Scontro Occidente-Russia, Emmanuele Panero: “Se la NATO schierasse delle forze in assetto da combattimento, il loro ingaggio diventerebbe assai probabile. Conoscendo la dottrina di Mosca non è escluso che la Federazione Russa reagirebbe con l’uso di armi nucleari tattiche”
Mentre continua l’escalation di dichiarazioni tra i leader occidentali e la Federazione Russia, Papa Francesco sceglie la Domenica di Pasqua per lanciare un appello inedito
Mentre invito al rispetto dei principi del diritto internazionale, auspico uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina: tutti per tutti!
Il pontefice tenta di tracciare, ancora una volta, una strada, una via d’uscita verso la pace: non solo in Ucraina ma anche negli altri scenari di guerra. Aggiunge infatti: “faccio nuovamente appello a che sia garantita la possibilità di accesso agli aiuti umanitari a Gaza, esortando nuovamente a un pronto rilascio degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso e a un immediato cessate-il-fuoco nella Striscia“.
Francesco ribadisce poi “Non permettiamo che le ostilità in atto continuino ad avere gravi ripercussioni sulla popolazione civile, ormai stremata, e soprattutto sui bambini. Quanta sofferenza vediamo negli occhi dei bambini. Con il loro sguardo ci chiedono: perché? Perché tanta morte? Perché tanta distruzione? La guerra è sempre un’assurdità e una sconfitta! Non lasciamo che venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo. Non si ceda alla logica delle armi e del riarmo. La pace non si costruisce mai con le armi, ma tendendo le mani e aprendo i cuori. – Conclude poi Papa Francesco – Preghiamo anche per le vittime di ogni forma di terrorismo gli autori di tali crimini li invito al pentimento e alla conversione“.
La risposta delle forze in campo all’appello del Papa
A questi appelli di pace però corrispondono i fatti. Negli ultimi quattro mesi il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, è stato due volte in Corea del Sud, una in Giappone, in India e nelle Filippine. Il suo vice Kurt Campbell è stato recentemente a Tokyo. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha effettuato a novembre, con tappe in India, in Corea del Sud e in Indonesia, il suo nono viaggio nella regione da quando è a capo del Pentagono. E il mese prossimo, l’11 aprile, il presidente americano riceverà a Washington l’omologo filippino, Ferdinand Marcos Junior, e il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, per un vertice trilaterale di nuovo formato non dissimile a quello che lo scorso anno la Casa Bianca ha ospitato con il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol in luogo di Marcos. Il disegno è quello della creazione di una NATO asiatica.
E la Polonia ha fatto alzare in volo nella notte tra sabato e domenica i caccia per proteggere il proprio spazio aereo a seguito di un attacco missilistico russo sull’Ucraina dopo che il viceministro degli Esteri polacco Andrzej Szejna ha detto che il suo governo sta “valutando la possibilità di abbattere i missili che volano verso il territorio della NATO“. Sempre in questi giorni alcuni caccia italiano hanno intercettato dei jet russi che sorvolavano il Mar Baltico.
A dispetto degli appelli dalla Santa Sede prosegue ad acuirsi la crisi in Europa. Abbiamo interpellato sul tema Emmanuele Panero, analista responsabile del Desk Difesa & Sicurezza del Ce.S.I.
– Alla fine della scorsa settimana il ministro della Difesa Crosetto ha fatto delle dichiarazioni piuttosto forti sul pericolo di un’escalation del fronte russo-ucraino. Come commenta le parole del Ministro? C’è davvero la possibilità che la situazione precipiti?
– Se consideriamo la situazione sul campo, allora vediamo delle criticità: il blocco posto dal Congresso americano all’assistenza militare per Kiev, il pacchetto da 60 miliardi di dollari, le attrezzature e le armi precedentemente commissionate che hanno continuato ad affluire finché sono state inviate tutte. Ricordiamo che tale afflusso di armamenti era finalizzato a dare all’Ucraina gli strumenti per difendersi e per tenere il fronte, non necessariamente per condurre operazioni offensive.
Venendo a mancare tale appoggio, Kiev ha sperimentato una grave carenza di equipaggiamento (in particolare di munizioni). L’esercito russo ha cercato di sfruttare al meglio le circostanze, prendendo l’iniziativa su tutto il fronte. E non dimentichiamo poi che anche da parte dei Paesi dell’Unione Europea il sostegno è stato insufficiente, soprattutto quello indiretto di tipo finanziario. Nel contesto di una guerra di attrito come questa, basata sulla differenza di materiali, l’Ucraina si è così ritrovata in condizione di dover arretrare progressivamente. Tale arretramento progressivo è un processo lento, nell’ordine di alcune centinaia di metri al giorno o di qualche chilometro a settimana, ma non si vede affatto come il fronte ucraino possa sopravanzare o almeno mantenersi.
