“Ucraina, la guerra che non c’era”. Ne parliamo con Sceresini autore con Giroffi di un reportage in controtendenza

“Ucraina, la guerra che non c’era”. Ne parliamo con Sceresini autore con Giroffi di un reportage in controtendenza

14 Maggio 2022 0

Ucraina, la guerra che non c’è” usciva nel marzo del 2015, edito dalla casa editrice Baldini+Castoldi. E’ stato riproposto, con una nuova prefazione, in concomitanza dell’inizio del conflitto russo-ucraino con un titolo di poco rimaneggiato “Ucraina, la guerra che non c’era” ma che denuncia i troppi silenzi colpevoli che hanno accompagnato gli scontri in Donbass dal 2014 ad oggi. Il saggio è un formidabile reportage di due giovani freelance, Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi, che hanno avuto l’incoscienza di lasciare l’Italia, quando poche redazioni seguivano gli scontri tra Kiev e le Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, e hanno vissuto per alcuni mesi sui due lati del fronte. Tra i posti di blocco, i villaggi e le cittadine martoriate dai missili delle due fazioni, le trincee sulla fronte filorusso e poi dal lato opposto, in Ucraina a Kiev. Un viaggio composto da ritratti indimenticabili, un racconto di guerra di “slavi contro slavi“, insomma una guerra civile figlia di tanti piccoli errori strategici che tutti sommati insieme stanno ora però deflagrando in una guerra di ben più ampie dimensioni nel cuore dell’Europa. In un momento dove le pagine di wikipedia sulla guerra in Donbass vengono oscurate, i video su you tube censurati, e i post sui social filtrati è giusto conservarne memoria grazie alla testimonianza di chi quella guerra l’ha raccontata andando sul campo. Perché tutti i morti hanno dignità, anche quelli del Donbass. Ne parliamo con uno dei due autori del saggio, Andrea Sceresini.

Infografica – La biografia dell’intervistato Andrea Sceresini

– Com’è nata l’idea del libro?

– L’idea nacque già quando ci recammo per la prima volta in Donbass nel settembre del 2014 per raccontare quel conflitto che era già cominciato, ma di cui nessuno in Italia parlava. Per un mese e mezzo visitammo la zona, passando per entrambi i fronti, quello separatista filo-russo e quello governativo di Kiev. Vedemmo l’inizio degli scontri che poi si sono evoluti in un conflitto durato 8 anni e sfociato in quello a cui assistiamo oggi.

– A giudicare dall’opinione pubblica italiana, sembra che la guerra in Donbass sia scoppiata soltanto lo scorso febbraio. Voi invece siete stati testimoni di scontri militari durati per 8 anni, e lo si può leggere nel libro.

– Esattamente. Durante il 2014 il conflitto fu anche piuttosto cruento, con battaglie di movimento, spostamenti, avanzate, fino alla battaglia di Debaltsevo fra gennaio e febbraio del 2015. Dal 2015 in poi è diventata sostanzialmente una guerra di posizione, coi due eserciti schierati l’uno di fronte all’altro, pur con bombardamenti e sparatorie tutti i giorni, civili e militari uccisi. Il conflitto è andato avanti così per 8 anni, fra momenti di tensione alta e periodi di stasi. Bastava fare un giro a Donetsk oppure sul lato del fronte pro-Kiev per rendersene conto, ma l’Occidente si era dimenticato del Donbass oppure non voleva saperne. Siamo tornati là nel 2017 e abbiamo fatto molta fatica a convincere giormali e televisioni a pubblicare i nostri reportage, perché a questo argomento non era interessato veramente nessuno. Oggi invece, improvvisamente, tutti lo hanno riscoperto. Forse il senso del nostro libro si può racchiudere proprio in questo.

– Quando negli anni passati vi recavate in Donbass, quali sentimenti percepivate quando entravate a contatto coi miliziani filo-russi da una parte e i nazionalisti ucraini dall’altra? Qual era lo spirito che li animava all’epoca e che probabilmente è ancora presente oggi?

