Tribunale Speciale conflitto russoucraino, Chantal Meloni: “Si può aprire un’inchiesta, ma se poi è impossibile mettere sotto accusa un capo di Stato, un primo ministro o un ministro degli Esteri significa non poter allestire un processo contro un leadership crime”
“Pur continuando a sostenere il Tribunale penale internazionale proponiamo un tribunale speciale, sostenuto dalle Nazioni unite, per indagare e perseguire il crimine di aggressione della Russia“. Ha tuonato così la presidentessa della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen un paio di settimane fa. Una iniziativa che ha il sapore del già sentito visto che una proposta analoga era stata avanzata lo scorso maggio da Gordon Brown e Sir John Majo, ma che è deflagrata come una bomba proprio mentre si tornava a parlare di mediare con la Russia.
Resta il fatto che il tempo passa eppure dopo questo annuncio choc, immediatamente salutato con entusiasmo da Stati Uniti e Francia in particolare, non si hanno più avuto notizie in merito. Anzi, paradossalmente, hanno fatto più scalpore le prese di posizione di numerosi giuristi e analisti contro la strada tracciata dalla presidentessa Von Der Leyen. Molti preoccupati per il rischio di scarsa imparzialità e terzietà nel giudicare i fatti. Come redazione abbiamo deciso di interpellare la professoressa Chantal Meloni, esperta di Diritto penale internazionale e criminologia.
– Vorremo chiederLe un’opinione sull’effettiva possibilità dell’istituzione di un tribunale “stile Norimberga” contro la Russia, come ventilato sui giornali qualche settimana fa. Si tratta di una proposta credibile o fattibile a livello giuridico? E quanto regge il paragone con Norimberga? È normale che un tribunale del genere venga messo in piedi con la partecipazione di Stati che intervengono – seppur non ufficialmente – nel conflitto in corso?
– Cerchiamo anzitutto di capire come mai, dal punto di vista giuridico, esista una tale proposta, la quale oggi sembra prendere piede e raggiungere un consenso più ampio di quello che aveva qualche mese fa. La differenza abissale fra 2022 e 1945 è che adesso esiste una Corte penale internazionale (CPI) permanente e con giurisdizione su crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidi ed aggressioni. Perché tale Corte non si è ancora attivata su quanto sta accadendo in Ucraina?
In realtà un’indagine sui crimini di guerra (potenzialmente anche contro l’umanità) c’è già, ma per come è scritto il suo Statuto, la Corte non avrà mai giurisdizione sul presunto crimine di aggressione commesso dalla Russia sull’Ucraina, perché esso è stato aggiunto con un emendamento nello Statuto di Roma soltanto nel 2010 e perché è stato ristretto il regime giurisdizionale inserendo la necessità che i fatti siano avvenuti sul territorio di Stati aderenti alla Corte e per mano di uno Stato parte: dunque sia Mosca che Kiev dovrebbero aderire alla Corte affinché essa abbia giurisdizione. Invece, né Russia né Ucraina fanno parte della CPI. Così, l’inchiesta sui presunti crimini di guerra russi, ma anche su quelli eventualmente commessi dagli ucraini, non potrà utilizzare la categoria della “aggressione”.
Pochi giorni dopo l’inizio della cosiddetta “operazione speciale” il 24 febbraio, giuristi importanti avevano espresso la necessità di istituire un meccanismo ad hoc. L’aggressione russa da un punto di vista giuridico ha dei precedenti persino nel nostro secolo, come quella angloamericana sull’Iraq, ma oggi il tratto distintivo è la reazione degli altri Paesi, la più forte che vi sia stata dal 1945. I paralleli con Norimberga vengono fatti perché oltre al tribunale di Tokyo (anch’esso relativo ai fatti della Seconda guerra mondiale), non vi è stato mai alcun tribunale internazionale con giurisdizione su un’aggressione, nemmeno un tribunale ad hoc. Non c’è nient’altro in comune con la situazione attuale, perché a Norimberga gli imputati appartenevano a una Germania sconfitta, che aveva capitolato completamente, aveva perso sovranità ed era sotto occupazione delle quattro potenze alleate. Esse avevano preso autorità dal fatto di esercitare la giurisdizione – in nome della comunità internazionale e in assenza della sovranità tedesca – pure per il crimine di aggressione (che all’epoca si chiamava “crimine contro la pace”).