Dal canto suo, nonostante il significativo attrito in termini di materiali e di uomini, la Federazione Russa ha l’iniziativa su gran parte del fronte. Sorge quindi la domanda: come potrà evolversi la situazione, partendo dalle perplessità e dalle preoccupazioni date dalle parole di Emmanuel Macron sull’invio dei soldati NATO? Il presidente francese ha sollevato una questione spinosa, quella relativa a come sostenere un’Ucraina costretta un po’ per volta ad arretrare.
Vorrei aggiungere un elemento a questo quadro non molto chiaro: ad oggi il fronte ucraino non è ancora collassato, anche perché l’attrito che Mosca ha subito negli ultimi due anni implica la sua mancanza di mezzi sufficienti che consentano una penetrazione che aggiri le posizioni ucraine. L’Ucraina rimane sulla difensiva e sta ripiegando in molti punti del fronte.
– Il ministro Crosetto ha detto: “prepariamoci a cose gravi”. Il generale Luigi Chiapperini, già comandante delle forze NATO, ha aggiunto che l’Europa è sotto attacco. Condivide questi allarmi?
– Non sono nelle condizioni di commentare le parole di persone con competenze superiori e che hanno accesso a informazioni di prima mano. Posso solo ribadire il problema sostanziale già citato prima: l’assistenza fornita dai Paesi europei non è attualmente sufficiente per l’Ucraina. Uno dei motivi è che non vi è stata una mobilitazione industriale: dunque le tempistiche di produzione e di consegna hanno i ritmi da periodo di pace, non di guerra.
Ma il contesto geopolitico è cambiato, con una minaccia sul fianco orientale dell’Alleanza Atlantica e affinché la deterrenza sia credibile bisogna essere in grado di difendersi, ed è il discorso che la NATO sta sviluppando. Proprio in questi mesi si sta svolgendo Steadfast Defender 2024, l’esercitazione “multidominio” più grande degli ultimi decenni. La deterrenza si fonda sulla reale capacità di difendersi, che è un aspetto importante anche per il concetto di ambiguità strategica. Infatti l’ambiguità è tale solo se da un lato si possiede effettivamente la disposizione e la capacità industriale per poter poi eventualmente agire.
Come è facile intuire, non vi è nessuna ambiguità se manca la possibilità di intraprendere entrambe le linee di azione. Si può tenere una postura più attiva, ma senza le necessarie capacità si deve seguire l’unica opzione a disposizione, mentre l’ambiguità strategica poggia anche su una capacità concreta di deterrenza e difesa.
– Poniamo che vengano considerate come già oltrepassate tutte quante le “linee rosse”, argomento di cui avevamo parlato in interviste col professor Virgilio Ilari e con il direttore Alessandro Politi. Tali linee sembrano ormai più “arancioni” che rosse: immaginiamo allora che si verifichi lo scenario peggiore, quello del confronto aperto fra NATO e Russia. In questo caso sarebbe più probabile uno scontro convenzionale oppure di altro genere, magari nucleare?
– Le “linee rosse” sono state finora valicate da entrambe le parti, per esempio con la fornitura all’Ucraina di armi sempre più potenti da parte dei Paesi occidentali o con la condotta bellica dei russi. Pensiamo poi al fatto che la soglia di utilizzo delle armi nucleari da parte di Mosca dovrebbe risultare più bassa rispetto a quella che si impone la NATO.
Riguardo la linea rossa recentemente varcata – per adesso soltanto a parole – da Macron, occorre precisare che il presidente francese si riferiva al coinvolgimento di truppe da parte di Paesi membri della NATO, non da parte della NATO in quanto tale. Apertasi la discussione sul tema, alcuni Stati hanno espresso contrarietà alla prospettiva di inviare i propri soldati.
– Se un Paese membro (o una coalizione di membri) dell’Alleanza Atlantica decide di mandare le truppe in Ucraina, e in risposta la Russia decide di attaccarli, che cosa accadrebbe in seno alla NATO? Gli altri Paesi membri sarebbero tenuti a intervenire a loro volta?
– Fortunatamente non ci siamo mai trovati in questa situazione. Dunque su tale vicenda si aprirebbe subito un enorme dibattito giuridico a livello di interpretazione dei trattati e in particolare dell’articolo 5. Vi sarebbero argomentazioni forti sia per i favorevoli che per i contrari: alcuni metterebbero l’accento sul fatto che in primis vi è stata una sorta di provocazione di un Paese intervenuto unilateralmente e poi l’invito da parte di Paese aggredito, altri sottolineerebbero come nell’articolo 5 si parli di attacco e della conseguente reazione automatica. Entreremmo in un ambito molto complesso, che ad oggi non ha una risposta.