– Fino al 2014 gli ucraini di lingua ucraina e gli ucraini russofoni erano in pace, convivevano normalmente. Non sussistevano particolari motivi di astio o di scontro. Si consideri che nel Donbass la maggioranza della popolazione è russofona di etnia ucraina, quindi in famiglia o in società si parlavano entrambe le lingue, senza che ciò costituisse un problema. Tant’è che il partito “Repubblica di Donetsk”, da cui poi sono usciti tutti i successivi leader separatisti, fino al 2014 portava in piazza al massimo 50 persone. Dopo il Maidan, il Donbass si è trovato ad essere sulla linea di faglia di uno scontro fra potenze, le quali hanno fomentato una contrapposizione che prima in sostanza non esisteva. L’odio che vediamo oggi non ha radici storiche vere e proprie, ma è arrivato con tutte le tragedie che si sono susseguite in questi anni. Anzi, nel 2014, nei primi mesi del conflitto, fra le persone c’era davvero lo stupore di trovare il vicino di casa o l’ex compagno di scuola fra i miliziani che andavano a combattere.

– Sì, è vero, e nel libro riportate a questo proposito degli episodi illuminanti, come la telefonata in trincea con la madre o lo scambio di battute fra i due fronti. Voi che siete stati sul campo in tempi non sospetti, quando la raccolta di informazioni non era pilotata o limitata come oggi, dove rintracciate le radici profonde del conflitto? Per esempio nel golpe del 2014, o nel cambio di governo che ne è scaturito, oppure nelle influenze esterne che hanno agito nel Paese, o altro?

– Tutti questi elementi derivano in primis dal fatto che l’Ucraina, come già detto, si è ritrovata sulla linea di faglia fra due potenze che hanno interessi contrapposti. Personalmente ritengo che le guerre nascano sempre da motivi politici, da interessi economici e di espansionismo, che esulano da categorie come il giusto o lo sbagliato, il buono o il cattivo. Poi sopra a questi interessi vengono costruite delle sovrastrutture da “vendere” alla gente, dei costrutti che la gente possa capire e fare propri, e allora oggi vediamo gli ucraini dire che i russi sono delle bestie e i russi dire che gli ucraini sono dei nazisti.

– Esistono gli oligarchi anche in Ucraina? 

– Certo, non ci sono soltanto in Russia, ma ce ne sono anche in Ucraina. Ma non li abbiamo conosciuti personalmente. Alcuni di loro si sono subito schierati da un parte, mentre altri hanno tenuto il piede in due scarpe finche è stato possibile.

– Nel libro alcuni intervistati, in particolare i politici, parlano dell’esistenza di corruzione e persino di odio con l’arrivo dei governi post-Maidan. Parlando invece con la popolazione, questi fatti sono confermati? Cosa dice la gente, quali sono i suoi sentimenti in merito, al netto della propaganda?

– Certamente una parte di popolazione era nazionalista già da prima e lo è a maggior ragione oggi. Se dei soldati ti sparano sulla casa, si infiamma di nazionalismo anche l’animo di chi invece starebbe volentieri fuori dal conflitto. Come detto, le ragioni sono altrove, ma in guerra tutti i sentimenti si estremizzano e ovunque la propaganda è martellante.

– La propaganda si è accentuata adesso? Le notizie che arrivano in Italia sono tutte pilotate dalla propaganda, sono mezze verità o cosa?

– Certo che la propaganda oggi si è accentuata! Ed esiste anche in Italia, basta vedere quali sono le notizie che escono sui giornali nazionali, e come escono. In guerra i fatti tendono a sparire a beneficio della propaganda. Oggi la voce è una sola ed è difficile portare i fatti all’attenzione del pubblico. Badate, non le opinioni, ma i fatti: pensiamo al caso di un soldato ucraino che voglia disertare – indipendentemente dai motivi di quest’ultimo una notizia del genere sarebbe dura da far pubblicare dal mainstream italiano.

– Nel libro raccontate di come in Ucraina venga mitizzata la figura dell’eroe nazionale Stepan Bandera, che è a dir poco controversa.

– Durante la Seconda guerra mondiale Bandera collaborò con i nazisti. Nonostante ciò, a partire dagli anni ’90 in Ucraina viene celebrato perché fu il primo a tentare la creazione di uno Stato ucraino. Oggi soprattutto nell’ovest del Paese viene considerato alla stregua di un padre della patria.

