Siria, professor Antonello De Oto: «I sunniti di Damasco oggi ragionano in maniera privilegiata con Ankara. E già era successo nello scenario libico»
Giovedì 20 dicembre una delegazione degli Stati Uniti si è recata in Siria all’Hotel Four Seasons di Damasco per incontrare la nuova leadership del Paese dopo la caduta di Bashar Assad senza rilasciare alcuna dichiarazione. Membri del gruppo di difesa civile noto come Caschi Bianchi sono stati visti lasciare l’hotel insieme alla delegazione. La delegazione Usa era guidata dall’Assistente del segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf. Con lei l’ex inviato speciale per la Siria Daniel Rubinstein e l’inviato principale dell’amministrazione Biden per i negoziati sugli ostaggi, Roger Carstens.
Si tratta dei primi diplomatici a visitare la Siria dopo la cacciata del Presidente uscente. Il gruppo è arrivato anche per cercare informazioni su dove si trovi il giornalista americano Austin Tice, scomparso in Siria dal 2012. Sono in corso quindi grandi manovre per ricomporre le relazioni diplomatiche con il nuovo regime siriano. In questo contesto abbiamo intervistato Antonello De Oto, Professore Ordinario presso l’Università di Bologna, per approfondire quanto sta accadendo in Siria.
L’attuale scenario siriano può essere considerato un punto di arrivo e nuovo inizio o è solo una tappa di futuri conflitti per la leadership nel Paese?
La Siria si è rimessa faticosamente in cammino dopo anni di repressione e dominio della famiglia Assad. E lo ha fatto con l’uso delle armi. Ora il Paese è ad un bivio ovvero scegliere la strada del cambiamento reale che passa anche da dinamiche di libera scelta democratica, dal pluripartitismo, dalla dinamica del voto oppure iniziare una strisciante, non dichiarata permanente guerra tra fazioni che farebbe scivolare il Paese nel classico scenario che gli studiosi di diritto e politica internazionale definiscono come quello dello “Stato fallito”.
I ribelli islamisti quanto hanno potuto godere del sostegno degli Stati Uniti?
I conflitti regionali sono sempre guerre asimmetriche “per interposta nazione”. Ma dire in questa fase quanto gli americani abbiano inciso, risulterebbe irrealistico. Sicuramente l’elezione di Donald Trump ha favorito indirettamente un disimpegno russo nell’area. Sicuramente le mire economiche di Washington sull’area hanno e avranno sempre un peso.
C’è il rischio di rivivere la replica dell’Afghanistan per quanto riguarda il diritto di donne e cristiani in Siria?
Il rischio c’è sempre per le minoranze e le categorie giuridicamente non sufficientemente protette, in contesti in cui i loro diritti non sono storicamente consolidati. Il nuovo uomo forte di Damasco, Ahmad Sharaa (Jolani) si presenta in maniera rassicurante su questi ed altri temi caldi. Bisogna capire col tempo quanto sia rappresentazione scenica internazionale per far finire le sanzioni o convinta politica pro-normalizzazione. L’inizio è cautamente confortante, soprattutto le dichiarazioni in merito alla non imposizione per le donne islamiche siriane del velo.
È ancora possibile un ritorno di Assad nel prossimo futuro?
Credo proprio di no. La famiglia Assad che dal 1970 ha tenuto il Paese in una morsa d’acciaio, portando la minoranza alauita al potere, pur essendo netta minoranza demografica (il 10% dei siriani) ha definitivamente perso il controllo. La maggioranza sunnita ha ripreso le redini con numeri importanti, direi conclusivi. I 100.000 corpi ammassati in una fossa comune alle porte di Damasco sono poi la triste garanzia che il mondo non darà più ascolto a Bashar al Assad. Come non lo farà Putin, che al netto della dovuta ospitalità, deve incassare la perdita di un Paese strategico, attuare una ritirata umiliante delle truppe nell’area e cercare un nuovo punto d’appoggio in zona. La Siria era infatti utilissima per la Federazione Russa anche come base per le operazioni in Africa.
Le sanzioni occidentali quanto peso hanno avuto nel crollo della leadership di Assad? O è stato preponderante il conflitto russo ucraino e quindi il disimpegno militare dall’area?
Credo che entrambe le cose abbiano aiutato ma il vero motivo è dato dal progressivo e continuo consumarsi del regime divenuto totalmente intollerabile alla popolazione che in armi lo ha rovesciato. La minoranza alauita non ha potuto più reggere il colpo d’ariete della maggioranza schiacciante sunnita. Torture, fosse comuni, profughi, utilizzo di armi chimiche, guerriglia protrattasi per anni e regime della paura hanno solo finito per accelerare la fine della dittatura.
La Siria negli ultimi anni e non senza polemiche era in parte rientrata ad essere un interlocutore internazionale per alcuni organismi internazionali?
La Russia ha provato a trainare l’alleato. Operazione peraltro non molto riuscita. Nel corso dell’intervento del 2019 nell’area qui in esame, gli attacchi aerei e fanteria russi guidati dal generale Dimitri Vlad sono risultati controversi sotto il profilo dei diritti umani. Per questo motivo – dicunt – la Russia ha finito per perdere il suo seggio nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
La Turchia in questa vicenda ha tradito Mosca? E quanto ha influito la guerra per il gas e petrolio?
Nessun tradimento. La Turchia nella guerra al Califfato Nero dell’ISIS aveva certo usufruito di risorse russe in un quadro però di più nazioni alleate nella lotta contro il terrorismo di matrice religiosa. Erdogan, per parte sua, da tempo ha deciso di allargare ulteriormente la sfera di influenza. I sunniti di Damasco oggi ragionano in maniera privilegiata con Ankara. E già era successo nello scenario libico. Una volta per andare da Roma a Tripoli non ci voleva il visto. Oggi non serve per andare da Istanbul, Smirne o Ankara a Tripoli. La Turchia cerca di tornare agli antichi fasti. E coagula l’Islam a lei strutturalmente vicino. Poi dal punto di vista strettamente economico va rilevato che i turchi incassano pure due dividendi dalla fine di Assad, uno consiste nell’accedere direttamente alle risorse energetiche del Medio Oriente e l’altra nell’incassare materialmente le lucrative tariffe di transito derivanti dal passaggio dei gasdotti sul suo territorio.
Israele si fermerà o annetterà parte della Siria in modo definitivo?
La situazione di Israele è delicata. In una fase magmatica può essere stato funzionale e capibile occupare le alture del golan, più precisamente il versante siriano del monte Hermon, per mettere in sicurezza il confine. Ma quel territorio è Siria. E alla lunga dovrà tornare, in ossequio alle norme di diritto internazionale, al legittimo proprietario quando la situazione si sarà stabilizzata in modo chiaro e accettabile.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.