Investimenti e debito: un dilemma cornuto

Investimenti e debito: un dilemma cornuto

1 Marzo 2024 0

Mario Draghi, incaricato di stilare il rapporto sulla competitività dalla Commissione UE, ha incontrato all’Eurocamera i presidenti delle commissioni parlamentari. La strada da percorrere per recuperare la nostra competitività è complessa, in particolare in termini di mobilitazione del massiccio fabbisogno di investimenti, ha spiegato Draghi che ha sottolineato la necessità di essere competitivi per mantenere i nostri sistemi di welfare e preservare i valori fondamentali europei.

L’ex premier ha chiesto di ritrovare la capacità di agire collettivamente e per l’interesse collettivo. In particolare ha evidenziato come siano necessari importanti investimenti nell’ordine di 500 miliardi di euro per recuperare la competitività e quanto siano determinanti gli investimenti di capitale privato in questa massiccia dose d’urto al rischio di una decadenza sia economica che sociale.

Un richiamo da collocare nel momento storico

Il richiamo si colloca in un periodo storico molto particolare per la sua straordinarietà, perché non ci troviamo di fronte a una crisi ordinaria, bensì completamente nuova per il contesto geopolitico in veloce cambiamento. Coniugare investimenti e risanamento del debito pubblico, mantenendo i sistemi di Welfare di fatto assenti nell’economia degli USA con cui siamo chiamati a confrontarci, sembra — e forse lo è — un dilemma cornuto: cioè una forma di argomentazione nella quale si stabilisce, in generale, un’alternativa tra due ipotesi da ciascuna delle quali deriva la conseguenza, affermativa o negativa, che si vuol dimostrare.

La posizione dell’Italia

La posizione dell’indebitamento dei vari Paesi è diventata rilevante per tre ordini di motivi, di cui il primo è legato a una politica finanziaria che ha favorito la stampa di carta moneta e la speculazione fuori controllo, che spinse lo stesso Draghi ad azioni di contenimento delle manovre finanziarie speculative sull’euro con il noto whatever it takes; era il sintomo di una guerra tra Paesi fatta con la finanza.

Il secondo motivo è legato allo sforzo delle varie economie per temperare il flagello del Covid, che ha messo sotto pressione tutti i sistemi sanitari e finanziari. Infine la terza causa dell’indebitamento deriva dalla conseguenza delle sanzioni imposte dalla guerra in Ucraina, in particolare le spese energetiche, gas e luce, che hanno avuto un innalzamento importante che ha a sua volta determinato anche un processo inflattivo. Come ha ricordato lo stesso Draghi, il costo energetico europeo è molto più alto di quello degli USA, che sono stati toccati marginalmente dalle sanzioni e questo ha effetti sui costi di produzione e sulla loro competitività.

In particolare il nostro Paese ha avuto una crescita del debito che si avvicina ai 2850 miliardi di euro e il cui contenimento diventa un’azione primaria di risanamento nazionale, che limita fortemente l’azione di rilancio degli investimenti e che potrebbe diventare un boomerang devastante. Conciliare le due necessità sembra appunto un dilemma cornuto. Il debito pubblico italiano è cresciuto in gran parte per la spesa corrente e non per investimenti: si è quindi creata una modalità di raccolta del consenso politico e generata una dannosa collusione tra politica e interessi privati, portando spesso a investimenti improduttivi. Per fare una politica di investimenti a rendimento interessante — tale da attrarre capitali privati – è indispensabile operare sui sistemi di controllo, che a causa della collusione sopra citata sono stati troppo spesso mal gestiti ed inefficaci.

L’Italia non è il solo Paese ad avere una posizione debitoria elevata, perché non stanno meglio gli altri Stati dell’eurozona – Francia, Germania, Spagna, Grecia — e quindi l’invito all’investimento deve scontare la debolezza strutturale dell’indebitamento europeo e garantire una redditività non facilmente realizzabile in un contesto di debolezze strutturali e di conflitto geopolitico che conferisce insicurezza agli stessi.

Una Ue più scritta nella carta

L’altro richiamo di Draghi è legato a recuperare il senso del bene comune ed il riferimento allo sforzo collettivo ne è una dimostrazione; ma qui scontiamo i limiti di una UE più scritta sulla carta che realizzata nella pratica, in cui i vari Paesi membri sono spinti all’esercizio della difesa nazionale ed il tema dei migranti ne è la drammatica espressione. La mancanza di un’identità politica comune ha favorito una burocratizzazione che va, come richiama Draghi, riformata e questa è la vera sfida prima di pensare ad una poilitica comune di investimento, di welfare e di contenimento dei debiti pubblici.

Infatti, l’attenzione esasperata alla normazione anche di particolari irrilevanti ha trasformato in questo modo la governance dell’Unione Europea in un esercizio di eccessiva e finalistica burocrazia. Si è generato un apparato giuridico-burocratico assunto come norma assoluta, distante dalle singole realtà degli Stati membri, i quali si sono trovati a rincorrere nei dettagli una normazione fine a sé stessa che ha cancellato lo spirito profondo dell’Unione.

L’eccesso di euro-burocrazia

Di fatto la governance dell’Unione Europea si è burocratizzata esattamente come aveva criticato Max Weber sul rischio di una razionalizzazione delle procedure, che prendono il sopravvento sulle persone. La burocrazia è appunto, per Weber, una forma particolarmente pervasiva e per certi aspetti pericolosa di tale processo di razionalizzazione, giacché essa implica direttamente la gestione non tanto di oggetti, macchine o procedure, quanto piuttosto di esseri umani, i quali devono essere organizzati per conseguire finalità specifiche.

Per ritornare al titolo, gli investimenti ed il contenimento dei debiti sovrani sembrano veramente un dilemma cornuto senza un ripensamento profondo del senso di un’unione e di un’azione politica comune e condivisa.

Fabrizio Pezzani
Fabrizio Pezzani

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