Hassen Doss: “esportare talenti per sconfiggere il pregiudizio verso il mondo arabo”
“Non amo presentarmi, ma in poche parole, sono un tenore, un cantante d’opera. Faccio questo lavoro dal 2012. La mia prima opera è stata a Poitiers dove ho presentato “Rigoletto”, “Le nozze di Figaro” e poi “Don Basile”. Dopo Rigoletto, “Il duca di Manteau”, con la stessa produzione. Così è iniziata la mia carriera artistica e parallelamente quella di cantante popolare in Tunisia. Oltre all’opera, faccio i miei concerti, le mie canzoni. È questa la mia esperienza professionale nei confronti del grande pubblico. Quindi direi che sono un cantante lirico, un compositore, oltre che un cantante professionista”. Si racconta così Hassen Doss, il celebre cantante tunisino, reduce del recente successo di “Carmen” al Teatro dell’Opera della Città della Cultura di Tunisi. Non solo musica e talento, ma anche la consapevolezza del ruolo sociale dell’arte, ancor più in questo particolare momento storico
“È stata una bellissima esperienza realizzare ‘Carmen’ – racconta – felice di avere dei colleghi che cantano l’opera in Tunisia, perché dieci anni fa ero solo. Sono molto felice di cantare con Maram, con Nasrine e tutti gli amici. Penso già che abbiamo fondato qualcosa, una tradizione operistica in Tunisia. Visto il numero di spettatori che c’erano, visto il progetto che secondo me è molto buono, promettente per il futuro. Vedo che potremmo fare molte cose anche meglio di così e spero che continuerà”.
Qual è il messaggio trasmesso dal suo personaggio, Don Josè, nell’opera “Carmen”?
“Il ruolo di Don José che ho interpretato in “Carmen” è davvero importante, forse più centrale di quello della stessa Carmen che dà il titolo all’opera. Don José ha molto da cantare durante tutta l’opera. Questo non è un ruolo ordinario. Non è come ‘La Traviata’ o ‘Rigoletto’, ma rappresenta un ruolo fantastico per un tenore, ma anche altrettanto difficile. Un brigadiere piuttosto riservato, disciplinato, che ama troppo la madre. A cui ha promesso di prendere in mano Micaela.
Quindi una persona piuttosto normale, che somiglia un po’ all’uomo tunisino. L’uomo medio tunisino, di solito, è molto vicino a sua madre. È molto rispettabile, lavora e torna a casa. Sposerà una ragazza che sua madre gli ha proposto. Ecco chi è Don Josè, anche lui un po’ duro, macho, con molto carattere. Non è sottomesso alla donna. Per interpretare il ruolo di Don José ho ripreso questa tradizione tunisina e credo che abbia funzionato molto bene. L’unica differenza dall’opera originale è sul finale, non uccidendo Carmen.
Non ero d’accordo con questa variazione perché non volevo cambiare il lavoro di Bizet, che voleva che Carmen venisse uccisa alla fine dell’opera, ma in ogni caso è stata un’idea geniale far sì che Carmen non morisse continuamente. Anche perché non viviamo più in una società che uccide le donne. Rispetto troppo le donne per permettere che qualcuno la uccida, perché è stato lasciato dall’amata per qualcun altro.
Può semplicemente andarsene. Ma, in ogni caso, bisogna capire la storia. A quel tempo, Micaela aveva già 17 anni e all’epoca in cui è nata la “Carmen”, avrebbe potuto essere esposta ad altri ragazzi. Ma oggi, a 17 anni, si è ancora minorenni e sarebbe vitato dalla legge. All’improvviso mi guardò molto seriamente. È stata presa da questa pazza, questa zingara. È come una strega. Lei lo manipola. Ecco, Carmen è manipolatrice. Lo manipola ogni volta e Don Josè era molto timido, molto serio. Ecco perché il suo finale è triste: ha lasciato sua madre, Micaela, i valori giusti.
