REPORTAGE IN ESCLUSIVA – Viaggiando attraverso l’inferno siriano post terremoto

REPORTAGE IN ESCLUSIVA – Viaggiando attraverso l’inferno siriano post terremoto

5 Marzo 2023 0

«Shukran liujudicom huna, shukran lidaamikom», grazie per essere qui, grazie per il vostro sostegno. Piange e prova a sorridere Juri, mentre ci stringe a sé come a voler condividere il dolore lacerante che si porta dentro. E’ la giovane preside di una scuola media di Aleppo, che ha perso la famiglia a Jenderes, cittadina ad una manciata di chilometri da Afrin, l’enclave curda del nord-ovest della Siria, pesantemente colpita dai bombardamenti turchi prima e dal terremoto del 6 febbraio scorso poi. Malgrado il suo dramma, è qui a prendersi cura di 500 persone che come lei hanno subito la stessa sorte.

Nei suoi occhi non trapela disperazione, ma solo grande dignità e forza, quella che serve per rimboccarsi le maniche ed aiutare gli altri ad andare avanti. Le aule dell’edificio, risparmiate solo per un puro caso dai bombardamenti e dai colpi di artiglieria pesante sferrati durante i sanguinosi scontri fra l’esercito di Damasco e i gruppi ribelli, oggi servono da rifugio a chi è scampato alla furia del sisma. Stanze maleodoranti, dove qualsiasi virus troverebbe terreno fertilissimo per propagarsi, senti bambini piangere altri giocare e rincorrersi, un modo per spezzare la monotonia di giorni sempre uguali a sé stessi.

Il lavoro della Ong Terre des Hommes

In quell’istituto, messo a disposizione dei terremotati dal ministero dell’Istruzione siriano, la Ong italiana Terre des Hommes (Tdh it) sta portando aiuti, coperte, kit per bambini, cibo, tutto quello che può servire nell’emergenza. Una parola che in Siria non conosce la parola fine, come la guerra che da dodici anni riga di lacrime e sangue il suo volto. Tdh è presente in territorio siriano dal 2007 e anche nelle fasi più cruente del conflitto, non ha voltato le spalle alla popolazione.

«Non li abbiamo mai lasciati soli, siamo sempre rimasti qui a fianco a loro – riferisce Mohammad Aziz Alì, responsabile di Terre des Hommes a Damasco –. Abbiamo portato aiuti, offerto soccorso, prendendoci cura di donne, bambini, anziani mutilati dalle mine sparpagliate nelle città e nei terreni. Continuiamo a dare il nostro aiuto anche adesso, che la gente è stremata dalla fame e dalla miseria. Il 93% della popolazione vive al di sotto della soglia minima di povertà, con le sanzioni di Stati Uniti e Unione europea che affossano ancor di più la popolazione. Lo stipendio medio mensile di un impiegato, un medico è di 25 dollari e – conclude – con quelli non si riesce a campare, con il costo della vita che aumenta di giorno in giorno e che costringe la gente a comprare qualsiasi cosa al mercato nero, pure il gasolio per riscaldarsi».

Che cosa resta della Siria?

Devastazioni, macerie. E’ la Siria di oggi. I fasti ante guerra di uno Stato sviluppato e moderno, all’interno del panorama mediorientale, sono un ricordo sbiadito, non esistono più.

Quella che un tempo era la culla della civiltà, dove in ogni angolo del paese si contemplavano i resti di una cultura millenaria, frutto di diverse dominazioni (fenici, civiltà mesopotamiche, romani, arabi, mongoli e ottomani), ora è solo un cumulo di polvere. Ti si attacca dappertutto e te la porti addosso per giorni. Da sud verso nord, percorrendo la M5 International Damascus-Aleppo highway, dopo aver ottenuto finalmente le autorizzazioni per lasciare Damasco lo scenario è sempre uguale.

Villaggi e città fantasma appaiono in una processione senza fine dove non scorgiamo anima viva ma solo tanti check point governativi nel nostro percorso verso Homs, Hama e la provincia orientale di Idlib. Incontriamo Maarret Annoman e Sarakeb, i maggiori centri dell’area completamente rasi al suolo durante i sanguinosi scontri fra esercito siriano e ribelli. Il passaggio di un convoglio di aiuti umanitari russi, scortato di tutto punto da mezzi militari, spezza la monotonia di quel paesaggio spettrale.

Il rischio che siano sottostimate le vittime della guerra siriana

Dinnanzi alle immagini di una delle più gravi catastrofi umanitarie commesse dall’uomo, ti chiedi se non siano stimate per difetto le 500mila vittime di dodici anni di combattimenti. E là dove non ha potuto la guerra, è arrivato il terremoto facendo nuove vittime, 6mila 500 quelle accertate. Entrando ad Hama, i bambini che giocano fra i detriti del palazzo crollato nei 90 secondi di sisma, durante i quali 44 persone hanno perso la vita, ci corrono incontro e ci salutano. Gli occhi vivaci e sorridenti di Jamila, 4 anni appena, illuminano il viso della piccola annerito dalla polvere delle macerie. Per lei e per i suoi coetanei nessun parco giochi ad Hama e nelle città trasformate in teatri di guerra. «Il conflitto ha negato loro la libertà di vivere un’infanzia normale, come quella di tutti gli altri bambini- spiega Ahmed, un operatore umanitario-. Vivono nella miseria, non hanno nulla e sono sempre alla ricerca di qualcosa, di soldi. A volte penso che sarebbe stato meglio per loro morire sotto i bombardamenti», è l’amarissima conclusione.

Alla fine, distribuiamo quello che abbiamo in auto e il loro el shukr, per un attimo ci distoglie dagli orrori che incontriamo nel nostro lungo cammino. Ad Hama, Abdurazak, un uomo di quarantacinque anni, è riuscito a portare in salvo i suoi familiari rimasti imprigionati per otto ore al quarto piano dell’edificio, dopo che la scala di accesso era venuta giù.

La furia del terremoto a Jebleh

Lasciamo la città, la nostra prossima destinazione è Jebleh a una ventina di chilometri da Latakia, sede di una base dell’aeronautica russa. Qui la furia del terremoto ha causato il crollo di 39 edifici e 314 vittime, mentre in tutta la provincia sono 805 le persone uccise dal cataclisma.

FOTO - Marzo 2023 - A Jebleh, 20 km da Latakia (Siria)
FOTO – Marzo 2023, A Jebleh, 20 km da Latakia (Siria)
«La maggior parte dei terremotati ha trovato ospitalità nelle scuole messe a disposizione dal ministero dell’Istruzione – chiarisce Jibran, responsabile di Terre del Hommes Italia a Latakia – ma dopo la seconda forte scossa, hanno preferito unirsi a chi non ha mai lasciato la strada». Samira è una di loro, la incontriamo davanti alle macerie del suo appartamento in un immobile di cinque piani. Piange e si dispera per la morte del nipotino di cinque anni, ci mostra una sua foto in compagnia del fratellino, che si è miracolosamente salvato, ma gli hanno dovuto amputare un braccio. Tutti qui vogliono raccontarti quello che hanno sopportato e il mantra è sempre lo stesso: «non ci bastavano i dodici anni di guerra, pure questa disgrazia doveva capitarci».

 

Marina Pupella
MarinaPupella

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