The Economist: in Europa non esiste un alleato ideale per l’Ucraina
Il giornale britannico The Economist spiega che i Paesi UE e NATO difettano delle caratteristiche che servono ad aiutare Kiev. Sono tutti o deboli o senza finanze o poco determinati. O tutte queste cose insieme. Inoltre si completa il cambio di narrativa cominciato qualche mese fa: ormai non si parla più di aiuti per la vittoria, ma per tentare di resistere, e la Russia non viene descritta come Paese in fallimento, ma come economia resiliente che ha sconfitto le sanzioni. E non manca la frecciatina subdola agli ungheresi, che i britannici additano come rei di simpatizzare per i russi.
L’europeo ideale
La famosa barzelletta dice che il perfetto europeo guida come un francese, cucina come un olandese, è organizzato come un greco ed è divertente come un tedesco. Una variante della battuta potrebbe assillare coloro che cercano di delineare l’alleato perfetto per l’Ucraina nella sua difesa contro l’aggressione russa. Immaginate allora un Paese delle dimensioni della Lettonia, coi problemi di bilancio degli italiani, la voglia di contribuire degli ungheresi simpatizzanti per il Cremlino e l’industria bellica degli irlandesi neutrali. Attenzione, è un quadro molto simile alla realtà attuale dell’Europa.
L’Ucraina ha bisogno di alleati con grossi budget destinati alle spese militari e che stiano dalla loro parte con decisione. Ma nelle circostanze attuali si tratta o di Stati troppo piccoli per contare qualcosa o troppo impoveriti per poter dare soldi o troppo incerti per usare la propria potenza. Oppure una combinazione di queste tre caratteristiche. Sarebbe necessario un nuovo approccio per rendere i 27 Stati membri dell’Unione Europea messi insieme un unico grande e determinato alleato. Ma è qualcosa di parecchio difficile da ottenere.
“Supporto incrollabile” solo a parole
L’arte di governare è miseramente carente: il vertice dei leader dei Paesi UE del 21-22 marzo è stato pieno di nient’altro che parole di “supporto incrollabile” all’Ucraina. L’atmosfera prima del summit era tetra. Quella che si è trasformata in una guerra di attrito sembra beneficiare la Russia, la cui economia si è dimostrata resiliente alle sanzioni occidentali. Il sostegno da parte di Europa e America ha mantenuto lo Stato ucraino solvibile e i suoi soldati in battaglia. Ora però la scarsità di munizioni di artiglieria (che l’Europa ha promesso, ma che fa fatica a inviare) implica che l’obiettivo primario per gli ucraini è conservare la linea del fronte, non certo contrattaccare per poi forzare i russi a chiedere la pace. Peggio ancora, se Donald Trump vince le elezioni di novembre, l’Europa potrebbe ritrovarsi con la prospettiva di respingere la Russia da sola.
Nel tentativo di galvanizzare gli umori continentali, il presidente francese Emmanuel Macron si è spinto a suggerire che alcuni Paesi NATO possano inviare le proprie truppe in Ucraina, ma ha generato soltanto urla simultanee di entusiasmo, di panico e di scherno. Sulla carta, gli europei dovrebbero essere in grado di fornire all’Ucraina più di quanto basti. I 30 Stati europei che fanno parte della NATO costituiscono, messi insieme, il secondo budget militare al mondo, dietro agli USA e ampiamente davanti alla Russia. La loro economia è maggiore di quella americana. Nel Vecchio Continente il desiderio che l’Ucraina vinca è forte; spaventa il pensiero che Vladimir Putin possa non essere soddisfatto dall’aver invaso un vicino soltanto.
L’alleato ideale di Kiev non esiste
Il problema è che le caratteristiche dell’alleato ideale di Kiev non sono distribuite in maniera omogenea fra i Paesi UE. La maggior parte dei sostenitori più agguerriti sono in realtà gli Stati più piccoli, come i baltici e gli scandinavi. Per esempio l’Estonia, che è nel gruppo dei Paesi che destinano alla Difesa una grossa quota del PIL. Le sue finanze pubbliche in salute le permettono di applicare ciò che dice: Tallinn detiene il record UE di aiuti pro capite bilaterali all’Ucraina. Ma è tutto qui, perché alla fine gli estoni sono soltanto 1,4 milioni. La premier Kaja Kallas vorrebbe che tutti gli alleati di Kiev spendessero un ulteriore 0,25% del PIL per la difesa contro la Russia. I soldi che arrivano dall’Estonia servono a pagare per l’Ucraina un numero di proiettili appena sufficiente a competere con due giorni di fuoco dell’artiglieria russa.
