Quanto è responsabile Washington per le vittime degli attacchi israeliani su obiettivi civili a Gaza?
L’operazione di rappresaglia condotta da Tel Aviv contro Hamas ha coinvolto finora migliaia di vittime civili. E più si avvicina il momento dell’invasione di terra sulla striscia di Gaza, più aumentano gli attacchi israeliani contro gli obiettivi come case e ospedali, nei quali o sotto i quali si nasconderebbero i miliziani palestinesi.
Occorre chiedersi allora quale sia la responsabilità materiale e morale che hanno in questa vicenda gli alleati di Israele, e cioè gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e alcuni membri della NATO. Soprattutto Washington e Londra stanno agevolando le azioni militari israeliani: forniscono dati di intelligence e un danno un grande appoggio con le portaerei stanziate nella regione e i velivoli spia che sorvolano continuamente la zona, per non parlare della fornitura di armi e munizioni.
Il contestato caso dell’ospedale Al-Ahli
A due settimane dall’avvenimento, si continua a parlare del caso dell’al-Ahli Arab Hospital, nel cui cortile il 17 ottobre un’esplosione ha ucciso quasi cinquecento persone. Le vittime non erano soltanto i pazienti dell’ospedale, ma anche i palestinesi che vi si erano recati a cercare riparo dagli attacchi israeliani. La causa è stata la deflagrazione di un missile, ma si discute ancora se fosse un razzo di Hamas caduto là per colpa di un malfunzionamento – come affermato dagli ufficiali dell’IDF (Israel Defense Forces) – o se siano stati proprio questi ultimi a sparare deliberatamente sull’ospedale, considerato alla stregua di un obiettivo militare.
Tel Aviv ha negato categoricamente la responsabilità in base alle informazioni che aveva raccolto insieme all’intelligence USA: la sua versione è stata immediatamente sposata dai media occidentali. Tuttavia, persino il New York Times ha fatto marcia indietro e ha proposto un’analisi più accurata del video, presentato in precedenza come prova della colpa addossata a un razzo vagante di Hamas. La conclusione del giornale americano è che al momento mancano le prove per attribuire con certezza la responsabilità a una delle parti.
Dal video si può soltanto evincere che nei pressi dell’ospedale era in corso un acceso scambio di artiglieria. Nei giorni precedenti Israele aveva già colpito l’edificio con un proiettile illuminante, ma un portavoce dell’IDF ha detto che la sera della tragedia non stavano sparano in un raggio che potesse mettere in pericolo l’ospedale, sebbene non abbia specificato quanto vicino colpivano.
Si intensificano i bombardamenti sui civili di Gaza
Nella sua dichiarata opera di rappresaglia, sulla striscia di Gaza Israele ha sparato finora più di 8mila munizioni. Pochi giorni fa ha nuovamente colpito da cielo, provocando pure stavolta vittime civili. Con l’obiettivo di eliminare Ibrahim Biari, un comandante di Hamas, ha infatti centrato il campo profughi di Jabalia, uccidendo almeno 50 palestinesi. Nel frattempo l’IDF ha intensificato gli attacchi dal mare e intende “espandere le operazioni via terra”, come ha reso noto il suo portavoce Daniel Hagari. Quest’ultimo ha specificato che si tratta di attacchi indirizzati ai tunnel e le altre postazioni sotterranee dei miliziani di Hamas. In particolare si starebbero nascondendo sotto l’ospedale al-Shifa, i cui pazienti sono stati così trasformati in scudi umani.
Vedremo presto se Tel Aviv non si farà scrupolo di colpire un altro edificio civile e di uccidere i palestinesi pur di stanare i capi dei miliziani. Dal canto suo, Israele ha lanciato ripetuti appelli alla popolazione di Gaza affinché si metta in salvo abbandonando il territorio. Molti palestinesi hanno effettivamente cominciato l’esodo, andando però incontro a un futuro alquanto incerto. L’evacuazione infatti li salva nel breve termine, ma non sanno se verranno accolti nei vicini Paesi musulmani. Fin dall’inizio la Casa Bianca ha sottolineato al suo alleato la priorità di salvare le vite dei civili intrappolati a Gaza.
Con i viaggi diplomatici del segretario di Stato Anthony Blinken ha cercato di convincere i Paesi arabi ad aprire corridori umanitari e ad accogliere i palestinesi. Hamas a sua volta spaventa questi ultimi palestinesi dicendo loro che una volta usciti, Tel Aviv non li lascerà più rientrare quando sarà tutto finito. Accusa quindi l’evacuazione come un modo per svuotare preventivamente la striscia di Gaza e facilitarne l’occupazione da parte dei coloni israeliani.
