La speranza e i timori del vescovo di Homs Jacques Mourad per il futuro della nuova Siria
Vuoi che lo picchi per farlo camminare più svelto?
Parole taglienti come una lama, perché a pronunciarle era un baby jihadista di appena otto o forse nove anni, contro l’allora sacerdote delConvento di Mar Elian a Homs, Jacques Mourad. Oggi è vescovo della stessa città, situata nella zona centrale della Siria, la seconda ad essere presa al regime di Bashar al- Assad, dagli uomini di Ahmed al- Sharaa, in arte al-Jolani. In quell’espressione, messa nera su bianco sul libro biografico “Un monaco in ostaggio. La lotta per la pace di un prigioniero di jihadisti”, il germe dell’odio sanguinario trasmesso dagli uomini dell’Isis ai piccoli. Padre Mourad era stato rapito dalle milizie del Daesh il 21 maggio del 2015, mentre si trovava nel suo Convento. Trascorse cinque mesi in mano ai “tagliagole”, che gli usarono violenza psicologica e fisica, prima che riuscisse a fuggire e a mettersi in salvo. Zoppicava per i colpi violenti ricevuti al ginocchio e quel bambino col fucile in mano voleva infliggergli altra sofferenza.
Califfato e Damasco sconfitti
Sono passati nove anni da allora. Il Califfato è stato sconfitto, così come il regime di Damasco, messo al tappeto da una coalizione di gruppi di oppositori, capeggiata da Hayat Tahrir al-Sham (Hts). Con un Medio Oriente in fiamme, il fronte aperto della guerra di Israele contro Hezbollah libanese, iracheno e Teheran, sostenitori del deposto presidente Assad, i ribelli si sono visti spianare la strada verso la conquista del Paese.
Il governo provvisorio sin da subito ha rassicurato che la Siria non sarà come l’Afghanistan dei talebani, ma resta la preoccupazione per l’esclusione di alcune componenti religiose, etniche e politiche nel complicato processo di rinnovamento del Paese levantino. Ne abbiamo parlato con il vescovo di Homs, Jacques Mourad, che ci ha fornito la sua versione e la speranza che si arrivi ad una pace giusta, che includa tutti.
Sin dall’inizio di questo cambiamento, sono stato ottimista e sento di aver la forza per costruire insieme una nuova Siria, accettata da tutte le comunità. Ma allo stesso tempo, temo che di fatto non sia così. Anche se nei discorsi ufficiali di chi adesso è al potere si parla di libertà, uguaglianza, in questi giorni sono state uccise delle persone, soprattutto della comunità alawita (il gruppo religioso, cui appartengono gli Assad, ndr). Dunque, la fase di sangue non è cessata. Oggi, si presenta un’importane occasione, siamo giunti ad un momento epocale, in cui possiamo veramente vivere un cammino di riconciliazione, incoraggiamento. Dobbiamo lavorare perché esca il sole e non restare incastrati nelle tenebre dell’odio.
Il regime in tutti questi anni ha represso con la forza ogni forma di dissenso. Crede si possa fare giustizia, senza che questa si trasformi in vendetta?
Comprendo bene la collera e la rabbia di chi ha subito gravi perdite a causa del regime, ma bisogna trasformare questo risentimento attraverso il dialogo, l’incontro, per guarire la memoria. Non è facendo nuovamente ricorso alla violenza, che si può fermare questa spirale. Se non riusciamo a porne fine, la Siria è finita.
Divide et impera…Di recente ha incontrato qualche rappresentante del nuovo esecutivo?
Parlando con il neo governatore di Homs, Abdel Rahman Ala’ma (nonché membro del dipartimento degli Affari politici dell’attuale governo di salvezza, ndr), e con un politico di Damasco molto vicino ad al- Jolani, ho detto che se continuiamo ad andare avanti così, non abbiamo capito nulla della lezione del nostro passato recentissimo e abbiamo solo tradito lo scopo e gli ideali della rivoluzione.
E loro cosa hanno risposto?
Non hanno risposto. E’ bene che sappiano che non è il modo giusto per costruire un paese di pace e armonia tra le minoranze. Quel che dobbiamo capire è che non possiamo eliminare la presenza degli alawiti in Siria, sono parte integrante del Paese, una minoranza, ma numerosa. Non si può pensare di ucciderli tutti, anche perché hanno pagato un prezzo molto alto. Migliaia di giovani alawiti sono morti durante la guerra e aggiungo che la maggior parte di essi odia il regime di Bashar al-Assad, perché non ha aiutato e supportato le famiglie delle città e dei villaggi del suo stesso gruppo religioso. Il nostro è un paese ricco di tutto, non per nulla nel corso della storia tanti eserciti l’hanno occupato.
Cosa potrà salvare la Siria?
Il dialogo è alla base di tutto. Noi aspettiamo adesso di rilanciare la vita, le istituzioni, di ricostruire dalle macerie anche il tessuto sociale. Dobbiamo capire quale governo e quale percorso politico scegliere par la nuova Siria. Se l’attuale amministrazione opterà per la costruzione di un nuovo Califfato islamico, non potrà esserci spazio per lavorare al dialogo, perché sarà chiaro il metodo che verrà adottato. Noi speriamo che non sia così e guardiamo al presente con ottimismo e speranza, offrendo la nostra massima disponibilità al confronto in tutta la Siria.
Il regime a modo suo ha tutelato qualche minoranza, non tutte ovviamente, il caso curdi docet. Tanti cristiani hanno vissuto sotto l’ala di Assad. Tra loro, qualcuno considerava i ribelli alla stessa stregua dei jihadisti, quando sappiamo che si sono combattuti in maniera feroce, con i primi che hanno dovuto capitolare nel 2014 a Raqqa e Aleppo?
Oggi, noi dobbiamo assumerci la responsabilità e lavorare insieme per il futuro, per ricostruire una Siria veramente libera come la sogniamo. Non serve e non c’è tempo per le colpe. Dobbiamo pensare all’unità per evitare gli errori del passato
Nasce a Palermo. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università degli studi del capoluogo siciliano, master in Giornalismo e comunicazione pubblica istituzionale, è giornalista pubblicista. Ha iniziato la sua carriera di giornalista, scrivendo di sprechi, inadempienze nella Pa e di temi ambientali per il Quotidiano di Sicilia, ha collaborato per alcuni anni col Giornale di Sicilia, svolto inchieste e approfondimenti su crisi libica e questione curda per Left, per poi collaborare alle pagine Attualità e Mondo di Avvenire, dove si è occupata di crisi arabo-siriana e di terrorismo internazionale. Ha collaborato col programma Today Tv 2000, l’approfondimento dedicato all’attualità internazionale. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano nel 2017.