Eurodeputati irlandesi bacchettano Unione Europea e NATO sull’Ucraina
A Dublino si discute ancora del recente intervento di due europarlamentari irlandesi che hanno bacchettato l’atteggiamento, a loro dire, ipocrita e guerrafondaio dell’Unione Europea sul conflitto in Ucraina.
I filo-UE di Irlanda si scandalizzano che qualcuno possa criticare ciò che Bruxelles fa o dice, ma vi sono ancora politici che propongono la diplomazia e il dialogo al posto delle sanzioni e della corsa agli armamenti.
Il ministro europeista si indigna
Il ministro dell’Edilizia abitativa Darragh O’Brien ha criticato in questi giorni le dichiarazioni di due europarlamentari irlandesi, che definisce “inquietanti”. Si riferisce in particolare alla loro visione dei rapporti con l’Ucraina, la Russia e la Cina. In breve, oltre a non essere abbastanza ostili a Mosca e Pechino, sono troppi freddi verso Kiev e addirittura contrari al rafforzamento (leggasi allargamento indiscriminato) dell’Unione Europea.
O’Brien specifica di non aver nulla di personale contro i due, ma dice di trovare brutto e assurdo che a Bruxelles vi siano politici irlandesi euroscettici o addirittura negativi verso la UE. Secondo lui, la loro posizione è diversa dalla stragrande maggioranza dei cittadini irlandesi, che sarebbero assolutamente e convintamente europeisti perché “vedono i benefici dell’Unione Europea”.
Il ministro probabilmente dimentica che a Strasburgo siedono esponenti nazionali che sono stati votati per le loro idee: se gli elettori li hanno scelti, significa che essi le condividono. Ma per lui è difficile accettare questa realtà, essendo tra l’altro il responsabile del partito Fianna Fáil per le prossime elezioni europee.
I rimproveri di Wallace
Ad aver scosso il ministro sono stati i connazionali Mick Wallace e Clare Daly, entrambi del partito Independents 4 Change che a Strasburgo confluisce nel Gruppo della Sinistra.
Qualche settimana fa, nel discutere sulle conseguenze ambientali del conflitto ucraino, hanno parlato in termini negativi dell’atteggiamento tenuto dall’Unione Europea. Il senso dei loro discorsi è il seguente: come si fa a prendere sul serio Bruxelles quando chiede ai cittadini europei sacrifici e impegno per la difesa dell’ecologia, mentre al tempo stesso sostiene una guerra che fa più danni ambientali di tutte le auto e i termosifoni della gente comune? Wallace dice:
In questa aula vi è solo un piccolo gruppo di contrari alla guerra. L’80 % di voi ha rigettato i nostri emendamenti per una maggiore diplomazia e per gli sforzi di portare la pace in Ucraina. Come possono quelle persone – che hanno votato per riversare decine di miliardi in armamenti per la continuazione di una guerra per procura della NATO – fingere adesso di avere a cuore gli effetti ambientali?
Che prima si parli dei “crimini ambientali” della NATO nei posti in cui è intervenuta militarmente, e poi potremo parlare di ecologia. Chi tiene all’ambiente non promuove la guerra è il rimprovero di Wallace, rivolto soprattutto al partito dei Verdi che in Germania ha espresso ministri favorevoli alla guerra e alla riapertura delle centrali a carbone.
Daly per la neutralità
Anche Daly non aveva risparmiato critiche taglienti all’atteggiamento della UE, ritenuto “ipocrita” e disastroso per la popolazione ucraina. Le previsioni dei pacifisti, sempre insultati e demonizzati, oggi si stanno rivelando giuste, dice. A proposito del sostegno europeo alla causa di Kiev aggiunge: Siamo passati dal “per tutto il tempo che serve” ad “abbastanza a lungo”: il tradimento occidentale che era nell’aria adesso è in pieno svolgimento e l’Ucraina viene costretta a pensare a condizioni di pace ben peggiori di quelle che poteva ottenere nell’aprile del 2022, quando invece venne forzata a combattere da suoi amici della NATO.
