Paolo Sensini «Per un Paese importantissimo come la Siria una sorta di balcanizzazione. Ai tratta dell’attuazione di un piano già del 1982»
La situazione in Siria è sempre più complessa. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, durante il suo intervento ieri sera al vertice ministeriale dell’Organizzazione per la cooperazione economica D-8 in Egitto, ha rinnovato l’appello di Teheran per arrivare ad un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. E poi ha rilanciato:
Le forze israeliane devono immediatamente ritirarsi dai territori occupati di Gaza, dal Libano e dalla Siria.
Non dello stesso avviso appare però Abu Mohammed al Jolani, il cui vero nome è Ahmed al Sharaa, il quale ha affermato in un’intervista rilasciata alla Bbc a Damasco che il suo Paese è stremato dalla guerra e non rappresenta alcuna minaccia per i suoi vicini o per l’Occidente. Il golpista non chiede quindi la restituzione dei territori persi. Le uniche due istanze espresse fino ad ora sono che Hayat Tahrir al-Sham (Hts), la milizia di cui è leader, sia cancellata dalla lista del terrorismo e che:
Ora, dopo tutto quello che è successo, le sanzioni devono essere revocate perché erano mirate al vecchio regime. La vittima e l’oppressore non dovrebbero essere trattati allo stesso modo.
Di fronte a questo scontro di visioni sul futuro della Siria abbiamo interpellato lo storico e analista geopolitico Paolo Sensini, autore di numerosi saggi e in particolare esperto di Medioriente.
– Da esperto di Medio Oriente, potrebbe dirci come vede in questo momento il quadro generale della questione siriana?
– Oggi stiamo assistendo al secondo tempo della vicenda che era stata sospesa nel 2019. La pausa era dipesa dal fatto che le priorità si erano indirizzate su altre questioni a livello globale, in primis la pandemia. Dal 2011 al 2019 si era visto un continuo attacco finalizzato sostanzialmente a distruggere la Siria, come era già avvenuto in Libia.
Tuttavia i russi, e in parte anche gli iraniani, erano riusciti a rintuzzare i colpi delle brigate internazionali dello jihadismo, le quali provenivano da territori diversi, dalla Tunisia ai Paesi del Golfo Persico. Ciò che è accaduto in rapidissima sequenza all’inizio di dicembre non è stato altro che la parte finale di ciò che avevano tentato di fare alcune potenze per otto anni di fila. La Siria inoltre era sotto pesanti sanzioni economiche che le impedivano di riprendersi economicamente, di guarire la grave situazione interna. Era per esempio in balia di un’inflazione altissima e di altri fattori che l’hanno indebolita al punto da sgretolarsi in pochissimi giorni.
– Si può parlare quindi per la Siria di una specie di divide et impera?
– Senza dubbio. La politica è proprio questa: il piano che si voleva attuare era stato elaborato nel 1982 da Oded Yinon. Tale progetto viene tuttora perseguito in maniera massiccia perché vi sono ancora diversi obiettivi da portare a termine in tutta l’area. In altre parole, si vuole per un Paese importantissimo come la Siria una sorta di balcanizzazione, che avrebbe peraltro l’effetto di rompere il cosiddetto “asse della resistenza” fra Iran, Iraq, Libano e appunto la Siria.
Questo concetto strategico era presente già prima del 1982, ma fu in quell’anno che fu messo per iscritto dal giornalista e funzionario ministeriale israeliano Yinon. L’obiettivo è appunto quello di balcanizzare tutto il Medio Oriente su linee etnico-religiose. È una direttrice imprescindibile per Israele: ne abbiamo visto il protagonismo in questi giorni, con la sua attività che si sta rafforzando a ritmi incalzanti.
– Gli israeliani si fermeranno al Golan oppure vogliono arrivare a smembrare del tutto la Siria?
– Gli israeliani al Golan ci sono già arrivati e adesso stanno andando oltre. Perseguono l’obiettivo di distruggere il più possibile l’apparato logistico e militare siriano, prendendo di mira gli aeroporti e i porti. Non si era mai vista una tale intensità di attacchi aerei da parte di Israele: negli ultimi giorni se ne contano circa 450.
– Israele vuole colonizzazione il Golan e altri territori oppure fa solo opera di demilitarizzazione della Siria?
– Vari ministri lo hanno già dichiarato: oltre al Golan vogliono rubare anche altri territori della Siria e poi colonizzarli. Dico “rubare” perché c’è almeno una risoluzione dell’ONU che stabilisce che non si tratta di aree che spettano a Israele. Con la scusa della difesa, gli israeliani hanno già in qualche modo annesso 400 chilometri quadrati di territorio siriano.
– In questo gioco a incastro, Lei come legge le mosse della Turchia? Come membro della NATO e come partner della Russia, Ankara ha sempre cercato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte…
– Diciamo che turchi hanno sempre battuto più sul cerchio che sulla botte. A partire dal 2011 o dalla grande stagione delle “rivoluzioni colorate” e delle “primavere arabe”, Ankara è stata fra le prime a mostrarsi acerrima nemica di Damasco. I turchi hanno giocato un ruolo fondamentale prima in Libia e poi in Siria oggi. Pensiamo al fatto che il grosso delle truppe filtrate in suolo siriano era giunta proprio dalla Turchia con l’operazione militare americana Timber Sycamore. Con un ponte aereo, gli USA portarono in Turchian migliaia di combattenti libici, che da lì penetravano verso Idlib e Aleppo. Non dimentichiamoci infatti che Ankara fa parte della NATO.