L’interpretazione più semplice forse sarebbe quella che fa riferimento all’attacco contro un Paese NATO – indipendentemente dal motivo per cui è stato sferrato – che dovrebbe attivare il meccanismo previsto dall’articolo 5. Tornando sulla questione degli scenari di scontro fra Russia e Alleanza Atlantica, dobbiamo evidenziare come oggi il campo di battaglia sia multidimensionale o multidominio, quindi è molto difficile immaginare che i due schieramenti dispongano le proprie forze su un fronte unico e statico.
Se la NATO schierasse delle forze non soltanto di supporto, ma in assetto da combattimento, il loro ingaggio diventerebbe assai probabile e avrebbe delle conseguenze rilevanti. La portata di queste ultime deriva dal fatto che l’Alleanza come tale e i suoi singoli membri hanno delle capacità significative in particolare nel dominio aereo, le quali comporterebbero serie perdite sul lato russo. Conoscendo quello che è noto della dottrina di Mosca, non è escluso che la Federazione Russa reagirebbe con l’uso di armi nucleari tattiche.
Ripeto che qui siamo nell’ambito delle mere ipotesi. Sulla base delle diverse dottrine e dell’interpretazioni della condotta di operazioni in un contesto in cui uno dei due contendenti – sia chiaro, si parla di war gaming – potrebbe ricorrere alle armi nucleari tattiche, possiamo dire che se queste ultime venissero impiegate da entrambe le parti, ci sarebbe un passaggio qualitativo più che quantitativo. Così diventerebbe difficile persino discriminare il concetto di arma nucleare tattica, perché non vi è un limite che indichi la potenza che viene applicata. Si entra nell’ambito di un rischio notevole di escalation.
Molti esperti del settore, inclusi ex generali come l’americano David Petraeus, in passato hanno affermato come le capacità della NATO, in particolare di striking dall’aria, siano talmente elevate che i Paesi dell’Alleanza (lo ripetiamo, sempre in uno scenario estremamente ipotetico, nel quale non ci lanciamo in interpretazioni) potrebbero ritenere che se anche la minaccia effettuasse un’escalation fino all’arma nucleare tattica, essi potrebbero continuare a operare nell’ambito del convenzionale, perché sarebbero comunque in condizione di generare effetti tali da disarticolare il dispositivo avversario.
– In un contesto simile potrebbero intervenire attori come la Cina o l’India?
– Se parliamo di rischi di escalation allora si parla anche di deterrenza, che si fa sia con le capacità concrete sia con le parole, aprendo discussioni su certi temi per favorire l’ambiguità strategica. Tutti gli attori sono tendenzialmente razionali e ben consapevoli delle conseguenze di un’escalation, anche solo convenzionale, e sono consapevoli della linea sottilissima che separa un’escalation convenzionale da una nucleare. Sono tutti scenari molto aperti.
La Cina ha sempre mantenuto una postura ambivalente. Ricordiamo il piano avanzato da Pechino per la risoluzione del conflitto e le sue relazioni molto strette con Mosca (per esempio nel commercio di equipaggiamenti). Sebbene pure l’India intrattenga rapporti stretti con la Federazione Russia, dobbiamo dire che entrambi i Paesi asiatici si siano tenuti lontani dal conflitto europeo, dunque è difficile fare delle riflessioni serie sulla questione.
– A proposito della fornitura di armi all’Ucraina, il fatto di continuare a inviarne di sempre più potenti non rischia di rivelarsi un’opportunità per la Russia di testare l’efficacia e il meccanismo di tali armamenti di fabbricazione NATO?
– Sì, il rischio c’è eccome! Specialmente per quegli equipaggiamenti condivisi e sviluppati assieme da diversi Paesi del blocco euroatlantico, che scelgono di mandare quelle attrezzature e non altre non soltanto a seconda che ve ne siano o meno delle scorte o che si sia in grado di produrle nuovamente, ma anche in funzione del rischio che i russi acquisiscano delle lesson learned. Per certi versi ciò è già avvenuto.
Rammentiamo per esempio l’impatto iniziale avuto dai sistemi HIMARS appena arrivati dagli Stati Uniti: attualmente se ne sente parlare molto di meno e il motivo è semplice, perché si tratta di munizionamento guidato col GPS e la Russia nel frattempo ha acquisito competenze di guerra elettronica per “jammare”, cioè interferire col segnale e far sì che la precisione di questo munizionamento si riduca. Oppure pensiamo alle bombe a guida GPS come le JDAM o a munizionamento guidato da artiglieria come i proiettili Excalibur da 155 mm.