Dunque, un parallelo fra i due tribunali è sostanzialmente sbagliato, considerando anche che nel 1945 non esisteva un meccanismo penale internazionale, mentre oggi abbiamo la Corte penale internazionale. Nel frattempo si è accumulata esperienza in questo settore sotto forma di tribunali speciali, ad hoc, ibridi, e con casi interessanti come le Corti per il Kosovo, la Cambogia o il tribunale in Senegal per processare Hissen Habrè. Con commistione fra tribunali interni ed elementi di internazionalizzazione. Infine, uno dei nodi fondamentali in questa vicenda è l’immunità. Si può aprire un’inchiesta, ma se poi è impossibile mettere sotto accusa un capo di Stato, un primo ministro o un ministro degli Esteri significa non poter allestire un processo contro un leadership crime. Ed è un ostacolo insormontabile nel momento in cui secondo il diritto internazionale quei soggetti godono di immunità: soltanto la CPI può disconoscere tale privilegio.
– I promotori del tribunale speciale contro la Russia affermano che essa ha intrapreso un’aggressione verso l’Ucraina. A Mosca invece affermano che si tratta di una guerra preventiva. Ma allora perché la comunità internazionale a suo tempo non chiese un analogo processo contro le guerre preventive scatenate dalla Casa Bianca contro l’Iraq e l’Afghanistan a seguito dell’11 settembre?
– Questo è un punto molto importante, perché rivela i doppi standard e l’arbitrarietà che muovono l’opinione della comunità internazionale. D’altro canto, la Russia non può dire di fare una guerra preventiva: è una scusa che non regge dal punto di vista del diritto. È un atto di aggressione, ma per come è stata definita giuridicamente “l’aggressione” bisogna che si esprima il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che è bloccato dal veto russo. Già a marzo, però, l’Assemblea generale ONU ha votato a larga maggioranza per dire che si trattava effettivamente di aggressione.
– La Russia in quella circostanza chiese il voto segreto, ma la sua richiesta non venne accordata. Il voto segreto forse avrebbe permesso a molti Stati di esprimersi in un altro modo senza la paura di essere ricattati economicamente o finanziariamente.
– È una domanda politica che preferirei non commentare, perché esula dal mio campo.
– Ma è legittimo chiedere un voto non segreto? Si è liberi di formarsi la propria opinione geopolitica?
– Certo, è legittimo. Da un punto di vista giuridico, però, ciò che ha fatto la Russia si configura come un’aggressione.
– Proprio come avvenne in Iraq e in Afghanistan.
– Se parliamo della Prima guerra del Golfo, in cui l’Iraq invase il Kuwait, vi è chi ritiene che pure quella degli Alleati può essere considerata un’aggressione contro Baghdad in violazione della Carta ONU o un’azione che comunque violava in maniera grave la Carta. È chiaro che la definizione di aggressione non è un’operazione matematica nella quale vi sono semplicemente due cifre da sommare, come è un’operazione complessa e dai contorni sfumati, come d’altronde in tutto il diritto internazionale.
– E quella della NATO in Jugoslavia fu aggressione?
– Sì, vi sono certamente elementi che riportano alla definizione di aggressione. Altri casi possono essere considerati quelli dell’Armenia e dell’Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh, Israele e Palestina, Turchia e Cipro. Vi sono parecchie situazioni di conquista di un territorio con la forza, vietata dalla Carta dell’ONU, che potrebbero rappresentare atti di aggressione. Ciò che distingue la situazione attuale è che in precedenza non vi era mai stata una reazione così forte della comunità internazionale come quella vista per l’Ucraina. Questo è un dato di cui tenere conto e come penalista la mia opinione specialistica deve fermarsi qui.
– Non è forse strano o inaccettabile che a proporre il tribunale speciale (per giunta ex post) siano Paesi come gli USA che non hanno ratificato la Corte penale internazionale?
