REPORTAGE IN ESCLUSIVA – Viaggiando attraverso l’inferno siriano post terremoto
«Shukran liujudicom huna, shukran lidaamikom», grazie per essere qui, grazie per il vostro sostegno. Piange e prova a sorridere Juri, mentre ci stringe a sé come a voler condividere il dolore lacerante che si porta dentro. E’ la giovane preside di una scuola media di Aleppo, che ha perso la famiglia a Jenderes, cittadina ad una manciata di chilometri da Afrin, l’enclave curda del nord-ovest della Siria, pesantemente colpita dai bombardamenti turchi prima e dal terremoto del 6 febbraio scorso poi. Malgrado il suo dramma, è qui a prendersi cura di 500 persone che come lei hanno subito la stessa sorte.
Nei suoi occhi non trapela disperazione, ma solo grande dignità e forza, quella che serve per rimboccarsi le maniche ed aiutare gli altri ad andare avanti. Le aule dell’edificio, risparmiate solo per un puro caso dai bombardamenti e dai colpi di artiglieria pesante sferrati durante i sanguinosi scontri fra l’esercito di Damasco e i gruppi ribelli, oggi servono da rifugio a chi è scampato alla furia del sisma. Stanze maleodoranti, dove qualsiasi virus troverebbe terreno fertilissimo per propagarsi, senti bambini piangere altri giocare e rincorrersi, un modo per spezzare la monotonia di giorni sempre uguali a sé stessi.
Il lavoro della Ong Terre des Hommes
In quell’istituto, messo a disposizione dei terremotati dal ministero dell’Istruzione siriano, la Ong italiana Terre des Hommes (Tdh it) sta portando aiuti, coperte, kit per bambini, cibo, tutto quello che può servire nell’emergenza. Una parola che in Siria non conosce la parola fine, come la guerra che da dodici anni riga di lacrime e sangue il suo volto. Tdh è presente in territorio siriano dal 2007 e anche nelle fasi più cruente del conflitto, non ha voltato le spalle alla popolazione.
«Non li abbiamo mai lasciati soli, siamo sempre rimasti qui a fianco a loro – riferisce Mohammad Aziz Alì, responsabile di Terre des Hommes a Damasco –. Abbiamo portato aiuti, offerto soccorso, prendendoci cura di donne, bambini, anziani mutilati dalle mine sparpagliate nelle città e nei terreni. Continuiamo a dare il nostro aiuto anche adesso, che la gente è stremata dalla fame e dalla miseria. Il 93% della popolazione vive al di sotto della soglia minima di povertà, con le sanzioni di Stati Uniti e Unione europea che affossano ancor di più la popolazione. Lo stipendio medio mensile di un impiegato, un medico è di 25 dollari e – conclude – con quelli non si riesce a campare, con il costo della vita che aumenta di giorno in giorno e che costringe la gente a comprare qualsiasi cosa al mercato nero, pure il gasolio per riscaldarsi».
Che cosa resta della Siria?
Devastazioni, macerie. E’ la Siria di oggi. I fasti ante guerra di uno Stato sviluppato e moderno, all’interno del panorama mediorientale, sono un ricordo sbiadito, non esistono più.
Quella che un tempo era la culla della civiltà, dove in ogni angolo del paese si contemplavano i resti di una cultura millenaria, frutto di diverse dominazioni (fenici, civiltà mesopotamiche, romani, arabi, mongoli e ottomani), ora è solo un cumulo di polvere. Ti si attacca dappertutto e te la porti addosso per giorni. Da sud verso nord, percorrendo la M5 International Damascus-Aleppo highway, dopo aver ottenuto finalmente le autorizzazioni per lasciare Damasco lo scenario è sempre uguale.
Il rischio che siano sottostimate le vittime della guerra siriana
Dinnanzi alle immagini di una delle più gravi catastrofi umanitarie commesse dall’uomo, ti chiedi se non siano stimate per difetto le 500mila vittime di dodici anni di combattimenti. E là dove non ha potuto la guerra, è arrivato il terremoto facendo nuove vittime, 6mila 500 quelle accertate. Entrando ad Hama, i bambini che giocano fra i detriti del palazzo crollato nei 90 secondi di sisma, durante i quali 44 persone hanno perso la vita, ci corrono incontro e ci salutano. Gli occhi vivaci e sorridenti di Jamila, 4 anni appena, illuminano il viso della piccola annerito dalla polvere delle macerie. Per lei e per i suoi coetanei nessun parco giochi ad Hama e nelle città trasformate in teatri di guerra. «Il conflitto ha negato loro la libertà di vivere un’infanzia normale, come quella di tutti gli altri bambini- spiega Ahmed, un operatore umanitario-. Vivono nella miseria, non hanno nulla e sono sempre alla ricerca di qualcosa, di soldi. A volte penso che sarebbe stato meglio per loro morire sotto i bombardamenti», è l’amarissima conclusione.
La furia del terremoto a Jebleh
Lasciamo la città, la nostra prossima destinazione è Jebleh a una ventina di chilometri da Latakia, sede di una base dell’aeronautica russa. Qui la furia del terremoto ha causato il crollo di 39 edifici e 314 vittime, mentre in tutta la provincia sono 805 le persone uccise dal cataclisma.


Nasce a Palermo. Laureata in Lingue e letterature straniere all’Università degli studi del capoluogo siciliano, master in Giornalismo e comunicazione pubblica istituzionale, è giornalista pubblicista. Ha iniziato la sua carriera di giornalista, scrivendo di sprechi, inadempienze nella Pa e di temi ambientali per il Quotidiano di Sicilia, ha collaborato per alcuni anni col Giornale di Sicilia, svolto inchieste e approfondimenti su crisi libica e questione curda per Left, per poi collaborare alle pagine Attualità e Mondo di Avvenire, dove si è occupata di crisi arabo-siriana e di terrorismo internazionale. Ha collaborato col programma Today Tv 2000, l’approfondimento dedicato all’attualità internazionale. Premio giornalistico internazionale Cristiana Matano nel 2017.