In ricordo di Suor Elvira e alcune considerazioni intorno alla persona di Michela Murgia

In ricordo di Suor Elvira e alcune considerazioni intorno alla persona di Michela Murgia

15 Ottobre 2023 0

Il 3 agosto è tornata alla Casa del Padre madre Elvira Petrozzi (al secolo Rita Agnese Petrozzi). Nel 1983 fondò una delle opere cattoliche più importanti del Novecento: la Comunità Cenacolo di Saluzzo. Donna di fede limpida, che non faceva sconti al peccato e ai suoi frutti perversi. Le sue parole bruciavano ma non per uccidere, per corroborare, dare vite. Come la donna di Dante, “Filosofia”, che in “Amor che ne la mente mi ragiona” «piove fiammelle di foco,/ animate d’un spirito gentile./ Sua bieltà piove fiammelle di foco,/ animate d’un spirito gentile/ ch’è creatore d’ogni pensier bono» (Convivio, III).

In proposito, consiglio di guardare i diversi video a lei dedicati, e pubblicati in Youtube,  come questo, che proviene dal Meeting del 2008 (ci sta ora che siamo nella settimana della sua 44ma edizione):

Quarant’anni fa il suo cuore la portò ad aiutare i giovani disorientati e ostaggio delle più distruttive dipendenze, offrendo a migliaia di loro un’àncora di salvataggio, un assaggio di Paradiso: La Comunità Cenacolo. Opera benedetta dalla Provvidenza, soprattutto se consideriamo che essa è diffusa a livello internazionale, riconosciuta dalla Santa Sede e con famiglie di sacerdoti e di suore consacrati; e se consideriamo questo secolo, così caratterizzato dall’indifferenza nei confronti della Verità e dei suoi cammini di redenzione e liberazione. Come asseriva Bernanos (75 anni fa il suo “Dies Natalis”) in “La Francia contro la civiltà degli automi”, una profetica (del ‘47) riflessione su tecnica, libertà e Verità:

«La grande disgrazia del mondo non è di mancare di verità; le verità ci sono sempre, il mondo ne ha sempre lo stesso cumulo, disgraziatamente non sa più servirsene o, per meglio dire, egli non le vede. Non vede nemmeno le più semplici, quelle che lo salverebbero. Non sa vederle, perché ha chiuso davanti a loro non la sua ragione, ma il suo cuore».

Ci ha mostrato, e ce lo ricordano tuttora le molte Comunità Cenacolo (dove la medicina più importante è il Santissimo Sacramento), sparse per il mondo, che l’Amore e la Verità non possono mai essere separati, e che talvolta la apparente durezza della verità è la premessa di un amore che salva. Una vita che ricorda quella di Sant’Agostino: l‘esperienza personale diventa simbolo universale.

Pertanto, non angustiamoci se non vi è stata la grancassa mediatica per il suo congedo. Sono sicuro che non le è dispiaciuto, dacché sapeva che la vera festa è al di là di questo mondo. D’altronde, una frase attribuita al Santo Curato d’Ars invita a non fare troppo rumore in presenza di Dio, poiché Egli ci sente benissimo.

Il 10 agosto, anche Michela Murgia si è congedata da questo mondo, pochi mesi dopo aver annunciato di avere un carcinoma renale. Le va riconosciuto il coraggio e la dignità mostrati durante la malattia e di fronte alla propria morte. Ella era un personaggio pubblico, che aveva iniziato da una lunga gavetta: portiere di notte, impiegata in un call center (esperienza raccontata nel suo romanzo di esordio “Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria”) per la Kirby Company, multinazionale americana, e insegnante di religione nelle scuole medie. Nel mentre è stata anche socia di Azione Cattolica, sino a ricoprire nei primi anni del 2000 il ruolo di incaricata regionale giovani della Sardegna.

E qui sorgono i problemi. Che sia stata dirigente AC, che abbia pure scritto in “Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna”: “Sono sempre stata convinta che l’educazione cattolica abbia ancora un ruolo fondamentale nel fornire chiavi di lettura al nostro mondo, e anche quando crescendo molti abbandonano le convinzioni di fede o quando non le hanno mai avute, quell’imprinting culturale non viene meno, anzi continua a condizionare il nostro stare insieme da uomini e donne con tanta più efficacia quanto meno viene compreso e criticato”, certo, sono cose importanti; però, osannarla, quasi fosse stata una sorta di “dottoressa della Chiesa”, come hanno fatto molte persone (cattoliche e non), mi sembra quanto mai temerario. Sia perché non esiste una scuola guida che rilasci patenti di cattolicità: è la dottrina che aiuta a capire se si è dentro la Chiesa o fuori; sia perché non sembra aver avuto una fede limpida, come quella di suor Elvira.

Qui, è lungi la pretesa di giudicare quel che poteva pensare nel profondo della propria coscienza (lì affari suoi e del Padre Eterno). L’attenzione è focalizzata su quel che ha lasciato, attraverso la sua propaganda, e che con la dottrina cattolica confliggeva. Lo dimostrano la visione antropologica e teologica che sosteneva.

