Papa Francesco non è Chamberlain. Quanto fa fico, colto e responsabile straparlare di “spirito di Monaco”

Papa Francesco non è Chamberlain. Quanto fa fico, colto e responsabile straparlare di “spirito di Monaco”

7 Novembre 2022 0

Bisognerebbe sempre evitare di prodursi in paralleli storici, magari pure facendo astutamente tornare i conti. Risulta particolarmente insopportabile, quindi, l’evocare costantemente “lo spirito di Monaco” da parte dai caporioni del trasversale “partito della guerra”. Un’evocazione volta a “mascariare” nel suo insieme il “popolo della pace” e il suo mobilitarsi. Non sfugge anche a chi non si atteggi a “Winston Churchill de noantri” che non pochi siano i limiti e le contraddizioni, malafede inclusa, che si possono individuare nel variegato arco di forze che non si contrappone all’idea dell’inevitabilità dell’escalation militare tra Russia e Ucraina. Non è in ogni caso un buon servizio alla verità – e, di conseguenza, nemmeno alle popolazioni che il conflitto subiscono – insistere sulla narrazione che chiunque sostenga l’indispensabilità di un rinnovato sforzo per la realistica costruzione della pace, partendo come è ovvio da una tregua, sia alleato oggettivo di una volontà imperiale e surrettizio sostenitore dell’altrui resa.

Abbiamo già scritto su queste colonne virtuali, prima che intellettuali di diversa estrazione la riconoscessero nel loro appello “unica Agenzia mondiale all’opera davvero per la pace”, di come la Chiesa cattolica si sia posta catalizzatore di un realista “partito della pace” (che non è la declinazione del putinismo con altri mezzi). E non si può certo spingere papa Francesco, che nel solco dei suoi immediati predecessori ha rifiutato di farsi “cappellano dell’occidentalismo”, come una sorta di novello Arthur Neville Chamberlain.

Allo stesso modo la manifestazione romana avvenuta sabato scorso e convocata dal network trasversale “Europe for Peace”, sia il raduno degli indifferenti e dei benaltristi preoccupati più della propria tranquillità che delle sofferenze delle vittime.

La scelta per la pace, al contrario, è una questione esigente. Per dirla con Emmanuel Mounier, “la pace non è la virtù degli imbelli”. Come ha chiarito il Segretario di Stato vaticano, cardinal Pietro Parolin, nella sua recente intervista data a “Famiglia Cristiana”, solo “schemi di pace” possono “garantire un futuro all’umanità. Se prevalgono gli interessi di parte, la violenza, la prevaricazione, le colonizzazioni economiche e ideologiche, la legge del più forte – cioè gli “schemi di guerra” – siamo destinati a non avere un futuro”. Di fronte al conflitto, allora, per citare il Pontefice, occorre che “Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili”. In tempi diverse e muovendo da posizione di partenza molto diverse, sulla necessità di un consapevole ridare un’opportunità alla politica si sono espressi anche Emmanuel Macron, Angela Merkel e persino Matteo Renzi (decisamente più acuto del suo sodale di Terzo Polo a proposito della guerra).

Il contributo dei manifestanti per la pace, in questo senso, è molto più decisivo di quello degli inneggiatori “dal salotto” della nobile resistenza ucraina. Non si può disconoscere il realismo della richiesta di “Fermare subito questa guerra. Basta sofferenze. L’Italia, l’Unione Europea e gli stati membri, le Nazioni Unite devono assumersi la responsabilità del negoziato per fermare l’escalation e raggiungere l’immediato cessate il fuoco. È urgente lavorare ad una soluzione politica del conflitto, mettendo in campo tutte le risorse e i mezzi della diplomazia al fine di far prevalere il rispetto del diritto internazionale, portando al tavolo del negoziato i rappresentanti dei governi di Kiev e di Mosca, assieme a tutti gli attori necessari per trovare una pace giusta”.

Diversamente da quanto gli intristiti colleghi notisti politici sostengono, infatti, non è la pace tra Giuseppe Conte e il Partito Democratico al centro della mobilitazione di migliaia di realtà della società civile organizzata del nostro Paese. Chi scende in piazza, infatti, lo fa per far risuonare le richieste espresse dal Santo Padre all’Angelus del 2 ottobre scorso: “Il mio appello si rivolge innanzitutto al Presidente della Federazione Russa, supplicandolo di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte. D’altra parte, addolorato per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita, dirigo un altrettanto fiducioso appello al Presidente dell’Ucraina ad essere aperto a serie proposte di pace”. E in piena sintonia con quanto puntualizzato dal Segretario di Stato della Santa Sede, cioè che “La tregua, far cessare il crepitare delle armi, i bombardamenti, le distruzioni, è un primo passo necessario. Tale passo, però, deve essere anche accompagnato e favorito da gesti non di minaccia, ma di fiducia e di buona volontà, che creino le condizioni per il dialogo e aprano la strada a negoziati. Il Papa su questo è stato chiaro. Purtroppo ci siamo quasi abituati alle notizie sulla guerra: non solo ritengo la tregua plausibile, ma la giudico necessaria e urgente”.

Marco Margrita
Marco Margrita

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