– La stampa italiana insiste nel dire che in Ucraina non esistono gruppi di ideologia nazista…

– In Ucraina ci sono i nazisti, questo è certo: ma non significa che tutti gli ucraini lo siano o lo vogliano diventare. Il battaglione Azov è formato da soggetti di estrema destra e utilizza simbologie naziste, ma non rappresenta tutta l’Ucraina. In compenso ho visto persone che simpatizzano per questa ideologia anche dal lato dei separatisti.

– A proposito dell’orientamento politico dei separatisti, vi sono tra di essi molti che si ispirano al comunismo? Qual è la tipologia di filo-russo che avete riscontrato nei vostri viaggi in Donbass?

– Bisogna chiarire un equivoco molto diffuso: l’antifascismo di cui parlano i russi non è l’antifascismo per come viene inteso in Italia. Nel mondo russo l’antifascismo è rappresentato dall’Armata Rossa che respinge l’invasione germanica, dunque ha un’accezione patriottica. Chi dall’Italia è andato a combattere insieme ai filo-russi, credendo si trattasse di una nuova guerra civile spagnola, forse si è dovuto ricredere in parte quando ha visto lo sfruttamento dei minatori nel Donbass e i diritti dei lavoratori negati. La propaganda russa punta sempre sull’idea di antifascismo contrapposto al nazismo ucraino. In Donbass siamo rimasti inizialmente confusi vedendo bandiere con falce e martello mischiate alle bandiere zariste, gli ultra-ortodossi sfilare con i comunisti: poi abbiamo capito che per la gente sono simboli storici e patriottici della potenza russa.

– Quando siete tornati dal Donbass all’Italia, quali sensazioni avete avuto rispetto a come gli italiani reputavano la situazione?

– La sensazione è stata che di questa guerra in Italia non importava a nessuno: assoluto disinteresse da parte dei giornalisti e dei media. Per noi invece costituiva una storia che meritava di essere divulgata, a maggior ragione perché in Italia non se ne parlava.

– Voi siete stati sul campo e avete parlato con i protagonisti del conflitto: pensate che questa guerra potesse essere evitata?

– Sicuramente poteva essere evitata. Il Donbass e l’Ucraina erano una pericolosa polveriera da otto anni, ma qualcuno ha continuato a soffiare sul fuoco (fornendo armi, consiglieri militari e supporto finanziario) e lo ha fatto in modo sempre più sfacciato, finchè l’incendio finalmente è scoppiato. E vediamo come la propaganda agisse in questo senso già da anni: quando nel 2014 l’esercito di Kiev bombardò Donetsk, la propaganda ucraina raccontò che erano stati i separatisti che si bombardavano da soli per poter dare la colpa a Kiev, ma i russi fecero altrettanto a Mariupol qualche tempo dopo, dicendo che erano stati gli ucraini a bombardare per poter incolpare la Russia.

– Da quello che vedete adesso, avete la percezione che i russi abbiano sottovaluto gli armamenti a disposizione di Kiev oppure che ci troviamo complessivamente in uno stallo che in questa fase è naturale?

– Personalmente credo che Putin volesse chiudere la questione ucraina con un’operazione lampo, credendo di poter provocare la caduta di Zelensky in poco tempo. Quando si è reso conto che questo obiettivo non poteva essere raggiunto, ha cambiato strategia, mollando Kiev e concentrandosi sull’est del Paese. Ma non sono in grado di dire come o quando si concluderà “l’Operazione Speciale”.

– In breve: credete che i russi si dirigeranno su Odessa?

– Non lo so. Per ora sono ancora impegnati a conquistare villaggi nel Donbass, quindi la vedo dura arrivare presto a Odessa, che è lontana dal fronte.

– Voi che avete visitato entrambi i fronti, credete che sia alto il rischio che il conflitto diventi una guerra di logoramento per prendere qualche chilometro?

– Non ritengo realistica questa prospettiva. Più probabile che il conflitto verrà chiuso con un accordo di pace di qualche genere, in un modo o nell’altro.

– Sui giornali italiani molti mettono in dubbio il numero di morti che si sono avuti in questi anni nel Donbass.

– I morti in Donbass ci sono stati e sono stati molti di più di quelli dichiarati. Non conosco le cifre precise, ma la percezione è che specialmente nel 2014 vi siano stati moltissimi uccisi anche fra i civili.

Infografica – La scheda del libro Ucraina, la guerra che non c’era
Marco Fontana
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