Washington, per salvare il bilancio statale salta lo speaker della Camera e saltano pure i finanziamenti all’Ucraina
L’America ha evitato per un soffio la chiusura parziale dei ministeri e degli uffici governativi. Sarebbe stata la quarta volta in dieci anni, un pessimo segnale delle condizioni traballanti del sistema americano.
Con un accordo di compromesso fra repubblicani e democratici approvato all’ultimo minuto, si sono trovati i dollari per pagare lo stipendio ai 4 milioni di impiegati del governo e dei servizi federali. A questo giro, però, vengono a mancare i fondi per sostenere l’Ucraina. L’amministrazione Biden sta cercando di correre ai ripari, ma almeno per adesso Kiev resta senza i consueti e vitali aiuti finanziari.
Un altro po’ di ossigeno fino al prossimo compromesso
Fino all’ultimo sembrava fosse inevitabile il cosiddetto “shutdown”, la chiusura degli uffici governativi per mancanza di fondi. Sarebbe stata una chiusura parziale, ma molto estesa. E invece si è trovata la quadra, ricorrendo a una soluzione già sperimentata in passato ovvero la destinazione di fondi per un periodo limitato: qualche settimana, il tempo necessario a formare una più solida maggioranza di voti al Congresso.
Niente di grave, se non fosse che stavolta vi sono state conseguenze politiche imprevedibili e piuttosto gravi, a partire dalla sfiducia al portavoce della Camera dei Rappresentanti Kevin McCarthy. Era stato proprio lui a insistere per accordarsi con i democratici e salvare così la situazione. Ma l’ala più estrema del suo partito non gli ha perdonato tale mossa. Fino a quel momento, i repubblicani volevano a tutti i costi che passasse la loro proposta.
Ma una volta appurato che i voti non sarebbero bastati, McCarthy ha cercato l’accordo coi democratici e un altro testo ha passato la votazione, per poi essere mandato rapidamente a Biden per mettere la sua firma giusto in tempo prima della scadenza dei termini di legge. Così, l’approvazione dei fondi è stata ottenuta con i voti preponderanti dei democratici e la copertura finanziaria è assicurata fino al 17 novembre. Dopo quella data, i Congressmen dovranno obbligatoriamente tornare sullo scottante argomentio del budget nazionale.
Niente più dollari per Zelensky?
A questo giro è stato impossibile destinare fondi per l’assistenza militare all’Ucraina. È quindi saltato uno dei cardini della politica estera dell’amministrazione Biden. I Congressmen si sono subito messi al lavoro per trovare soluzioni alternative, come la creazione di pacchetti separati di aiuti che non soggiaciano al voto di fiducia sul bilancio statale. Ma intanto si è passati dalle generiche lamentele dei cittadini ai fatti.
Dall’inizio del 2023 negli Stati Uniti l’appoggio popolare alla causa ucraina ha preso una parabola discendente. Sempre più contribuenti americani ritengono che le loro tasse vadano spese a favore del bilancio interno e della spesa pubblica nazionale, non a beneficio di cittadini stranieri in una guerra oltreoceano. Dopo il disastro ambientale dello scorso febbraio in Ohio, questo sentimento ha portato a pesanti critiche anche a livello istituzionale.
Ad esempio David Marshall, membro del comitato esecutivo centrale del Partito Repubblicano nella circoscrizione di Clark, ha affermato che sì, gli USA devono ancora appoggiare militarmente Kiev, ma senza dare ulteriori aiuti economici. Secondo Marshall è stato ingiusto e doloroso che per il pagamento delle pensioni degli ucraini anziani siano stati sacrificati dei fondi destinati a quelli americani.
Nel 2022, negli Stati Uniti l’80% dei cittadini di entrambi i partiti era favorevoli alla causa ucraina. Secondo un sondaggio pubblicato su Global Affairs, oggi questo appoggio è sceso al 60% e sta progressivamente diminuendo. Soprattutto nelle file dei repubblicani, in cui la simpatia verso Zelensky sta ormai scendendo sotto il 50%. Sembrano cifre alte, ma non abbastanza per avere un consenso popolare a un impegno così duraturo, faticoso e pericoloso come una guerra per procura contro la Russia.