Nella guerra elettronica i russi hanno attuato le loro contromisure, sia sull’equipaggiamento che è stato inviato dagli occidentali sia su quello che è stato sviluppato in loco, come i droni FPV (First Person View). L’efficacia dei droni viene attualmente dall’elevatissima massa con cui sono impiegati sul campo di battaglia, ma molti di essi vengono neutralizzati dalla contraerea di prossimità e dagli strumenti di guerra elettronica. Si stima che l’Ucraina perda 10mila droni al mese.
– L’acquisizione di dati, esperienza e know how degli equipaggiamenti si verifica reciprocamente su entrambi i lati del fronte?
– Certamente. Nei conflitti, entrambe le parti traggono delle leasson learned operative, dottrinali, capacitive e tecnologiche. Le variabili da considerare comunque sono tante. Pensiamo al fatto che i carri M1 Abrams dati a Kiev non sono la versione oggi in dotazione all’esercito americano.
Lo stesso vale per i missili balistici a corto raggio ATACAMS, che sono quelli delle scorte più vetuste, non gli ultimi dispiegati dalle unità missilistiche dello U.S. Army
– Come legge il cambio di postura da parte di Pechino nell’ambito della riorganizzazione delle sue forze armate e della sua capacità di proiezione?
– Il processo di riforma dell’esercito cinese è in corso da decenni, ma dal 2015 in poi vi è stata un’accelerazione impressa da Xi Jinping. La Cina vuole sostanziare il suo primato economico con un ruolo geopolitico più significativo. È un processo progressivo, gravato da criticità di vario tipo: vi sono stati ad esempio episodi di corruzione balzati agli onori delle cronache e problemi derivanti dal fatto che la Repubblica Popolare Cinese non ha esperienza operativa recente, mentre le poche esperienze operative della sua storia militare non sono state particolarmente esaltanti.
C’è un processo di miglioramento progressivo che pone la Cina su una traiettoria di aggiornamento delle sue capacità militari e di aumento della credibilità del suo dispositivo. Una conferma di ciò è l’apertura della base a Gibuti, la prima al di fuori dei confini nazionali. Ciò pone delle sfide, perché la base deve essere approvvigionata e sostenuta e quindi favorisce la sperimentazione delle relative attività da parte delle forze cinese.
I cinesi apprendono osservando e hanno capacità sotto il profilo dottrinale e tecnologico molto avanzate, tenendo sempre in mente il principio per cui non è il sistema d’arma che fa la forza d’armata, ma è la forza d’armata con la dottrina che si dota del sistema d’arma adeguato.
– Nelle interviste che ci hanno concesso, Ilari ha affermato che fra gli attuali quadranti il fronte ucraino è quello meno caldo e Politi pone il vero rischio di guerra mondiale non a Gaza o nel Donbass, ma nel Pacifico. Condivide queste riflessioni?
– Se ci rifacciamo al NATO Strategic Concept, allora per il Continente europeo la Federazione Russa e la situazione in Ucraina rappresentano un motivo di significativa preoccupazione. L’assertività del Cremlino si era concretata con l’annessione della Crimea nel 2014 ed è proseguita con il conflitto a bassa intensità nel Donbass, per poi passare il 24 febbraio 2022 a un conflitto convenzionale ad alta intensità iniziato come aggressione o “operazione militare speciale”.
La questione non è da sottovalutare sotto alcun punto di vista, perché tra l’altro ha comportato una mobilitazione dell’economia della Federazione Russa, che è diventata economia di guerra. A livello tecnologico i russi stanno sviluppando le capacità di medio termine per sostenere uno sforzo bellico notevole. L’attenzione a questi fattori è ciò che risulta stando al dettato dei documenti strategici pubblici dell’Alleanza Atlantica e ai documenti sulla strategia di sicurezza dei singoli Paesi membri pubblicati di recente. Anche in Medio Oriente la situazione è altamente critica e ha dei potenziali di destabilizzazione di lungo termine.
Abbiamo visto gli effetti che il conflitto nella Striscia di Gaza ha avuto attivando i gruppi di houthi nello Yemen, con pesanti conseguenze sulle nostre economie. Le azioni di un gruppo guerrigliero hanno generato tali effetti perché in un sistema globale di economie interconnesse se i costi delle assicurazioni salgono, allora salgono anche i costi di trasporti e infine il costo dei beni che viaggiano sui mezzi che devono essere assicurati. La competizione nell’Indo-Pacifico è plausibilmente la traiettoria strategica di lungo termine a cui è opportuno porre attenzione.