È un uomo che ha abbandonato i suoi buoni valori, si è allontanato dall’essere disciplinato, leale, fedele. Per tentazione, per desiderio. Don Josè ha scelto di andare nella direzione sbagliata. È triste, ma è questo il vero messaggio dell’opera. C’è molta filosofia”.
Qual è la sua relazione artistica con l’Italia e con l’opera italiana in particolare?
“Canto sempre italiano, anche nei miei concerti. Ho iniziato a cantare l’opera lirica grazie proprio alla lingua italiana, già al liceo. È stata una mia scelta apprendere l’italiano in quanto è una lingua che semplicemente amo. Per me è la migliore lingua del mondo. È musicale.
Mi sono lasciato sedurre da Pavarotti, da Bocelli ed è grazie a loro che ho scelto di cantare in italiano. Faccio opere, ho amici a Sanremo. Ho degli amici a Roma. Ho anche visitato Roma, Milano e Verona. Sebbene non abbia mai cantato all’Arena, il mio sogno è di cantare lì un giorno”.
Sappiamo che insegna anche canto ai giovani tunisini, come immagini il loro futuro di artisti in Tunisia?
“Penso che il futuro di ciascuno di noi dipenda solamente da noi stessi. Saranno loro a scegliere. Io ho osato fare delle cose. Ho osato creare, con il mio amico Taoufik Jebali, un grande uomo di teatro, molto conosciuto in Tunisia, una scuola di canto e teatro che permette semplicemente ai giovani di conoscere l’opera, cantare e recitare allo stesso tempo. Oggi vedo giovani e adulti che cantano nel coro. Ho molti tirocinanti, persone che hanno cantato nel coro della “Carmen” compresi due solisti. Storicamente parlando, credo di essere stato il primo tenore in Tunisia. Ci sono stati tenori stranieri, ma non tunisini prima di me.
Già, fare un’opera come la “Carmen”, con una produzione e uno staff interamente tunisini è una novità. Quando ora vediamo la gente, i tunisini che vengono a vedere due concerti, con la seconda data con quasi il doppio del pubblico, credo che questo sia la migliore risposta alla sua domanda. La gente lo adora. La gente vuole l’arte, un’arte un po’ di classe o elevata per utilizzare il termine esatto. Un’arte completa che cambia dalla musica folk, il rap o qualcosa del genere. Il pubblico ama la cultura della musica sinfonica, dei cantanti d’opera, del balletto, della recitazione.
Sono certo che esiste un mercato per questo, forse con più opportunità che in Europa, dove ormai solo gli anziani vedono l’opera. Ricordo quando ero a Monaco, all’Opera di Monaco, molto conosciuta in tutto il mondo, il pubblico era molto adulto. Ma qui, l’opera ha attratto i giovani, uomini e donne normali, di ogni estrazione. Questo credo che permetterà a me, o ai miei colleghi, di creare scuole di canto dove potremmo, eventualmente, formare altri cantanti di successo in futuro”.
Ma quali ostacoli incontra un artista tunisino? Avete difficoltà a viaggiare in Europa?
“Naturalmente è sempre difficile. Moltissimi giovani sono costretti a lasciare il Paese ed emigrare illegalmente. Anche per me è ancora umiliante ogni volta dover richiedere un visto per andare a cantare in un altro paese. È imbarazzante. Per esempio, ho fatto dei concerti a Parigi, all’Umbra, al New Morning. Sono stanze molto rinomate e prestigiose. Patrick Buelle ha cantato lì.
Anche quando facevo l’opera solo con francesi, ho dovuto fare domanda per un visto. Ecco, devi aspettare. Non è normale, in realtà. Perché normalmente qualcuno dovrebbe aiutarmi ad andare. Dovrebbero essere felici di lasciarmi cantare. Ma questo è il problema del visto, soprattutto per gli artisti. Gli stessi che trasmetteranno un’immagine positiva del proprio Paese. È sempre complicato, costoso farlo. Se un giorno dovrò cantare in Italia, dovrei essere facilitato. Non sono un terrorista. Per i ladri, i criminali, i terroristi, serve un visto. Ma per un tenore, non credo che ci saranno problemi”.