La Murgia, per quanto credente con le sue opere si è opposta alla Chiesa e si è fatta portavoce della mentalità contemporanea anti-cattolica, e quindi anti-umana. Lo dimostra il pensiero ferocemente fazioso, derisorio e blasfemo che esprimeva. Chi non la pensava come lei (compresi quelli che sarebbero dovuti essere suoi fratelli nella fede) era un “nemico”. Lei appoggiava l’aborto, il suicidio assistito, il cosmopolitismo, l’affitto dell’utero, la lotta contro il matrimonio e la famiglia (non c’è da stupirsi, se lo scorso 15 luglio si è unita civilmente, attraverso il c.d. matrimonio “queer”). E ciò, per quanto lo negasse con sdegno, è stare dalla parte del potere anti-umano odierno. Potere che si riflette nella sinistra neoliberista, prodotto del marxismo culturale, parte di quel partito radicale di massa di cui ci parlava Augusto del Noce negli anni ‘70 e ‘80. Insomma, la sinistra – come asserì il politologo François Burgat – è “uscita dalla storia attraverso la stessa porticina dalla quale è rientrata nel circolo dei poteri autoritari”

Senza dimenticare i concetti con i quali ha stravolto la dottrina cattolica. In “God Save the Queer” parla di un Gesù queer: “La queerness, come pratica della soglia, è adatta a ragionare di un Dio trino che nella persona di Cristo ha detto ai suoi di essere la porta”. O, ancora, quando parlò di un Dio-madre (termine caro anche agli occultisti, quali Valentine de Saint Point) nell’intervista con Emanuela Citterio per la rivista Jesus, nel giugno del 2019. E in un’intervista su Repubblica definiva la Trinità “due uomini e un uccello”.

Mentre nel Natale 2022, attraverso La Stampa (eh, già, sono lontani i giorni in cui sulla testata di Giannini scrivevano credenti del calibro di Carlo Bo), si scagliò contro il Natale di Gesù (presepio compreso), considerandolo una “bambinata”. Scrisse che tale Festa è l'”idealizzazione dell’infanzia, costruendo intorno alla nascita una retorica di tenerezza zuccherosa priva di riscontro biblico”. Nello stesso articolo, liquidò anche come “mistificatorio” le parole del canto “Dio si è fatto come noi per farci come Lui”, definendolo – erroneamente “un canto di Avvento post-conciliare”. Quando, in realtà, è un “calco canoro” del “Si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che le è lui stesso” (Adversus Haereses, (libro V, prefazione), tra i più importanti assiomi teologici di tutti i tempi, a opera di Sant’Ireneo di Lione. Ecco, di sicuro uno che non era avvezzo alle bambinate.

Certo, il cattolicesimo è per l’“et et” e non l’“aut aut”. Però, in questo caso si può scrivere di essere andati troppo oltre.

Nell’ultimo mezzo secolo, l’Azione Cattolica ha favorito la crescita di personalità non molto – se non proprio senza – in linea con la Chiesa; si può pensare, oltre alla Murgia, a Umberto Eco, a Gianni Vattimo. Dunque, non è forse arrivato il momento di ripensare la formazione e il percorso di fede ivi proposti, oltre la troppo travisata (perché ambigua) “scelta religiosa” di Bachelet, la quale ha generato mostri quali “i cattollici adulti”?

Un’ultima considerazione. Colpisce che suor Elvira e la Murgia sianosi congedate da questo mondo nello stesso periodo. Si trovano insieme, in tale articolo, non a caso. Sembrano, per il loro apparire l’una l’opposto dell’altra, certe coppie di personaggi delle opere di un grande scrittore inglese, J.R.R. Tolkien (il 2 settembre ricorrerà il 50nario del suo “dies natalis”), che rappresentavano degli opposti (Gandalf/Saruman, Frodo/Gollum etc). Essi, proprio perché riflettono la realtà alla quale attingeva l’autore (il mondo primario, quello in cui viviamo), non sono – come pretendono certe interpretazioni manichee – né neri né bianchi, bensì “grigi”. Tutto il Creato (uomo e donna compresi) è nato dal e per il Bene; però, a causa della “caduta”, l’uomo si ritrova a dover continuamente scegliere (frutto del libero arbitrio) tra quel Bene per cui è nato e l’ombra passeggera  ma presente fino alla fine dei tempi, come gramigna.

Quindi, in quei “doppi” si concentra quel che una delle due sarebbe stata, se avesse scelto o il Bene, o il male. Eh, sì, Suor Elvira avrebbe potuto essere una grande ribelle, provata da un padre con una forte dipendenza dall’alcol, ma non cedette, trovando nella sua difficile situazione aiuti per la realizzazione della sua vocazione; e la Murgia avrebbe potuto avere meno riserve nei confronti della Chiesa e di Dio Padre, andando oltre le ferite infertele da un padre violento. Questo la dice lunga su come non siano scontai il bene e il male che possiamo fare; non viviamo in una realtà dove tutto è già stato deciso…

Orbene, non resta che sperare che abbia meritato e accolto la Misericordia di Dio, mettendo da parte l’orgoglio di intellettuale angagée.

Daniele Barale
Daniele Barale

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