Esclusiva – La produzione dell’industria della Difesa turca in Libia viola l’embargo ONU, ne parliamo con Abdulla Bozkurt
La Turchia ha di recente avviato la produzione dell’Industria della Difesa in Libia presso gli stabilimenti della Factory 51 a Bani Walid. Secondo quanto confermato dalle nostre fonti, la produzione è iniziata in seguito ai colloqui tra il Capo di Stato Maggiore dell’esercito libico occidentale, il generale Mohammed El-Haddad, ed il comandante Mohammed Sewehli incaricato della sicurezza nella regione militare di Bani Walid, con l’intelligence e il Ministero della Difesa di Ankara. L’Industria della Difesa rientra tra gli ambiti di cooperazione previsti dall’accordo tra Libia e Turchia, firmato il 27 Novembre 2019, dall’ex ministro degli Interni della Libia, Fathi Bashagha, ed il Ministro della Sicurezza Nazionale Turco, Hulusi Akar. Secondo quanto riferito da un docente del College of Electronic Technology di Bani Walid, la produzione mira nella sua seconda fase a costruire droni. Un passaggio che, sebbene affidato alle controparti libiche, potrebbe rappresentare una palese violazione dell’embargo previsto dalle Nazioni Unite. Ne parliamo con il giornalista turco, Abdulla Bozkurt, Direttore del Nordic Research and Monitoring Network.
Signor Bozkurt, le attività presso la Factory 51 violano in qualche modo l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite da e verso la Libia?
“Il comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite ha persino considerato le pistole a salve inviate dalla Turchia come violazioni del regime sanzionatorio perché potevano essere facilmente convertite in armi vere. Quindi, suppongo che anche la fabbrica 51 si qualificherebbe sotto il regime sanzionatorio”.
Se la produzione stessa non rappresenta una violazione, come sembrerebbe gestita totalmente dai libici, da dove provengono i materiali per l’assemblaggio di queste merci?
“I membri della famiglia del presidente turco Erdogan e i loro soci in affari controllano in generale l’industria militare e della difesa in Turchia e sono pronti a fornire facilmente tali materiali alla Libia, alcuni potrebbero essere appaltati a paesi terzi tramite l’intermediazione turca”.
Le risoluzioni ONU prevedono delle eccezioni. Che lei sappia, la Turchia ha comunicato alle Nazioni Unite l’avvio di questi progetti? L’accordo è mai stato registrato?
“Questo non lo so”.
La Turchia ha recentemente ribadito che il personale militare turco non dovrebbe essere considerato mercenario. Che personale impiega Ankara in Libia?
“La Turchia ha personale militare ufficiale, soprannominato consiglieri dal regime di Erdogan, forze paramilitari del gruppo SADAT e militanti siriani”.
Cosa pensa l’opinione pubblica turca di queste missioni all’estero? E quali sono i vantaggi per le aziende e gli imprenditori turchi?
“L’opinione pubblica turca è ipnotizzata da tale avventura a causa della mancanza di media critici e indipendenti in Turchia. Quasi 200 media sono stati chiusi dal 2015 e la Turchia ha il maggior numero di giornalisti incarcerati – 174 ad oggi – in tutto il mondo. Solamente le aziende e gli uomini d’affari turchi allineati con il regime di Erdogan traggono profitto da tali accordi”.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.