Che ruolo ha l’arte in questo delicato momento storico caratterizzato da grandi conflitti, in Ucraina e in Medio Oriente?
“Negli Stati Uniti, a New York, ho parlato proprio di questo argomento, l’impatto dell’arte in una società. Credo che l’arte abbia un ruolo fondamentale oggi per cambiare alcune idee che esistono nel mondo. Un tenore arabo che canta cambierà radicalmente il pregiudizio diffuso di un arabo terrorista con la barba che molti hanno. Ma quando vedono, ad esempio, la tennista, Ons Jabeur, cambiano idea. Ecco questo è ciò di cui il mondo ha veramente bisogno. Abbiamo bisogno di donne e uomini che dimostrino che non siamo solo barbari, terroristi o persone inferiori.
Siamo secondi al mondo nel tennis, siamo un tenore che canta molto bene, che esporta emozioni. Quindi abbiamo davvero bisogno di arte, di talento. Dobbiamo esportare talenti nel mondo, almeno per cambiare queste idee di inferiorità. Oggi con Facebook, Instagram, con l’avvento del digitale, di fatto non ci sono più barriere e non ci sono più visti. Non abbiamo più bisogno del visto per vedere Roma. Delle vecchie barriere di tipo europeo, infatti, non abbiamo più bisogno. In realtà abbiamo bisogno di amarci e rispettarci, tutto qui. Quindi se oggi faccio bene le cose è quasi grazie alla vostra cultura, in effetti.
Per questo la rispetto, come rispetto ogni cultura nel mondo. Allo stesso modo, pretendo rispetto, per me e per la mia arte. Questo è il messaggio che voglio condividere nel mondo”.
Progetti per il futuro?
“Effettivamente ho solo un progetto: condividere la mia arte con il mondo. Ho finito ora di incidere il mio nuovo album. Si chiama “Mosaique” perché come in un mosaico c’è l’italiano, il francese, lo spagnolo, il tunisino, il libanese. Del resto, il mosaico è la Tunisia. Abbiamo la più grande collezione di mosaici al mondo. È come un puzzle, in cui tanti piccoli pezzetti intagliati minuziosamente, sono disposti in modo preciso uno con l’altro, a formare un’immagine. È un mosaico culturale con molte lingue.
Il tunisino d’altronde ama le lingue. A me non piace parlare solo in tunisino o solo in arabo. Adoro comunicare in francese, in italiano, in inglese ovviamente. Proprio perché voglio trasmettere al mondo un’immagine diversa dell’uomo arabo. Un’immagine che canta molto bene. Quando dico questo, non voglio dire che sono un bravo cantante, ma intendo dire che canto cose belle culturalmente…con un messaggio. Quando lo ascolti, vedi una bellissima immagine dell’artista o del Paese di quell’artista”.
Vanessa Tomassini è una giornalista pubblicista, corrispondente in Tunisia per Strumenti Politici. Nel 2016 ha fondato insieme ad accademici, attivisti e giornalisti “Speciale Libia, Centro di Ricerca sulle Questioni Libiche, la cui pubblicazione ha il pregio di attingere direttamente da fonti locali. Nel 2022, ha presentato al Senato il dossier “La nuova leadership della Libia, in mezzo al caos politico, c’è ancora speranza per le elezioni”, una raccolta di interviste a candidati presidenziali e leader sociali come sindaci e rappresentanti delle tribù.
Ha condotto il primo forum economico organizzato dall’Associazione Italo Libica per il Business e lo Sviluppo (ILBDA) che ha riunito istituzioni, comuni, banche, imprese e uomini d’affari da tre Paesi: Italia, Libia e Tunisia. Nel 2019, la sua prima esperienza in un teatro di conflitto, visitando Tripoli e Bengasi. Ha realizzato reportage sulla drammatica situazione dei campi profughi palestinesi e siriani in Libano, sui diritti dei minori e delle minoranze. Alla passione per il giornalismo investigativo, si aggiunge quella per l’arte, il cinema e la letteratura. È autrice di due libri e i suoi articoli sono apparsi su importanti quotidiani della stampa locale ed internazionale.