Un altro Paese membro, la Repubblica Ceca, ha impressionato con la sua sveltezza. Nelle ultime settimane è riuscita a ottenere 800mila proiettili di artiglieria, prendedoli un po’ dappertutto, in modo da reggere il fuoco russo per tre mesi.
Giudizi sul contributo dei membri UE
Alcuni Paesi più grandi dell’Estonia non hanno delle finanze altrettanto buone. La spesa bellica totale degli Stati membri della NATO nel 2023 è stata di circa 65 miliardi di dollari in meno rispetto a quanto sarebbe stato se avessero raggiunto l’obiettivo minimo dell’Alleanza Atlantica, che è il 2% del PIL. Più di metà di quel deficit viene da un gruppetto di Paesi con una proporzione fra debito e PIL più alta del 100%.
Italia, Spagna e Francia sono fra i membri più grossi della UE, ma negli ultimi anni hanno avuto un margine di azione finanziaria piuttosto piccolo per investire nelle capacità militari. Il loro contributo all’Ucraina è stato deludente. A dispetto della retorica in stile baltico di Macron, l’ammontare degli aiuti militari che la Francia ha inviato a Kiev è stato abbastanza misero (ma è compensato dalla qualità di ciò che manda, dicono gli esponenti del governo di Parigi, che sottolineano l’importanza della fornitura di obici e di missili da crociera).
Alleati quasi perfetti
Ci sarebbe un Paese UE che è grande, prospero e quindi capace di spendere molto… ma ahimè la Germania è finita nel gruppo dei Paesi esitanti. Il cancelliere Olaf Scholz sta aumentando le spese militari e ha promesso tanti soldi ed equipaggiamento bellico all’Ucraina, ma spesso agisce in ritardo. Ha tergiversato su tutti gli invii di armi e ha poi rimandato la consegna dei tank: ora si è opposto alla fornitura di missili Taurus, che secondo Kiev potrebbe essere molto utili. Qualcuno del suo partito sembra contento dell’idea di un “conflitto congelato” o di una piattaforma di “colombe” per le elezioni del prossimo anno. La Polonia, probabilmente l’unico Paese grande e solvibile che ha un atteggiamento preoccupato da “falco” nei confronti della Russia, ha condotto con successo una campagna di limitazione delle importazioni di merci agricole ucraine, ostacolando così l’economia del suo alleato nel tentativo di ammansire i propri agricoltori.
Meccanismi di finanziamento
Se alcuni Paesi sono piccoli e altri hanno pochi soldi o poca ambizione, perché non unire le forze? Nell’Unione Europea vi sono meccanismi a sufficienza, uno migliore dell’altro. Una spinta del programma European Peace Facility prevista per il 18 marzo avrebbe dovuto fare in modo che venissero forniti all’Ucraina equipaggiamento di un valore pari a 5 miliardi di euro, ma si è parzialmente rivelato il riciclo di precedenti commesse. Un’idea migliore, ventilata dall’Estonia ed ora appoggiata da Macron, è che la UE prenda a prestito congiuntamente 100 miliardi che servano al rafforzamento della difesa del blocco; si tratterebbe di una riproposizione del Next Generation, il fondo di contrasto alla pandemia da 750 miliardi di euro. Un meccanismo del genere renderebbe la UE un unico grande, solvibile e potenzialmente ambizioso alleato per l’Ucraina.
Per il momento fanno resistenza i Paesi più ricchi, specialmente quelli del Nord Europa, che hanno finito per coprire i debiti lasciati su gran parte del denaro preso a prestito dall’Unione e che avevano acconsentito al fondo pandemico solo come un indebitamento una tantum. Gli scettici sono preoccupati che un grosso fondo destinato alla difesa diventi ostaggio del classico tipo di sclerosi che colpisce i progetti comuni della UE, spesso bloccati dal veto dell’Ungheria. Potrebbero avere ragione loro. Ma l’Ucraina preferirebbe un alleato grande, sebbene imperfetto, a tanti piccoli alleati che poi si rivelano non all’altezza ognuno per motivi diversi.
Raccogliere le voci dei protagonisti dalle varie parti del mondo e documentare i numeri reali inerenti ai grandi dossier e questioni d’attualità è il modo migliore e più serio per fare informazione. L’obiettivo finale è fornire gli strumenti ad ogni lettore e lettrice per farsi una propria opinione sui fatti che accadono a livello mondiale.