La scelta dello speaker è cruciale per i prossimi finanziamenti
Adesso arriva la parte difficile. Scegliere uno nuovo speaker e farlo approvare in tempi brevi presenta delle difficoltà, ma è fondamentale per garantire i futuri finanziamenti all’Ucraina. Il portavoce della Camera conta molto sia a livello tecnico per il funzionamento del lavoro congressuale, sia a livello politico.
Fra i possibili candidati alla successione di McCarthy, ve ne sono alcuni che non fanno mistero di voler terminare il sostegno materiale a Kiev, e sono i repubblicani Jim Jordan dell’Ohio, Kevin Hern dell’Oklahoma e Matt Gaetz della Florida, proprio colui che ha organizzato la fronda contro McCarthy. La rimozione di quest’ultimo ha costituito un precedente tanto pesante quanto pericoloso per l’implementazione dello slogan di Biden sul sostegno a Kiev.
Il presidente continua infatti a ripetere che aiuterà l’Ucraina for as long as it takes, cioè per tutto il tempo che servirà e in modo incondizionato. Recentemente ha ribadito di non voler interrompere il flusso di denaro per l’Ucraina “in nessuna circostanza”. Vedremo quanto terrà il relativo consenso bipartisan, con una campagna elettorale ancora all’inizio e che promette di fare scintille in tutti gli argomenti di dibattito.
Sull’Ucraina Biden sembra costretto a giocarsi il tutto per tutto. Non vincendo la proxy war contro la Russia, o addirittura perdendola, rischia di passare alla storia come il peggior presidente che abbia mai seduto alla Casa Bianca, dopo la fuga indegna dall’Afghanistan e una crisi economica pesantissima. Così, Biden cercherà di far accettare al più presto e con ogni manovra possibile altri pacchetti di finanziamenti per Kiev. Almeno quelli militari, che sono i più urgenti. Quelli umanitari, purtroppo per la popolazione ucraina, saranno i primi a essere sacrificati.
Ci rimettono McCarthy e la stabilità politica degli USA
È la prima volta che uno speaker della Camera viene rimosso, per di più coi voti del suo stesso partito. L’accordo di McCarthy coi democratici non è stato digerito dal deputato repubblicano Matt Gaetz, che ha guidato la rivolta interna. Purtroppo per McCarthy, pure i democratici gli hanno voltato le spalle e hanno deciso di votare “sì” alla mozione di sfiducia nei suoi confronti.
Hakeem Jeffries, il capogruppo dei democratici alla Camera, ha illustrato ai suoi colleghi il motivo, dicendo che adesso pende sui repubblicani stessi “la responsabilità di mettere fine a questa guerra civile”. Da strisciante che era, il conflitto interno si è manifestato e adesso rischia di rendere il Congresso ingovernabile. Jim Clyburn, deputato democratico di lungo corso per la Carolina del Sud, esprime la sua inquietudine verso la situazione che si è venuta a creare: Siamo in acque inesplorate. Nessuno sa cosa succederà. Senza uno speaker, la Camera non può funzionare, ma uno speaker eletto con una maggioranza instabile e litigiosa può essere molto pericoloso per la stabilità di Washington.
McCarthy, comunque, non ha nulla da rimproverarsi. Posso anche aver perso una votazione oggi, ma ho combattuto per ciò in cui credo – e ciò in cui è l’America. L’America ha evitato per un soffio la chiusura parziale dei ministeri e degli uffici governativi. Sarebbe stata la quarta volta in dieci anni, un pessimo segnale delle condizioni traballanti del sistema americano. L’amministrazione Biden sta cercando di correre ai ripari, ma almeno per adesso Kiev resta senza i consueti e vitali aiuti finanziari.
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