Poi la Turchia ha avuto una sorta di appeasement con la Russia, dovuta anche ad altri scenari internazionali su cui Erdoğan ha puntato la sua attenzione. Ma badiamo bene: i turchi hanno sempre ritenuto la zona settentrionale della Siria come appartenente a loro, all’Impero Ottomano. Quindi hanno avuto un ruolo essenziale già prima del 2019 e lo hanno anche adesso con Hayat Tahrir al-Sham. Ankara sfrutta per i suoi scopi questa formazione jihadista, i cui leader dirigevano al-Qaeda ed erano persino ai vertici dell’ISIS. Insomma, nemici giurati dell’Occidente che però hanno sempre avuto un enorme supporto da parte della Turchia, che li usa in termini geopolitici nelle sue aree di interesse, per circoscrivere le porzioni di territorio su cui poi esercitare la propria influenza. Fanno lo stesso anche Israele e gli USA. Peraltro, Washington si muove con una politica estera molto legata alle esigenze israeliane.
– Nelle attuali vicende siriane quanto pesano il gas e il petrolio? Tra Qatar ed Europa c’è un gasdotto da far passare proprio attraverso la Siria…
– Le fonti energetiche qui hanno un ruolo pesantissimo. Il gas è uno dei motivi per cui nel risiko geopolitico la Siria è stata segnata come obiettivo di attacco. Damasco era anche l’obiettivo di un by-plan che attraverso l’Iran sarebbe passato in Iraq e poi Siria, Libano e infine Europa. Ecco quindi due ipotesi di approvvigionamento che coinvolgono la Siria come centro della battaglia geopolitica. Nel mio libro sull’ISIS ho inserito le cartine che mostrano lo scontro energetico in atto.
– Con la caduta della Siria, la Russia quanto ne esce indebolita? E dopo la prossima eventuale fine del conflitto in Ucraina, sarebbe possibile secondo Lei che Mosca torni a occuparsi della Siria, magari insieme all’Iran?
– Difficile fare delle previsioni del genere in questo momento. Possiamo solo far notare come per adesso non siano state insidiate le due basi russe in Siria, quella aerea a Latakia e quella della marina a Tartus. Forse questo è uno dei motivi per cui i russi non hanno attaccato, avendo presente che l’esercito siriano non era più in condizione di resistere. Sembra anche che Mosca abbia avuto garanzia che le sue basi non saranno attaccate, ma non sappiamo i termini di tale presunto accordo.
– Sebbene l’ISIS sia nemica giurata dell’Occidente, guardando la mappa è impossibile non notare come i suoi interessi coincidano con quelli di alcuni Paesi… in altre parole, quanta America c’è dietro il sostegno all’ISIS?
– L’ISIS, al-Qaeda e le altre formazioni di combattenti islamisti hanno sempre perseguito gli obiettivi geopolitici degli USA e di Israele. E infatti quest’ultimo non lo hanno mai attaccato, sebbene dovrebbe essere il loro nemico principale. Anzi, vi sono foto delle alture del Golan che dimostrano l’aiuto sostanziale che Tel Aviv ha fornito ai miliziani integralisti. Vi sono addirittura immagini di Netanyahu che va a salutare e a congratularsi coi combattenti islamisti curati in cliniche israeliane. Circolano video nei quali si vedono jihadisti, quelli non di primo livello, che vengono interrotti e zittiti proprio quando parlano negativamente dell’America. Un rapporto ISIS-Occidente dunque vi è sempre stato e gli estremisti hanno giocato ruoli funzionali alla politica estera americana e israeliana già dal 1979, anno di inizio della guerra in Afghanistan.
– In base alla Sua esperienza, può dirci quali prospettive si aprono adesso per i diritti dei cristiani e delle donne?
– Sarebbe illusorio pensare che tutto continuerà come prima, cioè una Siria laica e rispettosa delle donne e delle minoranze religiose. Potrebbe venire imposta la sharia. I nuovi arrivati stanno già prendendo una serie di misure in tal senso. Perseguitati in ogni modo, i cristiani sono diminuiti numericamente a partire dal 2011. La Siria fu in parte la culla del cristianesimo, ma oggi la famosa conversione di Paolo sulla via di Damasco viene utilizzata per descrivere al-Jolani jihadista moderato, una figura pragmatica. Eppure gli americani gli avevano messo sulla testa una taglia da 10 milioni di dollari. Kissinger diceva: È il nostro uomo. Un bastardo, sì, ma il nostro bastardo.
– Impossibile dunque immagine un ritorno di Assad?
– Sì, è impossibile. Dopo 13 anni di resistenza vi è stata letteralmente l’implosione di un Paese logorato. Un Paese sfinito da così tanti anni di guerra, di situazione economica disastrosa, di tradimenti interni. Persino gli iraniani hanno fatto mancare il loro appoggio. I russi sono impegnati in Ucraina e non potevano aiutare più di quanto non abbiano già fatto. Oggi per la Siria lo scenario più probabile rimane quello della balcanizzazione. È stato tolto di mezzo il soggetto dotato della forza sufficiente a tenere insieme il Paese, così le bande, i clan e i feudi si combatteranno tra di loro in una guerra tutti contro tutti. Si vedrà dunque chiaramente il dispiegamento della politica del divide et impera su faglie etniche, religiose e razziali, il che è appunto l’obiettivo fondamentale di Israele per tutto il Medio Oriente.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.