La Daly (come peraltro Wallace) ha sempre condannato l’operazione militare speciale della Russia, da lei definita come aggressione illegale. Non per questo ha smesso di denunciare la narrativa a senso unico del blocco euroatlantico, con cui tutte le colpe vengono scaricate su Mosca in modo che Bruxelles e Washington appaiono innocenti, anzi salvatrici.
Ha sempre insistito sul ruolo dell’Europa come mediatrice e pacificatrice, non come sponsor del riarmo e della contrapposizione totale con la Russia. Anche perché a farne le spese sono poi i semplici cittadini europei e ucraini. E il rischio è di vedere coinvolti anche i Paesi neutrali, sui quali NATO e UE stanno “facendo pressione”. Uno di essi è proprio la Repubblica d’Irlanda, che ha sempre avuto la neutralità fra i principi fondamentali della propria politica ed è uno dei cinque Paesi UE che non sono anche membri della NATO.
Nell’ottobre 2022 la Daly ha votato contro la risoluzione europea di supporto all’Ucraina, accusando gli effetti deleteri delle masochistiche sanzioni anti-russe e il linguaggio improntato all’escalation militare usato dai rappresentanti UE. Anche Wallace ha votato contro, dicendo che la maggioranza degli europarlamentari preferisce la guerra alla pace.
Contrari all’Ucraina nella UE
Daly e Wallace hanno fatto arrabbiare gli europeisti d’Irlanda anche votando contro l’accettazione di Kiev nell’Unione. Sono infatti convinti che l’Ucraina nella UE implichi l’ennesimo passo verso la sua trasformazione in avamposto militare della NATO e un’ulteriore sovrapposizione dell’Alleanza Atlantica alla struttura dell’Unione Europea.
Nel 2022, al momento del voto, non era semplice mantenere una posizione così ferma e coerente, perché che era ancora il periodo in cui i media occidentali usavano toni enfatici e drammatici nel descrivere l’epopea dell’eroico presidente ucraino. Per il discorso di Zelensky a Strasburgo in videoconferenza, Euronews riferiva dei parlamentari in piedi che lo applaudivano sventolando le bandiere giallo-blu, dei sostenitori che esultavano per strada e dell’interprete che piangeva nel tradurre il suo discorso commovente e appassionato. Ma per il presidente ucraino è ormai terminato il tempo della glorificazione: oggi le Istituzioni europee si mostrano molto più fredde e razionali.
Bruxelles spegne gli entusiasmi
Se da un lato gli esponenti europei fanno ancora concessioni politiche a scopi propagandistici (come il recente annuncio dei negoziati di adesione), dall’altro spengono subito i facili entusiasmi. La vicepresidente della Commissione Vera Jourova ha detto infatti che per far diventare l’Ucraina uno Stato membro “ci vorranno degli anni, anche se non dei decenni”. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha dichirato che Kiev potrebbe entrare nel UE entro il 2030 e “soltanto le entrambe le parti fanno i loro compiti a casa”.
Insomma, gli euroburocrati mettono le mani avanti: rimanano l’accesso dell’Ucraina a un futuro in cui non saranno più in carica, usano sempre il condizionale e specificano che Kiev ha ancora molto da fare e senza la garanzia di riuscirci. Bisogna ancora approvare e implementare le leggi sulla corruzione, sul riciclaggio, sulla giustizia, sulla libertà di stampa e via dicendo.
È l’inizio di un processo davvero difficile, e gli ucraini riferiscono di essere pronti, è il commento della Jourova. A Dublino si discute ancora del recente intervento di due europarlamentari irlandesi che hanno bacchettato l’atteggiamento ipocrita e guerrafondaio dell’Unione Europea sul conflitto in Ucraina. I filo-UE di Irlanda si scandalizzano che qualcuno possa criticare ciò che Bruxelles fa o dice, ma vi sono ancora politici che propongono la diplomazia e il dialogo al posto delle sanzioni e della corsa agli armamenti.
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