Biden, ancora armi all’Ucraina? Israele viene prima
Al giro scorso Kiev era rimasta senza la consueta donazione a scopo militare da parte di Washington. Oggi, con gli scontri a Gaza in pieno svolgimento, l’attenzione della Casa Bianca è tutta rivolta a Israele e al Medio Oriente e l’America sembra voler dare la priorità agli israeliani. Come potrà fare Zelensky a non perdere le prossime forniture di armi? Biden ha avuto un’idea, ma la situazione è ulteriormente ingarbugliata dal posto vacante di portavoce della Camera, senza il quale il Congresso è praticamente bloccato.
Aiuto immediato a Israele
Poco dopo l’attacco sferrato da Hamas il 7 ottobre, le Forze armate americane si sono mosse rapidamente per offrire aiuto a Israele. Portaerei, navi da guerra e velivoli militari USA hanno iniziato a concentrarsi nell’area, per essere pronti in ogni eventualità a dare un supporto immediato a Gerusalemme. La USS Gerald R. Ford, portaerei a propulsione nucleare, è già arrivata, mentre la USS Dwight D. Eisenhower si sta dirigendo verso la zona. Sono stati attivati anche gli equipaggi delle tre navi del gruppo USS Bataan, che portano elicotteri e mezzi da sbarco, oltre ai Marines della 26° Unità di Spedizione. Anche duemila soldati americani sono allertati per compiere eventuali operazioni di assistenza, specialmente in campo logistico, medico e di sorveglianza.
Gli USA si sono messi subito a disposizione soprattutto a livello di intelligence. Ma all’amministrazione Biden Tel Aviv ha fatto richiesta di dare con urgenza determinati armamenti. Alla Casa Bianca si sono messi al lavoro per soddisfare le esigenze israeliane senza incappare in quegli blocchi burocratici che recentemente hanno ostacolato le forniture belliche per l’Ucraina. Per prima cosa sono stati mandati munizioni e razzi per la “Cupola di Ferro”, il sistema di difesa antimissile di Israele, mentre i produttori di armi sono stati esortati da Washington a completare il più velocemente possibile gli ordinativi che erano già precedentemente in lista.
Rimarrà qualcosa per Zelensky?
Gli Stati Uniti ritengono che ammassare le proprie forze nella regione serva soprattutto a dissuadere da un intervento i miliziani di Hezbollah o addirittura l’Iran. Se un altro focolaio di scontri dovesse apparire in Medio Oriente, infatti, aumenterebbe il rischio di accensione di altri scintille. Gli americani temono che qualcosa di brutto accada per esempio in Oriente, dove resta in sospeso la vicenda di Taiwan; ma c’è anche Cipro a impensierire la politica estera americana.
Comunque, finché Teheran rimane fuori dall’attuale conflitto, a Washington forse basteranno i mezzi per aiutare adeguatamente Gerusalemme e probabilmente anche Kiev. Il Pentagono ha stimato che ad oggi rimangono poco più di 5 miliardi di dollari per l’assistenza militare all’Ucraina.
È una cifra paragonabile al costo degli armamenti inviati dall’amministrazione Biden negli ultimi sei mesi, ma stavolta la somma potrebbe essere sufficiente a coprire soltanto tre o quattro mesi di forniture.
Tuttavia, sono diminuiti i fondi assegnati al riempimento degli arsenali svuotati dopo gli invii di armi all’Ucraina. E sono pure finiti i soldi che erano destinati al programma a lungo termine di ammodernamento dell’esercito ucraino e del suo adeguamento agli standard NATO. Dunque le prospettive non sono rosee.
Il super-pacchetto per uscire dall’impasse
L’idea di Biden per uscire dall’impasse è di associare il pacchetto di assistenza all’Ucraina all’approvazione degli aiuti militari a Israele. In tal modo si aggirerebbel’intenzione di voto contrario dei Congressmenrepubblicani, che vorrebbero mettere fine al deflusso di dollari e di armi oltreoceano.
Il super-pacchetto avanzato dal presidente consiste di 106 miliardi di dollari così distribuiti: circa 61 all’Ucraina e 14 per Israele, con l’aggiunta di 9 miliardi di aiuti umanitari in questi due Paesi; poi circa 7 miliardi per Taiwan e per gli altri alleati nell’area indo-pacifica; infine 14 per il rafforzamento della sicurezza lungo la frontiera USA. Pochi politici si sono apertamente dichiarati favorevoli alla proposta di Biden.
