Il debito pubblico italiano. La storia, la genesi, le cause e i problemi ma esiste una soluzione?

Il debito pubblico italiano. La storia, la genesi, le cause e i problemi ma esiste una soluzione?

5 Luglio 2023 0

Proviamo ad analizzare la dinamica del debito pubblico italiano e a capire meglio i suoi andamenti. Allo stesso modo, vediamo in quale misura essi siano dipesi da fattori esterni non controllabili e da fattori interni come le politiche attuate per raccolta del consenso popolare, che hanno fatto  esplodere la spesa corrente. A tal fine è necessario guardare la storia nei grafici sotto allegati.

In particolare, i grafici coprono il periodo storico dall’unità d’Italia ad oggi. Si può vedere subito come fino alla fine della Seconda Guerra mondiale gli andamenti siano legati all’effetto di un lungo periodo bellico. Durante il percorso della formazione dell’unità nazionale, il Paese affronta le spese di compensazione tra Settentrione e Meridione, e tra il 1861 al 1870 il debito sul PIL passò dal 45% al 96% per poi stabilizzarsi al 70%. Negli anni successivi però salì al 95%: erano i costi della ricostruzione dell’unità di un Paese con due storie profondamente diverse e sotto certi aspetti il Sud perse risorse a favore del Nord.

Come si vede nel grafico, la posizione del debito salì a ridosso del nuovo secolo per raggiungere il 120% del PIL e decrescere all’80% prima della Prima Guerra mondiale fino quasi al 1917.

Gli effetti della Prima Guerra mondiale 

La partecipazione al conflitto fu devastante per le finanze del Regno, portando il debito al 160% al termine delle ostilità e all’avvio nei primi anni Venti del periodo fascista, che fece una politica monetaria di difesa della lira. La quotazione della lira venne fissata alla cosiddetta “quota 90”: in sostanza, una sterlina era l’equivalente di 90 lire.

Le scelte monetarie furono nel senso di favorire le importazioni. Fu anche inaugurato un ampio ricorso alla produzione interna e alla raccolta di risparmi per difendere la lira, che veniva attaccata sui mercati internazionali scontrandosi per la prima volta con le dinamiche manipolatorie delle speculazioni finanziarie.

Le drammatiche conseguenza della Seconda Guerra mondiale

La Seconda Guerra mondiale lasciò la nazione in una drammatica situazione di sconvolgimento sociale (gli strascichi di una guerra civile), politico (il passaggio dalla monarchia alla repubblica) e infrastrutturale (gli immensi danni alle componenti edilizie e produttive). Il Piano Marshall e soprattutto la potente voglia di riscatto del Paese  portò il debito dal 100% del PIL al 35% nel 1961; erano passati soltanto  17 anni dalla fine del conflitto, ma l’Italia era già pronta per una rinascita economica e monetaria.

Il dollaro era scambiato a 625 lire, il petrolio costava 4 dollari al barile e l’inflazione era sotto il 4%; la classe media si arricchiva e metteva – come si diceva in campagna – il fieno nel fienile per creare la più grande ricchezza privata al mondo, così come è ancora oggi. Tuttavia si preparava la rivoluzione finanziaria del 1971, che avrebbe creato la prima destabilizzazione monetaria del dopoguerra.

LA fine del Gold exchange standard

Nel 1971 Nixon dichiara la fine del “Gold exchange standard” e della la convertibilità del dollaro in oro; la rivoluzione finanziaria di cui continuiamo a sentire e a subire gli effetti ancora oggi fece saltare gli equilibri monetari ed economici italiani per una crisi indotta dagli USA.

Per mantenere la stabilità del dollaro Washington inventò il petrodollaro ed il regime SWIFT, entrambi nel 1973. Sul Paese si abbattè una tempesta monetaria e inflattiva che portò il dollaro a valere 2350 lire, il petrolio a 40 dollari al barile e l’inflazione al 24%. Il tesoro si svenerà per coprire il debito indotto, emettendo BOT al 20% per favorirne la collocazione.

Gli italiani pensarono di essere diventati ricchi, mentre si stanno progressivamente indebitando finendo nelle mani di una finanza che diventerà sempre più predatoria. Il debito sul PIL passa dal 35 % del 1971 al 115 % del 1991. Possiamo dire che un quota del debito pubblico è stata determinata dalla politica monetaria che ci è stata imposta: forse potremmo quantificare in un 25% la parte di debito generata a nostro sfavore e, se avessimo la forza politica di dibattere il tema, potremmo già dire che una quota di quel debito non dovrebbe essere considerato ai fini di una corretta determinazione del rapporto debito/PIL, ma al netto del debito finanziario indotto.

