254. Un punto essenziale di quel provvedimento è la formazione di un governo di transizione, che non è stata attuato perché il suo esecutivo è rimasto in carica fino ad oggi, disattendendo la decisione delle Nazioni Unite. Un regime nazionale di transizione, con il quale si sarebbe dovuto procedere all’elaborazione di una nuova Costituzione. Le presidenziali dovrebbero svolgersi sotto la supervisione dell’Onu, con soggetti terzi e nella massima trasparenza. Ma anche questo non sta avvenendo, ennesima dimostrazione della totale mancanza di volontà di avviare quel processo politico di transizione, previsto dalla dichiarazione di Ginevra del 2012 e delle risoluzioni successive, compresa la 2254. Il risultato prevedibilissimo sarà che si voterà con le dispotiche benedizioni di una quarta elezione tutta a favore di Bashar al-Assad, che proprio nel 2012 ha inserito una clausola alla Costituzione del padre, che poneva il limite dei due mandati per il presidente della Repubblica. Così come avviene in tutte le costituzioni moderne nella maggior parte dei paesi del mondo, che rispettano se stessi e il proprio popolo. La sua conferma non stupirà nessuno e non sarà ben accolta né in Siria né tanto meno all’estero. Persino dai suoi stessi sostenitori. Tutti sono consapevoli che la permanenza di Assad non significa più la continuazione del regime, quanto piuttosto l’avvitarsi della tragedia siriana, anno dopo anno. E’ il proseguimento del disfacimento di una nazione e del marcire delle sue condizioni. Il popolo è alla fame, stremato da lunghi anni di guerra e di devastazioni e queste elezioni altro non sono che un referendum confermativo di Bashar al Assad, perchè nel Paese non ci sono mai state libere elezioni».
Perché il vento delle Primavere arabe ha lambito anche il suo Paese e quale il motivo che ha innescato la rivoluzione?
«Penso che i paesi arabi affrontino condizioni sociali, politiche ed economiche simili. C’è arretratezza, persecuzione, ignoranza e una classe dirigente fascista dittatoriale. Le rivoluzioni della Primavera araba furono una naturale conseguenza di tutti gli eventi del mezzo secolo precedente le rivoluzioni».
Ha partecipato ai movimenti di rivolta a Raqqa e in che periodo?
«Sì, sono stato uno dei fondatori della rivoluzione sin dall’inizio. Fra i coordinatori che hanno organizzato le manifestazioni pacifiche e tra i primi a metterle in atto. Hanno svolto un ruolo importante fra i giovani, che a livello locale si sono riuniti in Comitati, allestendo slogan, striscioni e anche tempi delle proteste.
Cosa ha spinto i Fratelli Musulmani e lo stesso popolo siriano a ribellarsi ad Assad?
«I Fratelli Musulmani non si sono ribellati contro Assad, almeno nella fase iniziale, né sono stati tra i primi partecipanti o pianificatori della rivoluzione. Quando a un certo punto la repressione contro chi protestava si è fatta più dura, gli stessi militari dell’esercito governativo hanno iniziato a disertare per non usare violenza contro i loro stessi concittadini. L’intervento dei paesi occidentali e arabi, in particolare degli Stati del Golfo, che hanno appoggiato e finanziato alcune fazioni, ha contribuito a soffocare la rivolta pacifica che invocava soltanto democrazia e libertà. Quei Paesi hanno così iniziato a sostenere il movimento Ahrar al-Sham, lo Stato Islamico, Al-Nusra, l’esercito dell’Islam a Ghouta e il resto delle fazioni che sventolavano bandiere e striscioni religiosi. Oggi i Fratelli Musulmani sono responsabili dei risultati in Siria».
Da alcuni suoi post su facebook, sembra che lei creda ancora in un risveglio della rivoluzione
«Una rinascita della Rivoluzione, sulla quale riponiamo le nostre speranze, potrebbe essere possibile un giorno, per quanto si tratti di un processo lungo, non immediato. Al momento rimane al palo a causa della guerra e delle forze straniere schierate sul campo.
La nostra rivolta contro Assad è nata perché questo regime è un assassino, criminale e un tiranno, basti considerare le innumerevoli misure prese contro di lui per crimini di guerra commessi contro il suo stesso popolo. Io sono stato costretto a lasciare il mio paese nel 2016 e ora vivo da rifugiato in Francia. Abbiamo combattuto Daesh e fatto di tutto per sconfiggere questa organizzazione criminale. Ora sono diventato l’uomo più ricercato dai jihadisti e dal regime di Assad».
Nasce a Palermo. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università degli studi del capoluogo siciliano, master in Giornalismo e comunicazione pubblica istituzionale, è giornalista pubblicista. Ha iniziato la sua carriera di giornalista, scrivendo di sprechi, inadempienze nella Pa e di temi ambientali per il Quotidiano di Sicilia, ha collaborato per alcuni anni col Giornale di Sicilia, svolto inchieste e approfondimenti su crisi libica e questione curda per Left, per poi collaborare alle pagine Attualità e Mondo di Avvenire, dove si è occupata di crisi arabo-siriana e di terrorismo internazionale. Ha collaborato col programma Today Tv 2000, l’approfondimento dedicato all’attualità internazionale. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano nel 2017.