– Istituire un tribunale speciale per l’eventuale crimine di aggressione in Ucraina mi lascia perplessa sotto il punto di vista strettamente giuridico. Anzitutto perché già esiste la CPI, anche se allo stato attuale non ha la possibilità di agire. Questo perché gli stessi Stati aderenti l’hanno creata “monca”, mentre la definizione di “aggressione” è talmente complicata e richiede l’elemento politico del Consiglio di Sicurezza ONU da renderla di fatto improcedibile.
La CPI comunque si sta muovendo anche rispetto ai presunti crimini russi in Ucraina, inquadrabili come crimini di guerra, e in vent’anni di attività non ha mai affrontato un’indagine con il ritmo e l’intensità che mette per Kiev. La comunità internazionale, infatti, sta spingendo in questo senso e gli Stati parte danno grossi finanziamenti. Il procuratore capo Karim Khan dice che non sta accettando soldi ad hoc, ma afferma di “spalmarli” su tutti i casi.
Invece gli osservatori, coloro che operano sul campo, chi come me difende le vittime palestinesi davanti alla Corte, non avevano mai visto prima un tale impegno, un tale impiego di risorse e una tale attenzione mediatica come quelli che Khan sta usando in Ucraina. Ciò crea forti dubbi e mostra il double standard con cui certi crimini, altrettanto gravi, vengono ignorati o trascurati perché avvengono altrove e non a Kiev.
Ciò non toglie che le argomentazioni dei fautori del tribunale speciale non siano totalmente prive di merito. Costoro dicono infatti che non bisogna lasciare impunita un’aggressione: secondo loro ci troviamo in questa situazione proprio perché non abbiamo mai veramente punito le aggressioni dal 1945 fino ad oggi, così gli Stati sentono di avere le mani libere. Sul piano giuridico i fini dei promotori del tribunale speciale si possono condividere, ma sul piano politico si nota l’enorme ipocrisia di quegli stessi Stati che in passato non avevano voluto dare a giudici indipendenti la possibilità di perseguire certi crimini.
– Cosa può dirci della composizione del tribunale speciale? Sarebbe possibile che ne siano membri anche gli Stati che hanno partecipato al conflitto seppure non con truppe sul campo ma alimentandolo con forniture militari? Dovrebbero invece farne parte soltanto Stati che hanno mantenuto una posizione sostanzialmente equilibrata come Turchia, Cina o Israele?
– Per quanto ho potuto constatare, non si tratterebbe di una nuova Norimberga nella quale siedono i giudici delle potenze vincitrici. Sarebbe invece un tribunale con una procura e un corpo di giudici scelti in base alle competenze professionali e all’esperienza e non in base alla nazionalità. Perciò pure su questo aspetto il nome “Norimberga” è assolutamente fuorviante. È stato suggerito di instaurare il tribunale all’Aia: l’Olanda non è contraria, perché dall’ennesimo meccanismo internazionale con sede sul suo territorio trarrebbe beneficio (banalmente anche grazie agli introiti derivanti dall’indotto).
Si parla di costituire una procura che inizi a raccogliere prove e poi si vedrà cosa farne. In questo senso alcuni Stati sono attivi più di altri, ma le voci critiche non mancano. Ad esempio è stato di recente pubblicato uno studio approfondito di circa sessanta pagine, commissionato dall’Europarlamento e scritto da due accademici dell’Università di Bruxelles: le loro conclusioni mettono in luce problemi molto seri relativi alla legittimità e alla legalità dell’ipotetico tribunale speciale. In poche parole, non sono molto convinta che alla fine il tribunale si farà.
– Un suo parere da penalista: come giudica il fatto che quasi tutte le parole non vengano raccolte da un organismo terzo della Corte penale internazionale, ma personalmente dal procuratore capo dell’Ucraina? Succede ad esempio che in un certo territorio entrino prima le truppe ucraine e poi dopo due o tre giorni vengono pubblicate le “prove” dei crimini di guerra, prima ancora che soggetti super partes di un meccanismo internazionale abbiano potuto visionarle. Questo elemento di ritardo può indebolire la forza giuridica delle prove o si tratta di qualcosa di normale nella Sua esperienza in questo genere di situazioni?
