Il Papa osa il “partito della pace”, ma il mondo sceglie (ed è) Barabba. Lo “scandalo” della stazione della via crucis con le famiglie russa e ucraina

Il Papa osa il “partito della pace”, ma il mondo sceglie (ed è) Barabba. Lo “scandalo” della stazione della via crucis con le famiglie russa e ucraina

15 Aprile 2022 0

La potenza disarmata e disarmante della pace, si potrebbe dire parafrasando quanto Albert Camus scriveva a proposito dell’accedere della grandezza per un uomo, non conquista la scena “a forza di scrupoli”. Lo sa bene papa Francesco, il principale maieutico leader del “partito della pace”, che proprio per questo sceglie di far parlare i gesti. Non temendo “lo scandalo” che essi posso provocare. Come ci è già capitato di richiamare da queste colonne virtuali, d’altronde: “la pace non è la virtù degli imbelli” (Emmanuel Mounier).

Solo stando con vero realismo di fronte all’assoluta coerenza del suo muoversi durante questo conflitto russo-ucraino, cioè fuggendo tanto la retorica bellicista quanto il facile e irenico pacifismo indifferente, si può comprendere anche il più recente passaggio di questa sua costante azione: la scelta di affidare il commento della tredicesima stazione della via Crucis al Colosseo, insieme, a una famiglia ucraina e di una russa (che congiuntamente porteranno anche la croce verso la penultima sosta di quest’immersivo cammino orante tanto caro alla pietà popolare). La tredicesima stazione è considerata una delle più strazianti del percorso: rappresenta il momento in cui Cristo è deposto dalla Croce ed il suo corpo viene riconsegnato alla Madonna.

“La vita sembra perdere di valore. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”. È questa la conclusione della meditazione che risuonerà. “La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi”, si legge prima, “L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno, l’andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore. ‘Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota? Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.

Non sono mancati i commenti fortemente negativi rispetto a questo intenso riaffermare che deve essere “qui e ora” lo spazio per la riconciliazione e il perdono. Tra questi, che il dramma che il popolo ucraino sta affrontando può rendere comprensibile ma non giustificabile, quello dell’ambasciatore di Kiev presso la Santa Sede. “L’Ambasciata – ha twittato Andrii Yurash – capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità sull’idea di mettere insieme le donne ucraine e russe. Ora stiamo lavorando sulla questione cercando di spiegare le difficoltà della sua realizzazione e le possibili conseguenze”. Al diplomatico ha prontamente fatto seguito l’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk“Considero questa idea inopportuna e ambigua, non tiene conto del contesto di aggressione militare russa”, ha con rudezza sostenuto il Primate dicendo di avere trasmesso alla Santa Sede “l’alta indignazione degli ucraini di tutto il mondo”, e le reazioni negative di vescovi, preti, monaci, monache e laici, convinti che i gesti di pacificazione “tra i nostri popoli saranno possibili solo quando la guerra sarà finita e i colpevoli dei crimini contro l’umanità saranno condannati secondo giustizia”.

Parole nette che hanno portato padre Antonio Spadaro, gesuita direttore della “Civiltà Cattolica”, a tentare una relativizzazione/smorzamento della simbolica eloquente decisione del Santo Padre. Scrive quello che viene spesso giornalisticamente interpretato come un portavoce del Pontefice: “Occorre comprendere una cosa: Francesco è un pastore non un politico. Agisce secondo lo spirito evangelico, che è di riconciliazione anche contro ogni speranza visibile durante questa guerra di aggressione definita da lui sacrilega”.

La Chiesa è il super-politico “partito della pace”

Un depotenziamento giustamente criticato dal direttore di Tempi Emanuele Boffi, che sul sito del giornale ha, al contrario, definito “super-politico” il gesto del Papa. Specificando che “È un gesto “super”, che è, al tempo stesso, politico e “più” che politico. Perché questa è la natura stessa del cristianesimo: avere a che fare con l’umano, fino alle sue estreme brutture, miserie, atrocità e, al tempo stesso, indicare una via di verità e perdono che incide sulla carne, la vita e la storia (cioè la politica) dell’uomo di ogni tempo”.

Nello stesso articolo si ripropone la celebre provocatoria espressione del cardinal John Henry Newman, portato alla gloria degli altari proprio da papa Bergoglio: “la Chiesa è un partito”. L’unico vero “partito della pace”, nel caso, aggiungiamo noi. 

Vale concedersi un’inusuale doppia citazione, per chiarire il senso dell’espressione partito. 

Scrive il grande convertito dall’anglicanesimo: “Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi. Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo. Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche (…)” e “Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. È vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli” (da “Gli Ariani del IV secolo” e “Conseguenze del Concilio di Nicea”).

“Barabba, Barabba!”

Il mondo, invece, sceglie (ed è) Barabba. Almeno nella lettura che ne fece lo scrittore svedese Pär Lagerkvist, nel suo omonimo capolavoro: “Non sa da dove gli venga la salvezza perché ignora tutto di se stesso, si muove come uno straniero in una terra nella quale il cristianesimo comincia già germogliare” (Davide Rondoni).

Il nostro mondo sembra veder sfiorire il cristianesimo, eppure esso è sempre capace dello stupefacente accadere come “rosa d’inverno”.

Quando ci sembra giusto, perché consonante a una facile/meccanica lettura indotta dei fatti, non è detto che lo sia per davvero. Serve il fascino delle cose vere (per davvero!). Come questo “scandalo” che chiede di prendere la scomoda parte della pace. Invitando a guardare negli occhi la sconfitta di ogni trionfalismo ideologico, il Papa osa il “partito della pace”.

Marco Margrita
Marco Margrita

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