Uno di loro è Mike Pence, ex vicepresidente di Trump. Un altro è il leader della minoranza repubblicana, il senatore del Kentucky Mitch McConnell, che si è detto sulla stessa lunghezza d’onda del presidente sulla questione del supporto a entrambi i partner militari. Secondo lui, isoldi spesi finora per Kiev vanno in realtà ad alimentare la ricostruzione del sistema industriale americano, stimolato dalla necessità di produrre armamenti nuovi in sostituzione di quelli già esistenti mandati a Zelensky.
E ammette che si tratta di una guerra per procura nel momento in cui aggiunge un altro vantaggio del sostegno incondizionato a Kiev: Gli ucraini stanno distruggendo l’esercito di uno dei nostri maggiori avversari. Faccio fatica a trovarci qualcosa di sbagliato. Credo sia meraviglioso che si stiano difendendo.
I Congressmen contrari
Nove senatori repubblicani hanno scritto a McConnell per dichiarare la loro contrarietà: Sono due conflitti diversi e sarebbe sbagliato sfruttare il sostegno a Israele per cercare di ottenere aiuti ulteriori all’Ucraina. Si oppone anche il senatore della Carolina del Sud Tim Scott, candidato presidenziale alle primarie repubblicane.
Pur dicendosi favorevole a tutte le singole tranche di aiuti, non vuole che vengano accorpate allo scopo di aggirare l’impasse burocratica. In particolare, vuole che venga data priorità all’assistenza immediata per Israele, mentre sull’Ucraina secondo lui occorre un dibattito più lungo.
Un altro candidato presidenziale repubblicano, Vivek Ramaswamy, si era già espresso negativamente verso la prosecuzione degli aiuti a Kiev e non guarda di buon occhio nemmeno quelli a Israele, poiché secondo lui c’è il rischio di un allargamento del conflitto ad altre parti del Medio Oriente. E sull’onda della stanchezza e della delusione dei contribuenti americani verso la proxy war in Europa, vorrebbero terminare l’assistenza all’Ucraina anche il governatore della Florida Ron DeSantis e l’ex presidente Donald Trump. Ma nemmeno gli aiuti a Israele trovano gli americani entusiasti e concordi. Un sondaggio della CBS rivela che il 52% dei cittadini USA sono contrari all’invio di armi a beneficio di Tel Aviv e il 56% non è contento del modo in cui Biden sta gestendo la situazione.
Manca ancora lo speaker della Camera
Già da tre settimane la Camera è senza lo speaker, fatto unico nella storia americana. Finché nel campo repubblicano continuano a volare gli stracci, è difficile arrivare eleggere il successore di Kevin McCarthy, caduto con un voto bipartisan dopo che il budget statale era passato. Il Partito Democratico ha cinicamente approfittato della faida interna al Partito Repubblicano, non ancora risolta. Una volta ottenutal’approvazione provvisoria al bilancio, al portavoce repubblicano della Camera è mancato l’appoggio dei democratici ed è quindi caduto.
Oggi però il lavoro legislativo dei deputati è di fatto impossibilitato: dunque non potranno nemmeno votare il super-pacchetto di Biden. Il senatore McConnell invita a sbrigarsi e a trovare un nome prima del fatidico 17 novembre, data in cui scadrà l’attuale bilancio e si ripresenteranno in modo grave i problemi relativi al sostegno finanziario dell’Ucraina. Adesso sono in lizza nove candidati, fra cui Tom Emmer, delfino di McCarthy, e Pete Sessions, già coinvolto in uno scandalo politico riguardante l’ambasciatore americano in Ucraina e noncerto un fervente sostenitore degli aiuti a Zelensky.
Al giro scorso Kiev era rimasta senza la consueta donazione a scopo militare da parte di Washington. Oggi, con gli scontri a Gaza in pieno svolgimento, l’attenzione della Casa Bianca è tutta rivolta a Israele e al Medio Oriente e l’America sembra voler dare la priorità agli israeliani. Come potrà fare Zelensky a non perdere le prossime forniture di armi?
Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.