La presenza di mezzi militari USA e UK vicino a Israele
Washington e Londra stanno attivamente facilitando la “rappresaglia” israeliana con i loro mezzi ad alta tecnologia. Negli ultimi giorni è stata rilevata la presenza nella regione dei loro velivoli da ricognizione e da sorveglianza elettronica. Sono il Boeing RC-135V Rivet Joint HOMER42, partito dalla base americana di Souda Bay a Creta, e il Boeing P-8A Poseidon MRA1 decollato da Sigonella in Sicilia. È in azione anche un Rivet Joint britannico, che compie missioni di “ascolto elettronico” nella zona fra Cipro e la costa israeliana. E non si tratta nemmeno di voli segreti, perché questi aerei tengono accesso il transponder e possono così venire localizzati.
Le capacità di tali velivoli sono dette in gergo SIGINT (Signal Intelligence), la raccolta di comunicazioni radar e o di altro tipo emesse dal nemico, ed ELINT (Electronic Signals Intelligence), specifica per i segnali elettronici. Le loro funzioni sono altresì di supporto diplomatico, poiché raccolgono dati che possono servire a modellare le scelte e l’indirizzo dei rappresentanti politici e agevolare con informazioni tempestive il lavoro dei funzionari tenuti a prendere decisioni importanti. Infine, la loro stessa presenza funge da deterrenza strategica, perché mostrandosi chiaramente mandano un messaggio agli avversari, avvertendoli che li tengono accuratamente sotto controllo e magari conoscono già ciò che si accingono a fare.
Americani e britannici lo avevano anticipato
Americani e britannici avevano ampiamente notificato al mondo che avrebbero sostenuto Israele, come minimo a livello diplomatico e di intelligence. Lo aveva dichiarato da Londra il primo ministro Rishi Sunak, e prima di lui tutti i vertici politici di Washington, che appena dopo gli attacchi del 7 ottobre avevano immediatamente inviato nella zona le portaerei a propulsione nucleare e le navi da guerra.
Gli USA hanno assicurato a Israele la propria disponibilità soprattutto a livello di intelligence, sebbene Tel Aviv abbia subito fatto intendere di volere essenzialmente armamenti e munizioni. In un primo momento, il segretario alla Difesa Lloyd Austin non ha voluto precisare se gli USA stessero già effettuando nella regione voli con aerei spia per poi passare informazioni sui movimenti di Hamas, ma nel suo incontro col suo omologo israeliano Yoav Gallant, ha garantito che gli USA in tutti i modi “copriranno le spalle” a Israele. La formula usata anche dal presidente Biden e dal segretario di Stato Blinken è sempre quella del “supporto incrollabile” all’alleato, ma la politica americana è tormentata da un interrogativo pressante. Quanto incrollabile può essere l’assenso di Washington alle azioni sugli obiettivi civili e alle rappresaglie indiscriminate effettuate su Gaza?
Fino ad oggi gli USA hanno acconsentito a tutto ciò che ha compiuto Israele, che fosse o meno all’interno di un ragionevole ambito di legittima difesa. Nei primi giorni dopo l’aggressione di Hamas, proprio Blinken aveva preparato il terreno coi suoi viaggi in Medio Oriente e le sue dichiarazioni “etniche”, e cancellando i tweet in cui si chiedeva di mettere un freno alle violenze o un vero cessate-il-fuoco.
Gli USA incrementano il lavoro di intelligence per liberare gli ostaggi
Che Washington si stia impegnando al massimo per fornire dati di intelligence a Israele è confermato e giustificato dalla volontà liberare gli ostaggi americani in mano ad Hamas. Alcuni funzionari del CENTCOM (U.S. Central Command) hanno infatti rivelato che risorse e specialisti sono stati riassegnati a compiti relativi alla situazione di Gaza.
Non ha potuto dare i dettagli delle nuove missioni, ma il portavoce Michael Lawhorn ha detto che si stanno concentrando sull’appoggio a Israele, con cui hanno una “stretta collaborazione” e con cui hanno “sempre e puntualmente condiviso i dati di intelligence”. Oltre ad avere migliaia di fanti nella regione, pronti a intervenire, Washington ha persino messo in campo le forze speciali. Il Pentagono ha comunicato che squadre di commandos americani si trovano attualmente in Israele per localizzare e liberare gli ostaggi.
Il portavoce del Dipartimento della Difesa Christopher Maier non ha voluto specificare quanti uomini delle forze speciali vi siano esattamente, ma ha detto che stanno aiutando Tel Aviv “a fare una serie di cose”, non legate comunque a missioni di combattimento diretto. L’operazione di rappresaglia condotta da Tel Aviv contro Hamas ha coinvolto finora migliaia di vittime civili. E più si avvicina il momento dell’invasione di terra sulla striscia di Gaza, più aumentano gli attacchi israeliani contro gli obiettivi come case e ospedali, nei quali o sotto i quali si nasconderebbero i miliziani palestinesi. Occorre chiedersi allora quale sia la responsabilità materiale e morale che hanno in questa vicenda gli alleati di Israele, e cioè gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e alcuni membri della NATO.
52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.