– Di recente in un evento a margine dell’Assemblea degli Stati parte della CPI abbiamo fatto notare tale elemento. Comunque ora in Ucraina si trova un contingente piuttosto nutrito di investigatori della CPI rinforzato da nuovi soggetti, come la trentina di professionisti mandati dall’Olanda e anche tanti investigatori indipendenti. Il fatto di condurre indagini a conflitto in corso è qualcosa di complicatissimo, uno dei pochi casi in cui lo si sta facendo. Qui è l’aggredito che sta permettendo l’ingresso degli investigatori, ma è evidente che anche gli ucraini cerchino di raccogliere materiale direttamente sul luogo, anche se non credo proprio che la procura della Corte si accontenti di quanto gli viene passato da Kiev.
– Che ne dice della posizione della Cina, che sembra non voler partecipare?
– Non saprei, è una questione politica.
– Dunque non esiste un meccanismo che coinvolge automaticamente determinati Paesi più importanti? Forse perché non fanno parte della CPI?
– Se è per questo, nemmeno gli USA fanno parte della CPI, ma sostengono molto intensamente il lavoro di investigazione. Vorrei chiarire questo punto: se un investigatore viene mandato dall’Olanda o da un altro Paese, ciò non significa che non sia “indipendente”.
– Nemmeno se appartiene a Stati che hanno preso una posizione nettissima rispetto al conflitto?
– Assolutamente no. Ciò non mette minimamente in dubbio l’indipendenza professionale sia degli investigatori della CPI sia di coloro che li stanno supportando all’interno dei meccanismi di cooperazione. Vorrei ricordare che vi sono anche tantissimi osservatori internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch che stanno documentando quanto accade e hanno già sollevato accuse persino verso l’Ucraina.
– Amnesty però ha dovuto ritirare quel dossier.
– Vero, ma era un dossier molto superficiale. La CPI ha già chiarito molto bene che le indagini riguarderanno sicuramente entrambe le parti del conflitto.
– Come vengono selezionati coloro che poi andranno sul campo a fare le indagini?
– Il processo di recruitment della CPI è qualcosa di molto complesso: le verifiche sul conto dei candidati sono estremamente approfondite e riguardano sia l’attività passata che quella presente.
– Dunque questa è una garanzia di indipendenza degli investigatori.
– Certamente. Non sono mica i governi a suggerire quali persone debbano lavorare all’interno della Corte. Gli Stati parte hanno solamente diritto a nominare dei candidati fra i quali verranno poi eletti i diciotto giudici della Corte, che si avvicendano parzialmente ogni tre anni. I funzionari, invece, possono appartenere anche a Paesi non aderenti, anche israeliani o russi ad esempio, cercando comunque di evitare di mandare sul campo soggetti della nazionalità del Paese in causa.
– Ricolleghandoci a quanto detto nella nostra precedente intervista a proposito di Israele, potrebbe dirci come sta procedendo l’indagine?
– L’indagine è stata aperta a marzo del 2021, ma non sono ancora visibili passi concreti. Recentemente ho potuto parlare con chi guida l’indagine della CPI e posso affermare che l’equipe sta lavorando intensamente.
– Abbiamo affrontato il problema della Siria, nominata da Stati asiatici e africani fra i rappresentanti dei diritti dei bambini alla Conferenza mondiale sulla cura e l’istruzione della prima infanzia. La nomina ha sollevato una grande polemica, che però i media occidentali non hanno ulteriormente approfondito. Che ne pensa di questa vicenda?
– Lavorando molto con i profughi siriani in Germania, dove sono ancora in corso i processi per i crimini della Siria, trovo scandaloso persino che si consideri ancora Assad come un capo di Stato col quale intrattenere rapporti internazionali. Quindi è assurdo che la Siria possa ricoprire incarichi del genere. Tuttavia non è un caso isolato, perché anche Israele ha presieduto certi comitati dei diritti umani, all’OSCE per esempio.
– Su questa vicenda soltanto l’ONU potrebbe dare indicazioni?
– Non basterebbe: dovrebbe proprio cambiare il mondo…
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.