La rincorsa ai parametri di Maastricht

Senza avere avuto il tempo di riprendere i sensi dopo il dramma del petrodollaro, nel 1991 si abbattè sull’Italia una seconda ondata speculativa per effetto dell’attacco di Soros alla lira, che fece svenare Bankitalia. Ecco che si ebbe il secondo shock monetario, che portò il governo Amato al prelievo notturno sui conti correnti degli italiani per fare fronte al gioco di Soros.

Al fine di ridurre l’indebitamento per rincorrere i parametri di Maastricht, si svendettero sul Britannia le aziende di Stato per fare cassa. Comincia la corsa al debito pubblico. Nel frattempo, la politica sempre più indebolita ricorre alla spesa sociale per ridurre il malcontento e si creano le pensioni baby, per la gioia di tanti che percepiscono la pensione con pochissimo lavoro. Purtroppo saranno le generazioni future a ricevere sulle spalle il peso del rimborso e dei rischi dei tassi di interesse crescenti.

Il grande esperimento chiamato “euro”

La sperimentazione dell’euro nel 2000 ci fece sperare l’uscita dal tunnel del debito. Tuttavia, poco dopo l’inizio del nuovo secolo la finanza senza limiti imposta dalla FED, che crea carta moneta dal nulla e la distribuisce a un tasso prossimo allo zero, prepara il dramma di Lemhan nel 2008. Gli USA vengono scossi sulla loro strategia di puntare tutto sulla finanza e delocalizzare in Cina la manifattura, la cui mancanza ora li sta strangolando.

Il ballo della finanza viene avviato senza freni e nel 2011 il Paese subisce l’ennesimo attacco monetario con un sistema predatorio: viene attaccato il rating e innalzato lo spread, e il debito in tre anni passa da 1830 mld/euro a 2130 mld/euro e di conseguenza il debito raggiunge i 133% del PIL. Anche in questo caso, la reale dimensione del debito pubblico dovrebbe essere considerata al netto dell’attacco della finanza priva di ogni fondamento scientifico.

Un problema affrontato da chi l’ha creato

Ora siamo a raccattare quello che abbiamo seminato e quello che ci hanno scaraventato addosso con i problemi di riduzione del debito. Abbiamo un sistema di controllo contabile che fa acqua da tutte le parti: ma se non abbiamo sotto controllo la spesa, diventa difficile attaccarla e questo è un problema che sta portando allo scontro il governo e la Corte dei conti. Però è del tutto evidente che non possiamo risolvere il problema con lo stesso modello culturale che l’ha creato, quindi servono riforme serie e non di facciata.

È necessario italianizzare il debito (così come ha fatto il Giappone): portare la maggiore parte del debito in mani italiane e sottrarlo alla incontrollabile speculazione finanziaria da cui dovremmo difenderci con l’aiuto dell’Europa. Oggi purtroppo la UE sembra la gabbia dei polli di Renzo. Senza una vera azione di controllo della finanza siamo destinati a scontrarci con il caos.

Legare il debito all’oro

Infine, possiamo proporre una soluzione innovativa basata sulla possibilità di rendere appetibili i nostri Buoni del Tesoro legando alcune emissioni particolari ad una percentuale di oro definita: potrebbe essere una quota del 20% di buoni legati parzialmente all’oro.

Noi siamo tra i Paesi a maggiore deposito di oro, ma metà è nelle riserve interne e metà è depositato all’estero negli USA presso la FED; si potrebbe emettere così buoni del tesoro vincolati al 20% all’oro depositato presso la FED come maggiore garanzia di solvibilità rispetto a quella in discussione del nostro Paese. I Buoni del Tesoro legati all’oro presso la FED potrebbero godere di un rating simile alla tripla AAA ed essere collocati facilmente sul mercato finanziario  e certamente più collocabili anche sul mercato interno.

Un Rating fuori da ogni logica

Certo, sono solo proposte. Ma dobbiamo iniziare a scegliere vie alternative, altrimenti rimaniamo sudditi di una finanza di rapina che ci punisce indebitamente, come possiamo vedere dal rating attribuitoci che è prossimo alla tripla BBB, pur avendo una struttura economica e finanziaria delle famiglie italiane di gran lunga migliore di quella degli USA, in cui il debito familiare è al 100 % del PIL come è al 7 % del PIL il debito degli studenti. Ma come si spiega che gli USA alle prese con un debito “monstre” abbiano la trippla AAA e noi invece siamo all’opposto ?

Se proviamo a rispondere a questa domanda, forse qualche via di uscita dal caos imperante riusciremo a vederla.

 

 

Fabrizio Pezzani
Fabrizio Pezzani

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