Vi è una competizione nel Mar Cinese Meridionale fra due potenze globali. La Cina ha raggiunto il primato economico, sta migliorando le sue capacità militari, ha iniziative internazionali che coinvolgono diversi Paesi, sta dimostrando un grande attivismo nel Sud Globale e compete per il controllo di aree nel Pacifico. Quasi tutti i documenti del Pentagono e della comunità di intelligence si concentrano sulle attività della Repubblica Popolare Cinese e su come le Forze armate statunitensi possano avere capacità, piani e dottrine adeguate per operare nell’eventualità di un conflitto nell’Indo-Pacifico, proprio perché Washington vuole avere una deterrenza credibile.
– L’esperta di Medio Oriente Roberta La Fortezza ha denunciato all’agenzia Nova la preoccupazione per l’estensione degli attacchi di Israele nel nord del Libano, aggravata dalla risposta di Hezbollah. Secondo lei un’ulteriore escalation è possibile?
– È un rischio che non si può escludere completamente. Dall’avvio dell’operazione israeliana, Hezbollah ha portato avanti una serie di azioni continuative e di attrito per impegnare una parte del dispositivo militare di Tel Aviv nel Libano e dunque per complicare le operazioni israeliane nella Striscia di Gaza. Il conflitto oggi consiste da un lato in quotidiani lanci di razzi, colpi di mortaio e ingaggi con armi leggere e dall’altro lato in azioni a lungo raggio di Israele che fanno vittime e feriti.
L’elemento da non sottovalutare è l’interesse mostrato dagli attori regionali a evitare un’eccessiva escalation dello scontro. Sicuramente Israele percepisce Hezbollah come una minaccia perché ha capacità militari significative e lo ha già dimostrato. In questo conflitto strisciante, che ha implicato l’evacuazione di kibbutz e villaggi israeliani presso il confine – e che dunque ha generato effetti sociali che incrementano la tensione all’interno dello Stato israeliano – Hezbollah ha avuto perdite non trascurabili sia in termini umani che materiali.
Con le sue capacità, Hezbollah da un lato rappresenta un deterrente, ma dall’altro è consapevole che un conflitto aperto implicherebbe una sensibile riduzione della potenza militare che ha accumulato sinora.
– L’allargamento della NATO a Svezia e Finlandia rischia di causare un nuovo fronte di attrito con la Russia? Potrebbe rivelarsi un boomerang per l’Alleanza Atlantica? Oppure i due Paesi scandinavi, storicamente neutrali, troveranno il modo di non essere percepiti da Mosca come un pericolo?
– Svezia e Finlandia avevano relazioni rilevanti con l’Alleanza Atlantica, erano già dei partner sotto numerosi aspetti. Inoltre prendevano atto della condotta della Federazione Russa, la quale effettuava sorvoli ravvicinati di velivoli militari ai limiti dello spazio aereo, conduceva esercitazioni nella regione artica, i suoi sottomarini passavano in acque internazionali prospicenti le acque territoriali dei Paesi in questione. Dunque la Scandinavia di fatto era già un’area di attrito.
Al netto delle lungaggini di natura politica, quello svedese e finlandese è stato un accesso molto facile perché Stoccolma ed Helsinki soddisfacevano molti degli standard di tipo tecnologico o capacitivo richiesti da Bruxelles. Oggi è plausibile che gli episodi aumentino o che vengano riportati maggiormente nelle procedure interne NATO, ma non si vede un punto di attrito nuovo.
Un fattore significativo è che sotto numerosi aspetti il Mar Baltico è diventato mare interno all’Alleanza Atlantica, garantendo così una maggiore consapevolezza situazionale e una maggiore condivisione di informazioni, generando un miglior coordinamento sul monitoraggio e il contrasto di azioni provocatorie da parte di Mosca.
Nato a Torino il 9 ottobre 1977. Giornalista dal 1998. E’ direttore responsabile della rivista online di geopolitica Strumentipolitici.it. Lavora presso il Consiglio regionale del Piemonte. Ha iniziato la sua attività professionale come collaboratore presso il settimanale locale il Canavese. E’ stato direttore responsabile della rivista “Casa e Dintorni”, responsabile degli Uffici Stampa della Federazione Medici Pediatri del Piemonte, dell’assessorato al Lavoro della Regione Piemonte, dell’assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte. Ha lavorato come corrispondente e opinionista per La Voce della Russia, Sputnik Italia e Inforos.